21.12.08

Latte etico?

OK il latte fresco, ma se cominciassimo anche a parlare, oltre che di igiene, anche di qualità di quello che mangia la mucca e di quanto latte fa la mucca? Può un latte etico essere fatto con soia OGM o insilato di mais da monocoltura?

La strumentale campagna contro la vendita diretta del latte crudo fa leva sulle proprietà igieniche del latte. Gli stolidi detrattori del latte crudo sostengono che la "moda" del suo consumo porta indietro di un secolo il "progresso". Ma questi signori vivono ancora con la testa nel mondo industriale (o paleo-industriale) dove la principale determinante della qualità era, appunto, quella igienica. Tempi in cui le mucche erano in larga misura affette da TBC e in cui tifo e colera imperversavano ancora. Allora era comprensibile. Non si parlava ancora di vitamine, tanto meno di loro labilità e biodisponibilità, figuriamoci se qualcuno poteva pensare alle "proprietà nutraceutiche".
Ma di strada ne è stata fatta tanta. All'industria e al suo ampio novero di sostenitori, però, fa comodo concentrarsi riduzionisticamente sugli aspetti igienici. Quello che essa (non sempre) garantisce attraverso i trattamenti termici, il packaging, le "catene del freddo" (tutti elementi di un'enorme spreco energetico necessario a sostenere l'allungamento delle filiere e la standardizzazione dei prodotti) è, appunto, un prodotto di qualità "igienica".
In realtà non è neppure vero che i trattamenti industriali garantiscano l'igiene microbiologica. Negli Stati Uniti si sono registrati dalla fine degli anni '90 numerosi casi di intossicazione da Salmonella typhimurium, dei ceppi resistenti a più antibiotici e pertanto pericolosi.
La pastorizzazione del latte non ci mette al riparo dai rischi (anzi, a volte i rischi dei prodotti pastorizzati sono molto gravi, come dimostra anche la frequente presenza di Listeria nei formaggi a latte pastorizzato con casi anche recentissimi anche in Italia). In compenso è noto da tempo che i trattamenti termici danneggiano enzimi e peptidi ad importante attività biologica (viene spesso citato il fattore di Wulzen che protegge dall'artrite degenerativa) e diminuiscono la disponibilità di vitamine e aminoacidi.
D'accordo, ma vogliamo fare un passo avanti. Per consolidare e aumentare il consenso della gente al latte crudo e alla sua filiera corta di distribuzione vogliamo estendere la dimensione della qualità del latte ad una qualità totale ad una qualità etica? Cosa mangia la mucca, come è allevata, quanto latte fa, in che stato di benessere vive?
Guardate che sono tutti aspetti correlati. Se l'animale è stressato ha meno difese immunitarie e necessita più trattamenti con farmaci. Se la mucca è "spinta" dal punto di vista produttivo tutti gli equilibri fisiologici sono compromessi e gli effetti dello stress, di traumi sono amplificati. I problemi digestivi aumentano con la forzatura alimentare e ciò comporta la produzione di tossine che acuiscono i problemi di organi e tessuti già sollecitati. L'apparato scheletrico (minato dalla demineralizzazione per "esportare" enormi quantità di calcio nel latte), l'apparato digestivo, l'apparato cardiocircolatorio, i piedi sono tutti "sotto pressione". Non parliamo della mammella.
La mucca dovrebbe avere diritto a camminare se non su un pascolo almeno su uno spiazzo erboso, a non subire lo stress delle sale di mungitura dove è sospinta dalle scosse elettriche spesso in una situazione di confusione, urla. Soprattutto non dovrebbe essere una povera "forzata del latte" rottamata a 4 anni di età, spesso senza riuscire a partorire nemmeno due volte nella vita.
Un limite alla produzione dovrebbe essere il primo elemento di un patto etico tra l'allevatore e i consumatori del suo latte crudo, ovvero del latte sano, ovvero di un latte buono e pulito.
Non produrre più di 4-5.000 kg di latte per lattazione in montagna e non più di 7-8.000 in pianura . Spingere di più comporta utilizzare le razioni "spinte" a base di soia OGM e di insilato di mais (rispettivamene una "bomba" proteica e una energetica). Usare la soia oltre che consolidare il potere della Monsanto significa incentivare la deforestazione dell'Amazzonia, usare l'insilato di mais significa incantivare una monocoltura con elevati usi di pesticidi (in aumento secondo l'Istat), elevatissime concimazioni (con rischi di inquinamento nitrati delle falde).
Ma c'è di più. Tornare all'alimentazione tradizionale con altri tipi di erbai, alle leguminose "nostrane" e alle rotazioni non solo migliorerebbe la fertilità e la salute del terreno, ma ridurrebbe drasticamente l'impiego di pesticidi.
La qualità del latte, e qui veniamo ad un punto decisivo, ne avrebbe enormi benefici. L'uso di foraggi freschi (molto impegnativo - è vero - ma l'innovazione tecnologica si è impegnata su questo fronte?) fa come - è ormai noto - aumentare notevolmente le proprietà nutrizionali e, soprattutto, nutraceutiche del latte. Aumentano gli acidi grassi essenziali Omega-3 e il CLA (acido linoleico coniugato) fattori importanti di prevenzione di gravi malattie cardiocircolatorie e tumorali e diminuisce i grassi saturi (noti fattori di rischio cardiocircolatorio). Non si chiede a tutti i produttori di latte crudo di convertirsi al biologico e di basare l'alimentazione sul pascolo (sarebbe impossibile), ma di praticare il pascolamento quando possibile (anche nella pianura padana in autunno il pascolo era normale), di tornare gradualmente all'alimentazione invernale a base di fieno, di utilizzare erbai diversi dal silomais dando spazio il più possibile a leguminose (che riducono la dipendenza dalla soia) e ai prati. Soprattutto si chiede di limitare la produzione perchè è la rincorsa insensata alle megaproduzioni che, a catena, comporta una spirale perversa di dipendenza dell'allevatore di mezzi tecnici, consulenze, intrugli.
E poi, tutto quell'insilato (compresi i balloni di fieno-silo con i pericoli di rifermentazioni) siamo sicuri che faccia bene alla qualità del latte alimentare? Ci si preoccupa tanto della relazione tra insilato e presenza di microbi anticaseari nel latte, ma relativamente al latte da consumo fresco cosa comporta l'utilizzo di insilati mal conservati (a parte il problema aflatossine?).
Cari produttori voi avete un grande vantaggio: ci mettete la faccia. Tutto quello che farete per il benessere delle mucche, per non "spingerle", per voltare le spalle a una genetica che peggiora il bestiame, per coltivare foraggi in modo pulito, i vostri consumatori possono verificarlo. Altro che marchi e certificazioni (che ingrassano un altro segmento degli ormai interminabili anelli delle "filiere"). Coraggio. Già oggi la gente vi sostiene. Lo farà ancora più convinta se si realizzeranno i patti per un latte etico.

Michele Corti

L'Adige, 10.12.08