9.3.10

Val d'Adige: mele insostenibili

Fonte: www.ruralpini.it/Inforegioni08.03.10.htm

(08.03.10) Val di Non e Val d'Adige costituiscono una realtà di esasperata monocoltura chimica della mela. E vogliono produrre sempre di più per 'conquistare i mercati emergenti'

Val d'Adige: mele insostenibili

Luigi Mariotti (WWF Bolzano)

l’Alto Adige viene definito una provincia all’avanguardia nella tutela dell’ambiente. Anche i prodotti dell’agricoltura, contrassegnati dal marchio 'Alto Adige-Südtirol', vengono presentati ai consumatori come ottenuti con metodi di coltura naturali, nel rispetto dell’ambiente e della salute dei consumatori. Purtroppo, nel caso della coltivazione delle mele, la realtà dell’agricoltura altoatesina è ben diversa. Dietro alle campagne promozionali per la vendita di mele altoatesine (la più conosciuta è quella delle mele Marlene), si cela un’agricoltura industriale che ha costi ambientali altissimi. Nella valle dell’Adige, su circa 18.000 ettari, si producono ormai più di 1.000.000 di tonnellate di mele all’anno, pari quasi alla metà della produzione italiana e al 10% di quella europea. Circa la metà delle mele del Sudtirolo viene esportata in Germania, in Inghilterra e nei Paesi Scandinavi. Recentemente le maggiori cooperative frutticole altoatesine e del vicino Trentino (Consorzio Melinda) hanno costituito un unico consorzio per la commercializzazione internazionale delle mele del Trentino e dell’Alto Adige, con lo scopo di esportare ulteriori quantità di mele negli Stati Uniti, in Russia e in Oriente.

L’elevata produzione frutticola avviene in un sistema di monocoltura intensiva che fa largo uso di sostanze chimiche. L’Alto Adige-Südtirol ha infatti un altro primato, quello della maggiore quantità di prodotti fitosanitari impiegati in agricoltura: 58,81 kg di fitofarmaci per ettaro di superficie trattabile (dal 6° Rapporto sullo stato dell’Ambiente della Provincia di Trento), oltre sei volte la media nazionale (9,14 kg/ettaro).

Gli effetti negativi di questo modello produttivo sull’ambiente sono la perdita di biodiversità dovuta allo sfruttamento intensivo del territorio, la dispersione di agrofarmaci nell’ambiente, la scomparsa delle varietà di frutta originarie, il degrado e la monotonia del paesaggio agricolo, l’elevato consumo energetico per la produzione di fitofarmaci e di concimi chimici necessari alla monocoltura del melo, il consumo di energie non rinnovabili (petrolio) e le emissioni inquinanti e di gas serra dovute al trasporto, per lunghissime distanze, delle migliaia di tonnellate di mele prodotte nella valle dell’Adige.

Le conseguenze della melicoltura altoatesina vengono più dettagliatamente descritte nel rapporto WWF 'Una coltivazione di mele insostenibile', inviato in allegato alla presente lettera per rendere gli agricoltori, gli amministratori, ma soprattutto i consumatori, più consapevoli degli effetti negativi dell’agricoltura industriale del Sudtirolo.

«In Trentino l’acqua è già stata privatizzata»


Lucarelli: «Ma la Provincia poteva opporsi»

Di Francesca Caprini

Questo pomeriggio alle 15, nella Sala di rappresentanza del Palazzo della Regione in oiazza Dante a Trento, si terrà la conferenza «Acqua in Borsa: Servizi idrici in mano al mercato. La situazione in Trentino». «Un convegno, un incontro fra cittadini consapevoli, un dibattito», si rileva nel comunicato del Comitato trentino Acqua bene Comune, che ne è l'organizzatore. Sicuramente una buona occasione per fare il punto sugli scenari possibili in tema di acqua nella nostra provincia, con la privatizzazione che incombe in ogni angolo del Belpaese.
I relatori sono d'eccezione: Severo Lutrario, del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua, ed Alberto Lucarelli, ordinario di diritto presso l'Università Federico II di Napoli. Già componente della «Commissione Rodotà», dell'Osservatorio sul diritto per l'acqua, della struttura di coordinamento delle Regioni commissariate per i rifiuti, Lucarelli è soprattutto uno dei massimi esperti di beni comuni e democrazia partecipata che abbiamo in Italia. E proprio per questo, è stato scelto per il non facile compito di redigere i quesiti del referendum sull'acqua pubblica, la cui campagna nazionale partirà ai primi di aprile. L'approvazione a novembre del decreto Ronchi, il Dl 135/09 che obbliga la cessione entro il 2011 ai privati delle gestioni delle risorse idriche sul territorio nazionale relegando lo Stato al 30%, ha spinto centinaia di Comuni (anche trentini) e Province ad inserire nel proprio statuto la dicitura «acqua a non rilevanza economica». Sei Regioni hanno impugnato l'articolo 15 del decreto davanti alla Corte Costituzionale.
Il 10 dicembre scorso, durante la conferenza «La Rivoluzione dell'Acqua» con il sindacalista boliviano Oscar Olivera e padre Alex Zanotelli, il pubblico si chiedeva che sarebbe successo in Trentino dopo l'approvazione del Decreto Ronchi: «La legge nazionale arriverà a privatizzare anche la nostra acqua?», si domandava la gente. «L'acqua, in Trentino è già privatizzata - precisano quelli del Comitato Acqua Bene Comune -. Dolomiti Reti è al 60% pubblica, ma per il 40% privata, con società come la bresciana A2A che sono in Borsa. La nostra acqua è destinata a subire le fluttuazioni del mercato. Di fatto, è già una merce».
Un panorama preoccupante, a giudizio di Lucarelli: «Le Province di Trento e Bolzano avrebbero la possibilità di bloccare l'iniziativa nazionale grazie alla potestà legislativa che gli fornisce lo Statuto di autonomia speciale - ci spiega -. La Puglia ha approvato una legge regionale che disattende il "Ronchi" e dichiara il servizio idrico integrato privo di rilevanza economica. La Provincia potrebbe sollevare un conflitto di attribuzioni, attaccando gli atti amministrativi ai sensi dell'articolo 134 della Costituzione, oppure avrebbe potuto impugnare l'articolo 15. Ma ad oggi i termini sono scaduti».
Che non sia stato impugnato l'articolo 15 ha un significato?
«Potrebbe significare che non c'è volontà politica».
Ammettiamo che sia così: che scenario si prospetterebbe in Trentino riguardo alle gestioni idriche? «L'applicazione del decreto Ronchi e la conseguente dismissione del capitale pubblico al 30%. Oppure una scelta completamente privatistica, cioè che il pubblico si ritiri del tutto. O, terza ipotesi, l'affidamento del servizio ad una società a capitale interamente pubblico il servizio, però con requisiti che andrebbe vagliati dell'antitrust».
Lo scenario nazionale, con gli enti locali che vanno da una parte, il governo centrale dall'altra, parla di una spaccatura?
«Al contrario: stiamo assistendo alla ricompattazione di una dimensione sociale a livello nazionale. Attorno all'acqua si sta creando una grande battaglia di partecipazione democratica». Per il prossimo referendum per l'acqua pubblica - la cui raccolta firme partirà ad aprile - c'è aspettativa, ma anche dubbi. «Al di là degli effetti pratici, è una battaglia di civiltà. Mentre in passato c'è stato un uso distorto del referendum, i tre quesiti che andremo a proporre per chiedere che l'acqua torni ad essere pubblica e sotto un controllo sociale, sono chiari e non strumentalizzabili».
Questo pomeriggio verranno raccolte anche le adesioni alla manifestazione nazionale per l'acqua, in programma il prossimo 20 marzo a Roma.

Centrale sul torrente Bedù: "Un danno per l'ambiente"

Fonte: l'Adige del 9 marzo 2010

Non si farà la centralina sul torrente Bedù di Villa, in Val di San Valentino, come chiesto dalla società «Idro Rendena»


VILLA RENDENA - Non si farà la centralina sul torrente Bedù di Villa, in Val di San Valentino, come chiesto dalla società «Idro Rendena». La domanda per ottenere la concessione di derivazione d'acqua a scopo idroelettrico, depositata il 16 ottobre 2008 presso il Servizio utilizzazione delle acque pubbliche, non potrà essere accolta, alla luce della delibera adottata venerdì scorso dalla giunta provinciale, su proposta dell'assessore all'ambiente Alberto Pacher . Al termine di una lunga istruttoria, acquisiti tutti i pareri prescritti, la giunta ha infatti deliberato che pur «non sussistendo prevalenti interessi pubblici ad un diverso uso dell'acqua rispetto a quello idroelettrico», «sussiste un prevalente interesse ambientale incompatibile con la derivazione dal rio Bedù di San Valentino presentata dalla società Idro Rendena srl». Alla netta bocciatura sul fronte ambientale e paesaggistico del progetto, si aggiungono altri rilievi, tra cui «la necessità di prevedere una riserva d'acqua pari ad un massimo di 54 l/s ad uso irriguo come chiesto da Consorzio di miglioramento fondiario di Javré e Villa Rendena» e, non da ultimo, le contrarierà manifestate in merito allo sfruttamento privato ad uso idroelettrico del rio Bedù di San Valentino dagli enti territoriali interessati e dall'Associazione Pescatori Alto Sarca. Il primo a dire di no era stato il Comune di Villa Rendena, che con nota del 30 marzo 2009 aveva comunicato al Servizio utilizzazione delle acque pubbliche la netta contrarietà delle amministrazioni locali interessate, facendosi portavoce anche dei Comuni di Vigo Rendena e Darè, nonché delle amministrazioni separate Usi civici di Javré e Villa Rendena. Contrarietà confermata anche in una nota successiva, datata 25 novembre 2009, sempre del Comune di Villa Rendena, anche a nome dei Comuni di Vigo Rendena e Darè e delle Asuc di Javrè e Villa Rendena nonché dell'Associazione Pescatori Alto Sarca. La questione era stata affrontata anche in consiglio provinciale, sulla base di un'interrogazione presentata dal Verde, Roberto Bombarda , che chiedeva la sospensione dell'iter autorizzativo dell'opera «per evidenti danni ambientali». Bombarda aveva anche sostenuto, in quell'occasione, che «occorrerebbe fermare ogni ulteriore ipotesi di sfruttamento delle acque a scopo idroelettrico che non sia promosso dall'ente pubblico». La Idro Rendena srl è una società con sede a Trento, nata da un gruppo di aziende e imprenditori trentini con l'obiettivo di realizzare la centralina idroelettrica sul rio Bedù, attraverso «un impianto modesto nelle dimensioni e di bassissimo impatto sotto il profilo idrologico e ambientale». Diverso il parere del Servizio urbanistica e tutela del paesaggio che scrive: «L'area interessata possiede requisiti di integrità, diversità e qualità visive di grande rilievo e rara bellezza; inoltre la capacità dei luoghi di assorbire opere di infrastrutturazione senza subire alterazioni significative della qualità complessiva è nulla. La sottrazione di acqua dai corpi idrici, la realizzazione di opere di presa, lo scavo e la posa di condotte e la realizzazione della centrale nel fondovalle sono alterazioni di grande impatto ambientale e paesaggistico che contrastano con l'interesse turistico dell'area». Il corso d'acqua, fluente dal Parco Adamello Brenta, è per ora al riparo dallo sfruttamento idroelettrico, almeno da parte di privati.