19.11.08

Ripensare l'economia di montagna

Le ventilate ipotesi dell'acquisto, da parte della Provincia, degli impianti di risalita hanno suscitato un dibattito molto partecipato al quale hanno contribuito economisti ed industriali, conoscitori della montagna e qualche ambientalista. Ci si è soffermati sulla questione "etica", valutando la correttezza di un esborso di soldi da parte dell'Ente pubblico ad un settore – quello dello sci – che da molti anni è già lautamente finanziato; si è discussa la modalità dell'acquisto, se attraverso public company o secondo una valutazione caso per caso; c'è stato chi ha letto nell'intenzione di acquisto una tattica anti-congiunturale, una mossa per arginare una crisi finanziaria che non sappiamo come e quanto si tradurrà nell'economia reale dei nostri territori.

Ma nessuno è riuscito a delineare un ragionamento complessivo che sia capace di tracciare delle linee di prospettiva, che si interroghi sul futuro del sistema turistico invernale, che parli del futuro delle montagne alla luce di questa crisi ma soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici che coinvolgono l'intero pianeta. Per essere più chiari: un intervento pubblico così strutturato, si pone il problema della riconversione industriale del turismo invernale trentino o continuerà nella politica cocciuta e fallimentare dell'innevamento forzato delle piste sciabili ad altitudini dove ormai crescono le palme? Crediamo che qui stia il punto, non tanto nel metodo di "salvataggio" di aziende che hanno sempre e solo pensato al profitto, ma nella capacità di intervento pianificato per disegnare un nuovo modello di gestione del turismo di montagna.

La superficialità con cui si è affrontato il tema dell'acquisto degli impianti di risalita è, infatti, la cartina di tornasole che definisce la cifra dell'inconsistenza delle politiche trentine sul sistema alpino. E' anche la prova che né la lobby degli impiantisti, ma nemmeno l'amministrazione provinciale di questi ultimi decenni, si pongono il problema di gestire una trasformazione strutturale dell'economia di montagna, chiudendo gradualmente tutte le stazioni sciistiche sotto i 1800 metri di altitudine e finanziando contestualmente un nuovo modello che valorizzi il territorio secondo le sue specificità locali e spalmi l'offerta turistica nell'arco dell'anno e non soltanto nei pochi mesi sciabili.

Sarebbe grave che con la scusa del "salvataggio" delle aziende in crisi si perpetuasse la politica scellerata di finanziamento a nuovi impianti, a nuovi innevamenti artificiali, a ulteriore impiego di risorse idriche ed energetiche per sfamare la voracità dei cannoni da neve e si lasciasse a margine l'occasione per ripensare ad un nuovo turismo, ad una nuova economia di montagna.

Le associazioni ambientaliste, ma anche e soprattutto i comitati che costellano ogni valle del Trentino, devono riuscire nell'intento di pretendere che ogni azione che riguarda gli impianti di risalita sia inserita nel dibattito sul futuro della montagna, cercando gli spazi politici e partecipativi per determinare le scelte e per contribuire nella definizione di un nuovo sistema Alpino.

Le linee su cui ci muoviamo sono semplici ma chiare, tengono conto del domani e non intendono schiacciarsi sulle soluzioni tampone che crediamo inutili e dannose: per un progetto di riconversione dell'offerta turistica invernale del Trentino – che abbandoni la monocultura dello sci alpino – è necessario non dimenticare che entro poco tempo le stazioni invernali di media e bassa quota non avranno quasi più innevamento naturale, e non è più possibile sostituire l'innevamento naturale con grandi investimenti per la neve artificiale; per avviare un serio e graduale passaggio, gestito politicamente e in modo condiviso, è impensabile qualsiasi intervento di potenziamento e ampliamento nei comprensori sciistici. Detto questo, cosa ormai suffragata da studi e ricerche internazionali sia in campo climatologico che economico, intendiamo contrastare le proposte della Provincia – e le "aperture" di Dellai ai desideri degli impiantisti – se esse saranno (come oggi appaiono) una conferma della situazione esistente e cioè spreco di risorse pubbliche e un altro regalo alla lobby degli impiantisti.

OFFICINA AMBIENTE