29.4.09

Nasce il comitato S.O.S. Altissimo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la testimonianza di un privato cittadino su un nuovo enorme scempio ambientale che minaccia la nostra terra.

Scrivo dal lago di Garda, parte trentina. Mi permetto di scrivere con la consapevolezza che stiamo facendo tutto il possibile. Non deleghiamo ad altri la soluzione del problema ma purtroppo abbiamo bisogno di ogni aiuto reperibile.
Un mese fa grazie all’attenta lettura dei procedimenti destinati al voto del consiglio della provincia di Trento si è scoperto che alcuni grossi gruppi di imprenditori (EVA Energie Valsabbia, SWS engeneering, Dolomiti Energia) hanno in corso di autorizzazione un progetto che prevede la costruzione di una gigantesca centrale idroelettrica (1300 Mega Watt) da realizzarsi scavando (3.000.000 mc) all’interno del Monte Altissimo (2000 mt) posto in riva al lago.
La centrale (una delle più grandi d’Europa) non viene però realizzata secondo una finalità produttiva perchè la montagna non presenta alcun interesse idroelettrico di per sè (pochissima acqua, nessun torrente o lago). Di fatto sarà una centrale che consuma più energia di quanta ne produce (-40%). L’operazione, 1.200.000.000 € (un miliardo e duecento milioni di euro, stima di progetto), consta nella semplice speculazione operata attraverso il pompaggio notturno di acqua del lago (con consumi di energia a tariffa bassa) ed il rilascio diurno per vendere energia nell’orario di picco di consumo (a tariffa maggiorata). Ma la enorme reddittività viene ulteriormente accresciuta attraverso l’incredibile meccanismo della legge sulla produzione di energia da fonte diversa da quella fossile che assimila questo impianto (allo stesso modo della combustione dei rifiuti) a quelli che producono realmente da fonte rinnovabile e riconosce attraverso il rilascio dei certificati verdi il pagamento di un incentivo per ogni watt prodotto.
Peccato che l’energia impiegata per il pompaggio dell’acqua non proviene da produzione idroelettrica (che oggi viene con semplicità erogata solo nell’orario di reale necessità) ma bensì generata da combustione fossile o in futuro nucleare, per poi produrre energia (in quantità minore) e vedersela compensata come verde e rinnovabile. Un vero riciclaggio dell’energia.
Alcune leggi italiane sono fatte per questo. Mentre in Germania analisi statistiche attestano che nell’ultimo biennio sono stati installati ogni anno generatori fotovoltaici che producono (in energia pulita) il doppio della potenza promessa dal colosso di progetto (in energia riciclata e sprecandone il 40%) noi in Italia permettiamo a operazioni dal significato equivoco utili da capogiro.
Indipendentemente dalla sensibilità ambientale di ciascuno c’è un ulteriore fattore di estrema gravità. Nè le amministrazioni dei comuni interessati nè i privati cittadini erano al corrente di nulla. Da successive ricerche si è saputo che otto anni fa il sindaco di Nago-Torbole fu contattato dagli stessi promotori che illustrarono i grandissimi vantaggi economici di cui avrebbe potuto beneficiare anche la comunità locale se si fosse ottenuto il benestare al progetto. Solo la sua coscienza ambientale ci salvò dal sacrificio. Dopo il silenzio.
A seguito della recentissima e quasi fortuita scoperta del procedimento in corso da parte di un giornalista del quotidiano l’Adige, le amministrazioni dei comuni interessati hanno rivolto richiesta formale delle indispensabili informazioni presso l’amministrazione provinciale ricevendo rassicurazione che del progetto non se ne sapeva praticamente nulla. La cosa non convinse qualcuno che anzi accelerò con ogni mezzo la ricerca di informazioni. Emerse che l’amministrazione della provincia di Trento, tramite la propria società partecipata per l’energia, aveva trattative in corso dal 2007 con la società proponente Eva Energie Valsabbia con SWS engeneering (come si evince dai pubblici verbali consigliari delle società). Non solo, ma dal 2008 la Provincia Autonoma di Trento entrò nell’operazione con l’acquisizione di quote di capitale tramite la sua società partecipata (Dolomiti Energia). E ancora, in gran silenzio stava per essere votata una modifica ad hoc alla legge provinciale in materia di acque pubbliche ed opere idrauliche (l.p. 8 luglio 1976 art. 17 bis) che apriva le porte autorizzative alla nuova tipologia dell’impianto in questione con l’intenzione di inserirlo nella legge obiettivo che, perseguendo motivi di urgenza dettati dalla crisi economica, snellisce le procedure autorizzative per accelerare l’apertura dei cantieri ed agevolare la ripresa. Secondo tale modalità la autorizzazione del progetto Altissimo non sarebbe dovuta neanche passare dalla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA)!
La società di ingegneria autrice e partecipe del progetto (SWS Engeneering - Il suo fondatore Paolo Mazzalai, già vice-presidente di Confindustria del Trentino è attualmente presidente di Trentino Sviluppo, il braccio finanziario della Provincia Autonoma di Trento) è partner privilegiata della Provincia di Trento in numerosi e recenti progetti di significativo impatto ambientale e consistente portata economica (TAV del Brennero etc.). Classica fusione italica dei soggetti imprenditori con i responsabili amministrativi.
Fu approntata in grande urgenza una interrogazione consigliare (i.c. n.242 - Giovanazzi) che portando finalmente alla luce tutto la questione diede seguito alla stesura di un Ordine del Giorno consigliare (n. 51- votato quasi alla unanimità) che obbligava ad un iter autorizzativo normale il progetto in questione.
A garanzia di verità di tutto quanto scritto si allega copia dei documenti ufficiali di cui siamo in possesso.
Non vi è alcuna speranza che la procedura VIA (valutazione impatto ambientale) possa fermare tale progetto poichè, come testimoniano gli esiti di tutte le recenti iniziative di speculazione sul territorio, essa risulta particolarmente asservita al volere dell’amministrazione provinciale.
Perchè si possa meglio comprendere, appena due anni fa ha ottenuto parere favorevole il progetto di realizzazione di un nuovo insediamento turistico ricettivo e residenziale proposto da un unico soggetto privato (Leali) in un sito alpino di interesse botanico internazionale a 1800 mt di quota in località Tremalzo.
Capiamo che l’unica possibile strada praticabile per contrastare tale scempio ambientale sia la immediata e capillare informazione della popolazione con la speranza che un calo di popolarità possa indurre i responsabili politici a riconsiderare la questione. Sono attivi diversi coordinamenti ambientalisti (Amici della Terra, WWF del Trentino, SAT società alpinistica tridentina, Codacons) ed altri in via di attivazione con la costituzione di un comitato locale di opposizione specifico SOS ALTISSIMO. Parallelamente c’è la presa di posizione (purtroppo ancora timida) da parte delle amministrazioni comunali interessate dal progetto (Riva del Garda, Nago Torbole, Brentonico).
Il progetto comporterà almeno cinque o sei anni di ingentissime opere di costruzione (o distruzione e inquinamento) per poi regalare permanenti gravi alterazioni degli aspetti bioclimatici dell’ambiente lacustre e montano, con maggiore impatto nelle zone a valle di presa e scarico e di quelle a monte di sfiato sommitale oltre alla certa alterazione dei regimi di falda dei pascoli montani e di scomparsa di numerose sorgenti.
Tutto questo con incerte prospettive temporali sull’utilizzo degli impianti per probabili e possibili mutazioni del regime legislativo ma ancora di più per la modifica delle tecnologie di produzione dell’energia e dei relativi cambiamenti dei costi (energia eolica, solare fotovoltaica, solare termica etc.) a fronte di un danno ambientale permanente e non sanabile. Di certo vi è solo l’utile immediato dei costruttori delle opere (i promotori delle iniziative).
Roberto Bombarda (presidente terza commissione permanente PAT) riferisce che il problema è molto grave godendo i promotori di grande appoggio dei vertici provinciali che tengono nella totale disinformazione il consiglio provinciale e che gli aspetti fondamentali per un efficace contrasto sono la chiara presa di posizione delle amministrazioni direttamente interessate e di quelle dei comune rivieraschi (Malcesine e Limone in primis) oltre alla libera iniziativa popolare, privata e di tutti i soggetti interessati alla tutela del patrimonio ambientale oltre alla incessante opera di chiara informazione attraverso la stampa locale, nazionale ed internazionale.
Abbiamo estremo bisogno di reperire valutazioni scientifiche autorevoli di natura geologica, biologica, climatologica, naturalistica, legale ed economica (anche dietro compenso) e presentabili a livello nazionale ed internazionale per procedere nell’urgente opera di informazione. Ogni altro suggerimento o consiglio è sicuramente apprezzato.
L’opera di progetto è di dimensione mastodontica, di interesse nazionale e non locale. Il Trentino non è un’isola felice. La bellezza della sua natura è svenduta al soldo di pochi, dalla nostra stessa amministrazione.

Un saluto cordiale,
Matteo Marega

20.4.09

Privatizzazione dell'acqua! Parliamone

Mercoledì 22 aprile ore 20.30 al Centro Sociale Bruno

Assemblea pubblica sull'acqua

E' notizia dell'altro giorno che la nostra provincia ha rinnovato fino al 2033 la concessione a Surgiva F.lli Lunelli spa, per sfruttare, ai fini di imbottigliarne l'acqua minerale naturale, la sorgente in quota «Prà dell'Era» in Val Rendena. Canone di concessione annuo attorno agli 8.500 euro a fronte di ricavi netti complessivi nel 2007 di 9.152.439,00 euro, ovvero 116 volte il canone di concessione. Crediamo che una così lampante prevaricazione dell'utilizzo di una pubblica risorsa in nome dello sfruttamento privato, meriti almeno una risposta da parte della società civile.
E' sorta dall'associazione TrentoAttiva la proposta - alla quale hanno aderito Officina Ambiente e le associazioni Yaku e Ya Basta - di un incontro allargato per approfondire l'argomento.
Ci troveremo, con altre associazioni e con chiunque voglia partecipare.

Fonte: l’Adige del 15.04.2009
Acqua Surgiva: Fonte d’oro a 8.400 euro l’anno

E’ il canone di concessione: utili 980 mila euro, 116 volte il canone


Quel che si dice un buon affare: la società Surgiva F.lli Lunelli spa, per sfruttare la sorgente in quota «Prà dell’Era», verserà alla Provincia 8.478,85 euro di canone annuo. In cambio, potrà continuare a imbottigliare l’acqua minerale naturale fino al 2033, secondo la nuova convenzione. E a realizzare ricavi milionari e ricchi utili. Oltre 980 mila euro nel bilancio 2007, 116 volte il canone di concessione. La società, però, verserà, a titolo di sponsorizzazione, 5 mila euro all’anno ad ogni Comune interessato (Pinzolo, Giustino e Carisolo), per eventi e manifestazioni col marchio Surgiva.

di Domenico Sartori

VAL RENDENA - Gestione oculata di una risorsa pubblica data in concessione: un business. Vero, garantito business. Surgiva F.lli Lunelli spa, per sfruttare, ai fini di imbottigliarne l’acqua minerale naturale, la sorgente in quota «Prà dell’Era» verserà nel 2009, nelle casse della Provincia, 8.478,85 euro. È il canone di concessione annuo, che la spa del Gruppo Lunelli pagherà entro il 31 gennaio di ogni anno, fino al 25 aprile 2033.
Un canone, rapportato a ricavi ed utile netto della spa, oggettivamente modesto. Il bilancio di esercizio 2007 (l’ultimo a disposizione) registra ricavi complessivi per 9.152.439,00 euro e un utile netto di 983.148,00 euro, 116 volte il canone di concessione. La buona notizia, per Surgiva, è che nei giorni scorsi il Servizio minerario della Provincia, acquisiti i pareri del caso, ha rinnovato in sanatoria, con modifica dell’area, la concessione per 25 anni, dall’aprile 2008 all’aprile 2033, appunto.
L’area di concessione è ora più grande, estesa su 249,30 ettari, ricadente nel territorio dei Comuni di Carisolo, Pinzolo e Giustino. La richiesta di rinnovo della concessione è del gennaio 2008, ma la sua accoglienza è stata rinviata perché tra Surgiva e i tre Comuni interessati è stata nel frattempo definita e sottoscritta una convenzione sulla somministrazione dell’acqua potabile.
La convenzione è «figlia» delle vicende dell’estate 2007, quando in piena stagione turistica Pinzolo e Carisolo rimediarono un’autentica figuraccia. Piogge intense e sorgente «Tristin» in tilt. Risultato: ai piedi dell’Adamello e della Presanella, nel regno delle acque chiare, fresche e buone, i rubinetti dei residenti e degli ospiti sputarono acqua marrone, limacciosa e impura. Furono giorni di ordinanze, divieti, assalti alla minerale in bottiglia sugli scaffali dei supermercati.
Il commissario ad acta, Giorgio Paolino, per affrontare l’emergenza, autorevolmente fece ricorso anche alla sorgente della fonte Prà dell’Era della Surgiva, per alimentare l’acquedotto di Pinzolo. La questione, allora come oggi, è la seguente: quanto e come sacrificare la produzione di minerale, e quindi i profitti della spa Surgiva, in caso di emergenza acqua potabile?
La convenzione tra Comuni e Surgiva, al cui rispetto è stato subordinato il rilascio della concessione fino al 2033, dà una risposta che salvaguardia appieno il business. Recita l’articolo 1 della convenzione: «Qualora gli acquedotti comunali non fossero in grado di soddisfare la richiesta di acqua ad uso potabile dei rispettivi territori, Surgiva s’impegna a mettere a disposizione dei Comuni di Pinzolo e di Carisolo, dietro specifica richiesta degli stessi ed al solo uso potabile, la quantità d’acqua proveniente dalla sorgente "Prà dell’Era", eccedente il fabbisogno industriale di Surgiva.
I Comuni di Pinzolo danno atto che Surgiva spa non può prestabilire i quantitativi idrici a disposizione dei comuni interessati in quanto dipendenti da fattori climatici, escursioni stagionali, potenzialità di stabilimento e richiesta del mercato». In concreto, Surgiva, a richiesta, fornirà solo l’eccedenza idrica. Non una bottiglia sarà sacrificata.
L’acqua oggetto di concessione sarà messa a disposizione solo «in caso di gravi calamità (incendi o altro)». In cambio, la spa verserà, a titolo di sponsorizzazione, 5 mila euro all’anno ad ogni Comune, a titolo di sponsorizzazione di eventi e manifestazioni che garantiranno «un’adeguata visibilità al marchio Surgiva». In più, i Comuni si rendono disponibili ad istituire «un’area di rispetto a tutela delle sorgenti, in particolare vietando il pascolo e lo stazzo di bestiame, all’interno dell’area di concessione mineraria a monte delle sorgenti».
Da parte sua, la Provincia, che incamera le briciole del business, non ha posto vincolo alcuno, se non che siano fatti salvi i diritti di terzi per le concessioni di derivazione di acqua pubblica esistenti all’interno dell’area di concessione. Il sindaco di Pinzolo, il commercialista William Bonomi, quando in consiglio comunale è stata approvata la convenzione, non ha partecipato al voto, essendo membro del collegio sindacale di Surgiva spa.

Dibattito a Flavon: Da l'autra banda del pomar

Martedì 21 aprile '09, ore 20.30
FLAVON Sala civica c/o Municipio

Il Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non organizza:

DA L’AUTRA BANDA DEL POMAR

L’agricoltura intensiva, vista e vissuta da alcuni residenti in Val di Non.
A cura del Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non

Ordinanze Comunali per la disciplina dell’uso di antiparassitari: efficacia, rispetto, controllo... tutelano la nostra salute?!
A cura del Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non

Dalla negazione del rischio al principio di precauzione.
A cura del dott. Roberto Cappelletti

Un’agricoltura più rispettosa della vita e dell’ambiente:
un’alternativa possibile.
A cura di Luisa Mattedi

Modera il giornalista Walter Nicoletti

Info:
non-pesticidi.blogspot.com

17.4.09

La difesa dei beni comuni contro la crisi globale

Si tiene in provincia di Treviso, dal 18 al 20 aprile 2009 il summit del G8 dei Ministri dell’agricoltura.
In contrapposizione al vertice, l’appuntamento del Festival-incontro “Questa terra è la nostra terra” promosso da un ricco cartello di associazioni di base espressione delle tante esperienze per la sovranità alimentare, contro gli OGM, per la qualità dell’ambiente e del cibo, per la difesa, l’uso sostenibile e la democrazia delle risorse naturali, può rappresentare l’occasione per far pesare teorie e pratiche improntate ad un rapporto diverso con la terra, l’ambiente e le risorse.
La questione agricola è un nodo fondamentale delle politiche ambientali, sociali ed economiche di questo pianeta, tanto più oggi a fronte della crisi profonda del sistema globale. Una questione cardine perché tocca la sostenibilità e l’uso delle risorse vitali per l’esistenza, perché riguarda i conflitti militari che attorno al controllo delle risorse si generano – pensiamo all’acqua e alle fonti energetiche – perché riguarda ciò che mangiamo e la possibilità o meno di costruire attraverso la sovranità alimentare, le tecniche di produzione e il sistema di consumo consapevole, un diverso sistema di vita, di relazioni, di produzioni, consumi e sviluppo.
Il nodo della ricerca applicata alle produzioni agricole è, in questo contesto, fondamentale. Qui, rispetto alla critica alle finalità e agli obiettivi della ricerca ufficiale e nella costruzione di obiettivi e finalità completamente ribaltati rispetto all’attuale sistema della ricerca, si gioca, ad esempio, molta parte della battaglia contro gli OGM e la loro diffusione, l’alternativa alla produzione chimica delle sementi, dei mangimi, dei pesticidi, il no ai sistemi intensivi di sfruttamento dei suoli e degli allevamenti. Spostare l’asse della ricerca verso le tecniche naturali, la salvaguardia delle specie vegetali autoctone e il loro ripopolamento, la valorizzazione dei suoli, preservandone la ricchezza e la rigenerazione ciclica ecc. diventa un obiettivo fondamentale per poter immettere cambiamenti sistemici sostanziali. Per dare contenuto e sostanza alle rivendicazioni di sovranità alimentare, di democrazie delle risorse naturali, di consumo critico e consapevole.
La crisi globale non lascerà nulla come prima ma proprio questa certezza può dare forza ad un cambiamento profondo del sistema stesso, partendo da questi nodi legati alla terra, alla produzione agricola, alle risorse naturali, ad un diverso rapporto, un tempo si diceva sostenibile, con terra, ambiente e risorse.
Nella società civile, sia nel nord che nel sud del mondo, pur con modalità e caratteristiche diverse, si sono sviluppare molte esperienze che vanno in questo senso e che tra loro possono dialettizzarsi, fare massa critica, per dimostrare che “un altro mondo è possibile”. Lo sviluppo dei GAS, la creazione di cicli corti di produzione e vendita, la riconversione di molte aziende agricole e di allevamento/trasformazione verso tecniche più naturali, biologiche e non, la nascita di reti solidali ed etiche di produzione e vendita, esperienze in piccola scala di trasformazione energetica dei prodotti vegetali, il diffondersi del circuito di slow food e la sempre maggiore valorizzazione dei prodotti tipici, l’attenzione sempre più forte rivolta non solo dai singoli produttori agricoli ma, anche, dalle organizzazioni di categoria verso queste realtà e opportunità, sono il corpo su cui può far leva la critica nei nostri territori al sistema globalizzato di sfruttamento dei suoli e delle risorse, quello che guarda al rilancio agricolo come semplice volano di ripresa di un sistema, oggi in profonda crisi, senza criticarne gli assunti.
La stessa faccia di questa critica sono le esperienze “campesine” nel sud del mondo, le produzioni che arrivano a noi attraverso il circuito del commercio equosolidale, le esperienze frutto del microcredito e della solidarietà internazionale, i tanti conflitti locali per la difesa delle risorse naturali.
Questo insieme di esperienze possono/devono trovare proprio in appuntamenti come questo del Festival-Incontro “Questa terra è la nostra terra”, di critica dal basso ai vertici internazionali e, allo stesso tempo, di confronto tra realtà operanti nei territori, obiettivi comuni, luoghi e strumenti per far pesare la ricchezza diffusa insita in queste, tante, esperienze. Per incidere contro le scelte devastanti di sfruttamento delle risorse, di piegamento della natura alla logiche del profitto e del mercato e per contrapporre proposte concrete, realtà operanti di segno diametralmente opposto. L’occasione del contro vertice di Treviso può essere una tappa importante di questo percorso. Anche un’occasione per un confronto tra chi, pur operando in un orizzonte comune, poco ha sinora comunicato insieme.
Un’occasione per partire da noi, adesso, da questo territorio, il Veneto con una critica serrata alle politiche agricole, alle mistificazioni messe in campo in questo ultimo periodo, ad esempio, dal nuovo Ministro dell’agricoltura, che si richiama al ciclo corto di produzione e vendita, alla risoluzione della questione quote latte, all’attenzione al rapporto produzione agricola e territorio ma che, nel concreto, agisce favorendo lobby, solidificando clientele (in particolare elettorali come nel recente caso del decreto quote latte), senza uno straccio di azione concreta – anzi in molti casi contrastando – in favore di una diversa economia agricola e zootecnica.
Un comportamento mistificatore e ambiguo che trova piena realizzazione anche nella scelta nucleare sposata dal Governo Berlusconi e subito ripresa e rilanciata dal Presidente del Veneto Galan con la disponibilità di questa regione per siti deputati alla nascita di centrali nucleari. Scelta che inciderà complessivamente sul futuro del nostro Paese così come nelle politiche agricole, nel rapporto tra territorio e beni comuni, risorse naturali e produzione alimentare così come segnerà in negativo la dipendenza dei territori ad una economia dettata dalla produzione nucleare. E che, quindi, rappresenta per quanti si accingono a partecipare all’appuntamento del contro vertice un ulteriore nodo fondamentale da sciogliere, una scelta netta di contrasto a questa ipotesi che si affianca a quanto sinora detto.
La scelta nucleare nel nostro Paese, dove 20 milioni di cittadini nel 1987 votarono per chiudere le centrali e uscire dalla dipendenza da questa fonte di energia, viene oggi spacciata come la risposta migliore al global warming e, allo stesso tempo, alla dipendenza energetica da fonti non presenti nel nostro territorio. Per ottenere questo obiettivo il Governo pensa ad un piano di nuove centrali nucleari di terza generazione – di fatto con la stessa vecchia tecnologia di quelle alle quali il nostro Paese disse no alla fine degli anni ’80, con gli stessi problemi di efficienza e gli stessi rischi sulla sicurezza – che si continuano a costruire (sempre meno e sempre in meno Paesi) solo in alcuni stati europei anche oggi.
Tutto questo nonostante i dati delle agenzie internazionali indichino come costosa, rischiosa e inadeguata la scelta nucleare come risposta energetica del prossimo futuro; nonostante sia chiara la tendenza, sia negli Stati Uniti come in Europa, verso altre fonti energetiche, in particolare quelle da energia rinnovabile, solare ed eolica in primo luogo. L’AIEA, Agenzia internazionale per l’energia atomica, partendo dalla constatazione degli ingenti costi e della scarsa competitività dell’energia nucleare rispetto alle altre fonti energetiche, ne prevede una riduzione del peso nella produzione elettrica dei prossimi anni a livello mondiale, al punto di indicare nel rapporto pubblicato nel 2007 un calo nei prossimi decenni dal 15% del 2006 a circa il 13% del 2030. Declino dovuto ai costi eccessivi: negli Stati Uniti dove i produttori di energia elettrica sono privati, infatti, non si costruisce una centrale nucleare dalla fine degli anni ’70 e dove la gara per nuove centrali, indetta dall’ex presidente Bush, è andata deserta fino a quando l’amministrazione non ha introdotto, come per la produzione eolica, un incentivo di 1,8 centesimi di dollaro a chilowattora.
Nell’Unione Europea la situazione è analoga, con una tendenza all’uscita dal nucleare, salvo alcune situazione, come ad esempio la Finlandia, che presentano però problemi simili a quelli verificatisi negli Stati Uniti: un ritardo di 2 anni nella costruzione della centrale voluta dal governo finlandese con extracosti per 1,5 miliardi di euro e con la Siemens, fornitrice della tecnologia, che nel 2008 ha perso in Borsa un terzo del suo valore. Anche dal punto di vista capitalistico, quindi, a fronte del procedere della liberalizzazione del mercato energetico, proprio questa scelta pesa in negativo sulla decantata rinascita del nucleare.
In pratica il basso costo del kWt da nucleare verrebbe garantito esclusivamente dall’intervento dello Stato e dal considerare – con scelta politica – “esterni” i costi per lo smaltimento definitivo delle scorie e lo smantellamento delle centrali. A fronte di queste problematiche l’Italia per rilanciare il nucleare come pezzo consistente della produzione energetica nazionale dovrebbe costruire da zero tutta la filiera con investimenti altissimi: 10 centrali nucleari almeno per un totale di 10 – 15.000 MW di potenza installata e tra i 30 e 50 miliardi di euro di investimenti, per lo più pubblici, e poi impianti di produzione del combustibile, del deposito per lo smantellamento delle scorie. Il tutto, ottimisticamente, in funzione solo nel 2020.
Senza contare che il problema delle scorie rimane uno dei nodi irrisolti, pericolosi per l’ambiente e le popolazioni: le circa 250.000 tonnellate di rifiuti altamente radioattivi prodotte sino ad oggi nel mondo sono ancora in attesa di essere conferite in siti di smaltimento definitivo. L’Italia conta secondo l’inventario dell’APAT circa 25.000 mila mc di rifiuti, 250 tonnellate di combustibile irraggiato – pari al 99% della radioattività presente nel nostro territorio – a cui vanno sommati circa 1500 m3 di rifiuti prodotti annualmente dal ricerca, medicina e industria e circa 80-90.000 m3 di rifiuti derivanti dallo smantellamento delle 4 centrali e degli impianti del ciclo del combustibile: una montagna di rifiuti che, sempre il Governo Berlusconi, cercò di stoccare a Scanzano in Basilicata, stoppato dalla mobilitazione popolare. Così come un problema rimane l’approvvigionamento di uranio i cui costi di estrazione sono altissimi per una disponibilità prevista solo per altri 40-50 anni.
Pur dovendo partire, quindi, da zero, con investimenti mastodontici in un contesto di crisi finanziaria ed economica di proporzioni sinora mai viste nel nuovo sistema della globalizzazione, il nostro Governo, di concerto con i due monopolisti nazionali, Enel e Edison, ben disposti al “gioco” con i soldi pubblici, vuole imporre questa scelta anche attraverso provvedimenti da legislazione speciale, simili per filosofia decisionista al varo della Legge Obiettivo. Quella di uno scenario nucleare affidato e voluto dai grandi gruppi elettrici per incamerare altri profitti a rischio di investimento ridotto ma capace anche di fermare un modello alternativo di generazione distribuita più efficiente e incentrata sulle rinnovabili, con la nascita di centinaia di nuove piccole e medie aziende. Una “rivoluzione dal basso” potremmo dire che, in Germania e Spagna, che da tempo hanno imboccato questa strada a discapito del nucleare, ha prodotto anche centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma che lede interessi e sistemi di potere e controllo. Il ritardo rispetto agli obblighi presi a Kyoto nel 1997 e nei successivi vertici ambientali non può essere certo colmato da questa opzione che è, invece, tutta interna alla riproposizione di un modello di controllo e di profitto del sistema oggi in crisi globale finanziaria ed economica.
La battaglia per la difesa delle risorse naturali, dei beni comuni, per un modello diverso di produzione e consumo alimentare ma, anche, di relazioni e legami sociali tra comunità che rappresenta la critica concreta e praticabile al modello di politiche agricole della globalizzazione neoliberista sino ad oggi dominante, si lega necessariamente, quindi, con la battaglia contro il nucleare e quel modello di produzione energetica improntato sui monopoli sulle fonti energetiche fossili (petrolio e gas) e di produzione, costituito da grandi impianti energivori, grandi reti di distribuzione, mistificazione sulle fonti rinnovabili come il ciclo dell’incenerimento e produzione di calore ed energia dai rifiuti o quello, recente, della produzione di energia da impianti su grandi dimensioni e grandi scale di rifornimento da biomasse vegetali.
Per rivolgersi, in alternativa a questa prospettiva, alle fonti rinnovabili da energia pulita, con reti diffuse e distribuite sul territorio, promuovendo esperienze sostenibili di recupero e riuso dei materiali con rendimenti anche energetici: un contesto che rappresenta sia una opzione di mercato a cui si rivolgono gli esecutivi nazionali più attenti ma, soprattutto, le comunità locali, le esperienze e reti di base ed altro ancora che rappresentano la ricchezza per uno scardinamento possibile dell’attuale modello a favore di un nuovo sistema di relazioni, di economia e di sviluppo.
Nell’appuntamento del Festival-Incontro “Questa terra è la nostra terra” proviamo a discutere di queste possibilità, di come metterle in relazione, di come dare forza alla ricchezza potenziale di queste esperienze.
Ma anche come costruire un movimento di opposizione alla scelta nucleare e alle politiche di sfruttamento delle risorse naturali, di impoverimento dei suoli, di industrializzazione dei gusti e degli alimenti. Azioni concrete, iniziative forti, attraverso anche campagne di opinione, consultazioni e referendum, ad esempio, dove necessario.

Vedi anche:
Lo speciale sul Festival/Incontro "Questa terra è la nostra terra"

Link
questaterralanostraterra.blogspot.com

12.4.09

Programma del Festival "Questa terra è la nostra terra"

Montebelluna (Tv) - Festival "Questa terra è la nostra terra" dal 15 al 19 aprile

[ Vai al blog del festival Questa Terra è la nostra Terra ]

- Mercoledì 15 aprile, Montebelluna (TV) - PalaMazzalovo
Ore 21.00
“Par Vardar” Recital di Marco Paolini
Ingresso 12 euro

- Giovedì 16 aprile, Treviso - Piazzetta Indipendenza
Contro l’arroganza delle transnazionali
Ore 18.30
Mauro Millan dalla Patagonia racconta "l’invasione" di Benetton
Saranno presenti:
Oscar Olivera – Bolivia, Subramaniam Kannaiyan – India, Francinaldo Correia - Brasile

- Venerdì 17 aprile, Montebelluna (TV) - Quilombo - Area Sansovino - PalaMazzalovo
Il futuro appartiene a noi, Giornata Mondiale di via Campesina

Ore 19.00
Aperitivo e stand locali

Ore 21.00
Crisi climatica, crisi energetica, crisi economica.
Quali alternative per un diverso modello di sviluppo
Ne discutiamo con:
Oscar Olivera, Portavoce della Coordinadora de defensa del Agua y la Vida - Cochabamba (Bolivia)
Giuseppe Caccia, Uninomade Nord Est
Paolo Cacciari, Giornalista di Carta
Guido Viale, Scrittore ed economista ambientale
Alberto Zoratti, Cooperativa Fair di Genova

- Sabato 18 aprile, Montebelluna (TV) - Quilombo - Area Sansovino - PalaMazzalovo
Questa terra è la nostra terra

Dalle ore 15.00
Mercato – Mostra – Esposizione
Produttori locali, biologici, associazioni, comitati

Ore 16.00
Crisi alimentare, crisi ambientale. I movimenti in resistenza per la difesa della terra e dei beni comuni Vilma Mazza - Associazione Ya Basta e un’esponente di Rete Radiè Resch ne discutono con:
Mauro Millan – Patagonia, Portavoce Popolo Mapuche
Subramaniam Kannaiyan – India, Associazione dei contadini del Tamil Nadu
Francinaldo Correia - Brasile, Movimento Sem Terra

Ore 20.00
Proiezione del Video “La Degna Rabbia”
Immagini, interviste realizzate in Messico e Chiapas al Primo Festival Mondiale della Rabbia Degna promosso dagli zapatisti in dic/gen ’09

Ore 21.30
Tolo Marton in Concerto

- Domenica 19 aprile, Montebelluna (TV) - Quilombo - Area Sansovino - PalaMazzalovo
I nostri territori: un bene comune

Dalle ore 10.00
Mercato – Mostra – Esposizione
Produttori locali, biologici, associazioni, comitati

Ore 10.00
Nell’epoca della crisi globale.
Gli scenari del mondo agricolo. Quale futuro per produttori e consumatori.

Incontro con:
Roberto Pinton, Assobio
Emanuela Ussia, Presidente Aiab Veneto
Denis Susanna, Presidente provinciale Cia
Modera Cristiano Gasparetto - Italia Nostra
Sono state invitate le associazioni di categoria

Ore 12.00
OGM: una minaccia per la salute e le tradizioni agroalimentari. Alternative biologiche e locali per lo sviluppo rurale.
Coordina Federico Fazzuoli
Con Giuseppe Altieri, Giuseppe Nacci, Enrico Lucconi, Pietro Perrino
Testimonianze internazionali

Ore 16.00
Riflessioni sul nucleare: una minaccia da sventare
Con Gianni Tamino e Gianfranco Bettin
A seguire
Assemblea – incontro dei comitati, reti, associazioni ambientali e in difesa dei beni comuni del Nord Est

Ore 21.00
Spettacolo Reading teatrale con Mirko Artuso

9.4.09

Biodigestore: la risposta del Comitato al sindaco Zambarda

Risposta alla lettera del Sindaco sulla questione “biodigestore”

Lo scorso fine settimana il sindaco di Lasino Mario Zambarda ha inviato "Ai cittadini del Comune di Lasino" - a titolo personale - un pieghevole di sei facciate.
Gli intenti dichiarati di tale comunicazione sono: "… chiarire ogni possibile dubbio sull'annosa querelle apertasi sul ciclo dei rifiuti e puntualizzare la posizione dell'Amministrazione in carica sulla battaglia di disinformazione che da qualche tempo anima la nostra valle e che ci sta trascinando in una sorta di cupio dissolvi".

Delusione dei comitati
Assoluta è stata la delusione nello scoprire che, anche in questa occasione, non c’è stata nessuna apertura al dialogo ma al contrario una serie di recriminazioni dal tono infastidito e accuse fuori luogo, soprattutto dopo che lo stesso Sindaco Zambarda, con una lettera indirizzata al Comitato di Lasino (datata 6 marzo - prot. 947), oltre a prendere atto della costituzione del Comitato Bene Comune di Lasino, riportava testualmente:

"Si evidenzia che l'attività di questa amministrazione è sempre stata improntata ai principi di massima trasparenza e di promozione e valorizzazione della partecipazione dei cittadini all'azione politica ed amministrativa comunale. É intenzione pertanto dell'amministrazione comunale continuare a perseguire tali principi ed obiettivi e instaurare con il vostro comitato un rapporto collaborativo e trasparente nell'interesse dell'intera collettività…"

Nessuna apertura
Di fatto il Comitato di Lasino non è stato mai contattato dall'amministrazione comunale di Lasino per un incontro, pur avendo cercato più volte – ma senza risultato - un dialogo costruttivo sia con la Giunta che con la Maggioranza.
Sulla trasparenza non crediamo di doverci soffermare più di tanto, visti i tentativi di accordi occulti tra l'amministrazione comunale di Lasino e la minoranza per escludere il Comitato da qualsiasi tipo di coinvolgimento; accordi respinti con fermezza dalla minoranza (Biodigestore, salta l'accordo "sotto banco" - l'Adige - 1 aprile 2009).

A parte le considerazioni e le spiegazioni più o meno corrette riportate nel pieghevole fatto recapitare dal Sindaco Zambarda – che non crediamo possa “chiarire ogni possibile dubbio” come auspicato dallo stesso e sulle quali avremo modo di informarvi puntualmente, vogliamo proporre alcuni spunti di riflessione.

Informazione e condivisione
Da quanto emerge dal pieghevole, il Sindaco Zambarda ritiene che un paio di articoli sui quotidiani (uno datato 2006 ed uno 2007) e una riunione con la popolazione (Lasino - dicembre 2008, Calavino - gennaio 2009) siano da considerarsi “tre anni di dibattito”…

Ricordiamo a tutti che democrazia vuol dire confronto, trasparenza e condivisione…ognuno può trarre le proprie conclusioni.
Se una rilevante porzione della comunità, anche raccogliendo firme, esprime forti perplessità, necessità di chiarimenti o contrarietà a un progetto, è dovere di qualunque amministratore prendere in considerazione la voce della popolazione e non gridare al complotto.

Se oltre alla popolazione del comune si muove la popolazione della Valle dei Laghi e si fanno sentire esponenti del mondo culturale, ecclesiastico, economico e politico non solo locale il fermarsi non è solo “buon senso”, è d’obbligo!

Progetto sovracomunale
Ribadiamo ancora una volta e con forza che l’impianto in questione, se realizzato, avrà un impatto su tutta la Valle dei Laghi e coinvolgerà anche i residenti di altri comuni, soprattutto Calavino. L’atteggiamento dell’Amministrazione di Lasino, ribadito anche dal Consigliere Comunale Marco Bassetti che dice testualmente “… E poi, perché il parere di Calavino dovrebbe pesare così tanto?” (l’Adige –
1 aprile 2009), ci lascia profondamente amareggiati.
Assurdo ed illogico è il non condividere tale progetto tra tutte le amministrazioni
comunali anche in vista della nascente Comunità di Valle.

Controriflessioni
Verso la fine del pieghevole - nella sezione Riflessioni - il Sindaco Zambarda dice: "Infine, temo che questo dibattito sia fortemente condizionato dalla vicinanza con le elezioni comunali del 2010 che ha fatto prevalere logiche di parte e ambizioni personali ...".

Di sicuro la questione "biodigestore", per come è stata gestita (o non gestita), ha alzato il livello di discussione politica dei cittadini di Lasino, Calavino e dell'intera Valle dei Laghi e questo, in democrazia, può essere solo un bene.

Valle dei Laghi, 4 aprile 2009

I comitati "Bene Comune" di Lasino e Calavino

Primiero: in consiglio comunale nove no al protocollo

FIERA DI PRIMIERO - Si è sfiorata l'unanimità, per affossare il protocollo d'intesa sulle aree sciistiche con il quale si vuole dare ossigeno alle moribonde società impiantistiche di Siati e Rosalpina, portandole alla fusione, e realizzare il collegamento con passo Rolle.
Il consiglio comunale di Fiera di Primiero - usciti dall'aula il sindaco Daniele Depaoli (vicepresidente di Siati), l'assessore Erwin Filippi e il consigliere di maggioranza Luigi Boso (coinvolti nello studio d'impatto ambientale) - non ha avuto dubbi: questa impostazione del problema non funziona, per un sacco di motivi. Da ottobre se ne discuteva, mai però si era arrivati a una presa di posizione finale.
Degli undici rimasti in aula, solo due, Giuliano Gubert della maggioranza e Giuliano Baggetto del gruppo di minoranza, hanno votato a favore del protocollo. Nessun astenuto, tutti gli altri nove sono contrari. Era nell'aria; anche se non in termini così perentori.
La piccola ma centralissima Fiera, ultima a dover deliberare su questo argomento, rischia con questa sua mossa di rilanciare in un'altra ottica l'intera questione, dando forza a quelle contestazioni al progetto finora rimaste nel limbo o esplicitate solo per bocca di un pugno di contrari. Al di là del risultato finale della votazione, pesa il documento sottoscritto dai cinque membri della maggioranza: il vicesindaco Francesca Franceschi , l'assessore Giacomo Simion e i consiglieri Riccardo Debertolis, Fiorella Broch e Stefania Lott .
È una disanima a tutto tondo, che contesta un tale impegno finanziario (22 milioni complessivi) in un momento di crisi, i costi di gestione sommati al forte indebitamento, la poco condivisione al progetto da parte di molti operatori economici della valle e l'etichetta di «mobilità alternativa» appiccicata al progetto. Per non parlare dell'ormai nota questione ambientale.
«Siamo favorevoli al collegamento, ma non a quello ipotizzato da tale protocollo. Ci auguriamo che la Comunità di valle consideri altre possibilità meno impattanti, più economiche e condivise». La stessa conclusione che era stata ipotizzata dai Comuni per bocca del presidente del comprensorio Cristiano Trotter a maggio scorso, in occasione dell'assemblea di Rosalpina, e che aveva scatenato la veemente reazione dei privati. Anche la minoranza di Bruno Simion , escluso come detto Baggetto, è su questa linea; rimarca «l'assenza di un progetto unitario di messa in rete delle aree sciistiche», sottolinea «le criticità dell'attuale soluzione progettuale e la mancanza assoluta nel protocollo di interventi infrastrutturali e di servizi primari necessari alla località di San Martino di Castrozza». A latere, la posizione del primo cittadino che se avesse potuto votare avrebbe detto «sì» al protocollo.

Fonte: l'Adige del 9.04.09

7.4.09

Il made in Italy della terra C'è un tesoro nascosto nei campi

Nessuno vuole più fare il contadino in Italia, ma la nostra agricoltura nasconde mille risorse. Perfette per portarci fuori dal tunnel della crisi.

di CARLO PETRINI

L'Italia agricola è un "Paese per vecchi". Abbiamo un contadino giovane, sotto i 35 anni, ogni 12,5 agricoltori con più di 65 anni. Niente di paragonabile a Francia e Germania dove lo stesso rapporto scende rispettivamente a 1,5 e 0,8. Verrebbe quasi spontaneo lanciare un appello ai giovani: "Uscite dai call center, andate nei campi!". Fatevi il favore di un lavoro meno precario, più creativo, più gratificante, dove siete i padroni di voi stessi, per ritrovare un sano rapporto con il mondo.

Bisognerebbe pensare e parlare non solo di crisi dell'agricoltura, ma di agricoltura come una delle possibili vie d'uscita dalla crisi. La formula purtroppo però non è così scontata, perché evidentemente in Italia tornare alla terra o continuare il lavoro di padri agricoltori non è facile: il Paese, preso dall'ansia di rilanciare i consumi, l'industria e l'edilizia, un'opzione del genere neanche se la immagina. O se la immagina male.

I commenti di alcuni politici, in questo periodo, ricordano la vecchia pubblicità di un'azienda di pennelli. L'ingenuo manovale diceva: "Per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande" e quasi stramazzava sotto il peso di un arnese così gigantesco da non essere funzionale. È la logica che guida quanti oggi si precipitano a spiegare che la crisi è "globale" e tali devono essere le soluzioni: grande scala, impatto internazionale, industria, potenziamento dell'export...

Al contrario, si arriva addirittura a dileggiare le soluzioni che individuano percorsi locali, cicli brevi, potenziamento delle filiere corte, delle reti e delle economie locali: soluzioni leggere, rapide, partecipate ed immediatamente efficaci. In questo modo ci si dimentica che le nostre campagne si stanno spopolando come non mai e nemmeno si aiutano i giovani con i giusti incentivi o lo snellimento di pratiche burocratiche sempre più vessatorie.
L'agricoltura in Italia determina la formazione del 15% del Pil relativo all'agroalimentare, dà lavoro al 4% della popolazione occupata. Gli addetti sono in costante calo: 901mila nel 2008, 924mila del 2007 e 982mila nel 2006. I giovani sono il 2,9% del totale, anche qui, di lunga molti meno che in Francia e Germania (7,5% circa in entrambi i Paesi). Sono dati che dovrebbero calamitare l'attenzione non solo di chi governa, ma in generale di chi vuole comprendere e analizzare le pieghe dell'attuale crisi e, allontanandosi dagli slogan, provare a capire come sta funzionando il Paese in questo periodo, come si stanno comportando le persone, le aziende, i consumi, le vite reali.
Invece un malinteso senso della modernità e del business porta ormai molti politici ad allontanarsi sempre più dalla considerazione dei territori e delle loro peculiarità ed esigenze, per riferirsi esclusivamente ai mercati per lo meno nazionali, ma preferibilmente internazionali. Il che significa filiere lunghissime, trasporti, monocolture, grande distribuzione, necessità di input chimici per le coltivazioni, apertura agli Ogm. Significa, sostanzialmente, ulteriore industrializzazione del modello agricolo: grandi quantità, uniformità, concentrazione e priorità alle esigenze di chi vende piuttosto che a quelle di chi coltiva e consuma. La parola magica è "competitività", e quindi "export", ovviamente riferito al "made in Italy".

Propongo di guardarlo in faccia il "made in Italy" del cibo, e di guardargli anche le mani, le scarpe, le rughe, le aziende. Guardiamo anche gli estimatori del made in Italy. Non ci sono solo quelli che lo apprezzano da casa, acquistando i prodotti italiani o che presumono essere tali. Ci sono anche, e sono tanti, quelli che vengono in Italia non per ammirare le autostrade, le ferrovie, i porti grazie ai quali esportiamo il made in Italy, ma per sentirsi accolti da una cultura legata a prodotti, sapienze e gesti che hanno dato vita a paesaggi, comunità e solide economie. Vengono per stupirsi, ogni volta, della straordinaria varietà che il nostro mondo rurale e gastronomico può offrire. Possibile che tutto questo non conti niente? Possibile che tra i tanti incentivi e appoggi finanziari, o per lo meno facilitazioni, non ce ne possano essere anche per chi è attirato da questo mestiere, certo faticosissimo, ma di grande futuro?

Invece no, si dice che il settore non è competitivo, che le nostre aziende, sempre più vecchie, sono troppo frammentate, che ci vorrebbe maggiore concentrazione: più agricoltura industriale di grande scala, meno persone nelle campagne. E poi si porta ad esempio, per esaltare il made in Italy, il settore del vino. Ma è proprio sulla frammentazione, sulla diversità dei territori e di tante piccole aziende creative e innovative, tutte concentrate sulla più alta qualità, che il vino italiano ha costruito i suoi successi.
La stessa cosa dovrebbe avvenire, essere promossa e finanziata, per tutti gli altri settori agricoli, per tutte le produzioni che possono fare della diversità e del radicamento sul territorio il loro punto di forza: ciò che non a caso ha reso fino ad oggi grande la nostra agricoltura e la nostra gastronomia, ciò che ha generato quell'appeal che si chiama anche "made in Italy". Non è solo sulle esportazioni che bisogna puntare: è sulla capacità dei nostri territori rurali di essere al servizio del Paese, a condizione che anche il Paese si metta al loro servizio.

Disoccupazione? Il Ministro dell'agricoltura giapponese ha finanziato per 800 persone che hanno perso il lavoro uno stage di 10 giorni per imparare a produrre e vendere ortaggi e frutta. Dopo il corso formativo i disoccupati lavoreranno per un anno in villaggi agricoli. Dall'altra parte del Pacifico, il dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti ha annunciato l'apertura di circa 300mila nuove aziende agricole negli ultimi anni. Una tendenza favorita dal programma per l'agricoltura definito dal nuovo presidente degli Stati Uniti: incoraggiare tramite detassazioni e finanziamenti agevolati i giovani a diventare agricoltori, incentivare l'agricoltura locale, sostenibile e biologica, promuovere le energie rinnovabili, assicurare la copertura della banda larga nelle aree rurali, migliorare le infrastrutture nelle campagne ed estendere l'obbligo di indicare l'origine degli alimenti in etichetta per consentire di distinguere il proprio prodotto da quello importato.

Noi invece vogliamo più cemento, più villette, più aziende agricole concentrate nelle mani di imprenditori sempre più vecchi, che rifiutano addirittura di farsi chiamare "contadini" e che diventano campioni di un sempre più anonimo export. Se dal 4% di occupati in agricoltura si provasse a passare anche solo al 5% o al 6%, come cambierebbe questo paese? Perché nessuno scommette sul settore, perché non si potenziano i mille rivoli di economia e produzione virtuosa che l'agricoltura di piccola e media scala consente? L'agricoltura italiana di qualità non può, non deve e soprattutto non vuole diventare "un paese per vecchi": occorre dare valore all'entusiasmo che oggi tanti giovani potrebbero mostrare per l'attività, considerando seriamente il comparto come uno dei più sani e potenti mezzi per reagire alla crisi. Anche così il made in Italy eviterà di diventare un'etichetta inutile e vuota, e sarà sempre meno facile imitarlo.

Fonte: Repubblica.it del 7 aprile 2009

Crisi, contro l'emergenza a tutto GAS

di Carmela Giudice, da Ansa.it del 5.04.09

Per difendersi dalla crisi, molti consumatori si rifugiano nei gas (gruppi di acquisto solidale), un fenomeno nato, in Italia, negli anni Novanta, che negli ultimi sei mesi ha però avuto un fortissimo incremento. "Da settembre la crescita è stata esponenziale - spiega Alessia Schiaffini di Gastelli, il gruppo dei Castelli Romani -. Sempre più persone si accostano ai gas perché il potere d'acquisto è diminuito: si cerca una forma di economia diversa".
Ad oggi sono oltre 550 i gas in Italia, secondo il sito www.retegas.org; molti però non sono registrati, per cui si stima che il numero effettivo sia circa il doppio. Ad ogni gruppo d'acquisto partecipano in media 25 famiglie: sono quindi circa centomila le persone coinvolte per una spesa di 2.000 euro l'anno a famiglia. Ogni componente del gruppo è responsabile di un prodotto. "Io mi occupo dell'acquisto della carne - racconta Loredana Bucciarelli (Gastelli) -. Ricevo gli ordini via mail, li trasmetto al nostro produttore locale, il giorno della riunione mensile prendo la merce e la consegno agli altri".
I risparmi maggiori si registrano sui prodotti alimentari: frutta, verdura, legumi e cereali, sui quali si possono ottenere sconti tra il 20 e il 50% rispetto al prezzo di mercato, con la certezza di avere un prodotto di qualità. "Di recente abbiamo anche un produttore di abbigliamento - spiega Riccardo Biagi (Gastelli) -. E' di Varese, ci fa uno sconto del 35% rispetto a quanto pagheremmo in negozi o supermercati". L'ultima tendenza dei gas è l'acquisto di energia: i gruppi comprano collettivamente pannelli fotovoltaici o ottengono contratti particolarmente vantaggiosi dai gestori di energia elettrica. "I consumatori hanno capito che devono avere un ruolo più attivo - dice Alessia Schiaffini -. Questo richiede un maggior impegno personale, rispetto a quello che serve per buttare merce nel carrello di un supermarket, ma consente di risparmiare soldi e, soprattutto, di supportare un'economia alternativa".
I gas sono infatti nati con l'obiettivo di comprare cibo più naturale, biologico, direttamente dal produttore, senza intermediari. I gruppi d'acquisto si rivolgono ad artigiani e commercianti locali, riuscendo in questo modo a sostenere le piccole imprese del territorio e, nello stesso tempo, impegnandosi a far diminuire gli spostamenti delle merci, con un consequenziale minor impatto sull'ambiente. Ma i "gasisti", come loro stessi si definiscono, non si fermano alla spesa.
Molto spesso scelgono anche di farsi pane, pasta, yogurt, detersivi e saponi da soli a casa, ottenendo un ulteriore risparmio e riducendo ancora di più l'inquinamento.

5.4.09

Festival-incontro " Questa Terra è la nostra Terra!"

Officina Ambiente aderisce al festival-incontro "Questa Terra è la nostra Terra!", il contro G8 sull'agricoltura di Treviso

Dal 18 al 20 aprile 2009 si terrà in provincia di Treviso il summit del G8 dei ministri dell’Agricoltura in cui verranno definite le politiche mondiali in tema di agricoltura.
Crediamo che questa sia un’occasione importante per dare voce alle esperienze di tutt* coloro che, nel nostro territorio e nel mondo, lottano per la sovranità alimentare, contro gli OGM, per la qualità dell’ambiente e del cibo, per la difesa, l’uso sostenibile e la democrazia delle risorse naturali, in una parola, per la nostra terra.
Viviamo oggi la crisi profonda di un sistema globale, basato su sfruttamento, distruzione ambientale, saccheggio delle risorse, povertà, che ha dimostrato i suoi profondi limiti ed è per questo che pensiamo ci sia la necessità di intraprendere un nuovo cammino che ritrovi, nel rapporto con la terra e con l’ambiente, il senso di un’umanità degna.
Per questo proponiamo a tutte le realtà della società civile, agli agricoltori, ai comitati per l’ambiente, ai gruppi d’acquisto solidale, di dare vita al Festival-Incontro "Questa terra è la nostra terra" come momento di discussione, confronto e mobilitazione in Provincia di Treviso nei giorni di aprile del G8.Un occasione per valorizzare in comune i legami con la terra, la civiltà contadina, la produzione agroalimentare tipica, libera dagli OGM, le mobilitazioni contro la devastazione ambientale, le alternative energetiche e la creatività dei nostri territori.Un momento di narrazione collettiva di un diverso rapporto con la terra, con l’ambiente e con le risorse.
A Trento, martedì 14 aprile, si terrà un appuntamento di avvicinamento al Festival organizzato dall'Associazione Ya Basta in collaborazione con l'Associazione Yaku: ospite dell'incontro sarà Oscar Olivera del Coordinamento in difesa dell'acqua e della vita di Cochabamba, Bolivia.
[ vedi il programma della serata ]


Vai al sito del festival "Questa Terra è la nostra Terra"

2.4.09

Candidati, impegnatevi nel riciclo totale

Perché bruciare i rifiuti se possono essere riciclati?
Se c'è un business nella produzione di energia da rifiuto (prodotta con l'inceneritore e con i paventati rischi per la salute e l'ambiente) c'è un business anche nel riciclo e nel riutilizzo. Lo dimostra l'impianto di Vedelago, in provincia di Treviso, dove gli scarti che non possono essere tradotti in materie prime secondarie subiscono un trattamento di riduzione, estrusione e granulazione ottenendo granulati plastici di varie grandezze, che poi vengono impiegati nell'industria plastica dello stampaggio e nell'edilizia.
I cittadini e i comitati che si battono su questo fronte hanno organizzato una trasferta a Vedelago per venerdì 17 aprile (ritrovo al piazzale Zuffo alle 7.30, prenotazioni entro il 13 aprile), e con un'intera pagina acquistata sull'Adige hanno rilanciato il problema ponendo sei domande precise ai candidati alla poltrona di sindaco di Trento.
Le risposte dei candidati, che verranno poi rese note agli elettori, attengono questioni importanti come il rafforzamento della raccolta differenziata, la scelta di puntare sulla riduzione e sul riciclo della frazione secca restante, la riduzione dell'uso delle discariche, una trasparente e veritiera comparazione dei costi fra i vari sistemi, la tutela della salute e del territorio al primo posto, la garanzia per i Comuni di partecipare alle scelte.
Ai candidati viene chiesta la sottoscrizione di una «Dichiarazione di intenti» che li impegna, nel corso della prossima legislatura «a sostenere, in tutte le forme possibili, il cambiamento di scelta fatto dalla Provincia e dal Comune di Trento che vede l'incenerimento come unica presunta chiusura del ciclo dei rifiuti».

Al link la dichiarazione di intenti e gli approfondimenti curati da Nimby Trentino | vai alla pagina

Puntata di Report sull'energia nucleare

Consigliamo a tutti quanti la visione della puntata di Report andata in onda domenica sera su Rai3 che ha trattato la delicata tematica dell'energia nucleare.