31.3.09

La responsabilità degli impiantisti

di Pierangelo Giovannetti, direttore de l'Adige
fonte: l'Adige del 29.03.09

La stagione sciistica 2008-2009 si ricorderà come una delle migliori degli ultimi decenni, con il record di tredici metri di neve caduta, impianti aperti fino a oltre Pasqua, crescita dei fatturati in media del 15-20% (con punte fino al 40%), sciatori sulle piste da novembre a fine aprile senza bisogno di neve artificiale. Bilanci da record, insomma. Ma ancor prima di cominciare a tirare le somme e a mietere gli utili, gli impiantisti sono partiti in quarta a batter cassa in Provincia per riscuotere la consueta spremuta di milioni pubblici a cui sono abituati.
La giunta provinciale, si sa, da tempo sostiene la tesi che gli impianti di risalita vanno intesi come trasporto pubblico, alimentano il turismo e generano indotto, e da soli senza il sussidio del contribuente - tranne i grossi caroselli come il Dolomiti Superski - non stanno in piedi.

È questa la premessa che sta alla base del progetto di «provincializzare» gli impianti, a cominciare dal Bondone che fa capo alla famiglia di Ernesto Bertoli, «padrone» di Folgarida Marilleva, che a sua volta detiene il 41% delle funivie Campiglio, gli impianti di Pejo, eccetera, eccetera. Si può discutere o meno se sia giusto finanziare con soldi pubblici gli impianti di risalita che non sanno stare sul mercato.
La Provincia ritiene di sì, gli imprenditori che se la sfangano da soli con il rischio d'impresa un po' di meno, ritenendo l'intervento provinciale una concorrenza sleale. C'è una conseguenza però di questa «statalizzazione» degli impianti: il venir meno della responsabilità imprenditoriale. La sicurezza del salvagente della Provincia che copre sempre le perdite garantendo invece agli impiantisti di riscuotere gli utili quando vi sono, infatti porta a dimenticare le regole del mercato. Tanto, se gli affari vanno bene, si distribuiscono i dividendi. Se gli affari vanno male si fa a riscuotere a piazza Dante.

È questa mentalità che è alla base del crac di Aeroterminal, la rischiosa e improvvida operazione speculativo-finanziaria, messa in campo a Venezia dagli impiantisti di Folgarida e Marilleva guidati da Ernesto Bertoli, ora arrivata al capolinea con un'esposizione di 100 milioni di debiti, tra passaggi di proprietà e plusvalenze di decine di milioni di euro intascati da privati, scatole cinesi in cui sono spariti soldi, e denunce e controdenunce su cui sta indagando ora la Procura della Repubblica.
L'«affare» immaginato dagli impiantisti solandri, dai grandi appetiti finanziari ma dall'altrettanto grande sprovvedutezza nella gestione dei soldi (buona parte dei quali pubblici, dei Comuni e delle banche solandre e nonese), si è impantanato nelle sabbie lagunari. Ma ora il buco di Aeroterminal, frutto di scelte sconsiderate e giochi poco chiari, rischia di trascinare a fondo la società madre Folgarida e Marilleva, e l'economia di un'intera vallata con danni sociali ed economici pesantissimi per tutti. Ecco allora che, ancora una volta, a coprire i debiti viene chiamata in causa la Provincia, con iniezioni di milioni per tamponare le falle di una cattiva gestione privata.

Salvare l'economia di una valle è giusto. Evitare che intere comunità siano travolte dalla dissennatezza di alcuni privati, va bene (anche se c'è da domandarsi dov'erano questi Comuni quando c'era da controllare come venivano amministrati i soldi e decisi gli investimenti). Ma non può essere che chi ha determinato la voragine, incassi ancora una volta, e tutto resti come prima. In questa Autonoma Provincia, che il resto d'Italia invidia per la disponibilità di risorse, il principio di responsabilità si è da troppo tempo appannato. Quando si verificano buchi di malagestione e incapacità imprenditoriale (come nel caso anche del caseificio di Fiavé), nessuno è responsabile. È ora di tornare a rimetterlo al centro. E se la Provincia ritiene di «salvare» le funivie Folgarida e Marilleva dai sigilli della bancarotta, va bene. Ma gli azionisti privati causa di questo crac, devono uscire definitivamente di scena, assumendosi la loro responsabilità e pagando di tasca propria, non ancora una volta con i soldi della collettività. La vicenda Aeroterminal è un caso emblematico di come troppe garanzie pubbliche finiscono per uccidere lo spirito di imprenditorialità. O meglio, lo alimentano con i soldi degli altri, secondo la nota massima «perdite pubbliche, profitti privati».
Non può più accadere che chi gestisce un impianto di risalita in val di Sole, con bilanci in attivo, si sogni di investire in terreni e compravendite e ristorni immobiliari, perché tanto se va male, è la Provincia a pagare. Stavolta l'intera comunità trentina si attende dal governatore Dellai e dalla sua giunta una scelta esemplare.
p.giovanetti@ladige.it

Sulla questione soldi agli impiantisti vi consigliamo di leggere:


26.3.09

«Basta coltura intensiva e pesticidi»

Riportiamo due articoli scritti da Sandra Matuella del Trentino sul dibattito di domenica 22 marzo.
A breve pubblicheremo gli audio dell'intera giornata.


Fonte: Trentino del 24 marzo 2009, pagina 44


Un incontro dedicato all’agricoltura trentina seguito da una cena biologica con raccolta di fondi a sostegno del comitato Diritto alla salute della Val di Non, si è tenuto domenica pomeriggio al Centro Sociale Bruno di Trento.
Organizzato da Officina Ambiente di Trento e coordinato da Walter Nicoletti, giornalista ed esperto di agricoltura, all’incontro hanno partecipato anche Paolo Cappelletti, medico ed esponente della Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai e Orfeo Petri di Officina Ambiente.
In particolare, sono stati analizzati i pericoli ambientali, sanitari ed economici che derivano dalla forte dimensione industriale che connota gran parte dell’agricoltura e della zootecnica trentina, ad iniziare dalla Val di Non «dove c’è un uso indiscriminato di pesticidi, nocivi per la salute, richiesti dalla coltura intensiva delle mele» ha denunciato Virgilio Rossi del comitato diritto alla salute, che coinvolge oltre mille persone.
«In base ai dati Istat, la Provincia di Trento detiene il triste primato di maggior consumo in Italia di fitofarmaci (per ettaro è 6.3 volte la media nazionale). In Val di Non si è stimato l’impiego di 23 kg/ha di insetticidi, funghicidi e diradanti (53 kg se si aggiungono bagnanti e prodotti secondari)». «Contrariamente all’ordinanza comunale che vieta l’imprudente uso di antiparassitari nei pressi di abitazioni e strutture pubbliche, poiché costituiscono grave pericolo per la salute pubblica - prosegue Rossi - le analisi chimiche provano che i pesticidi sono presenti anche in aree non coltivate, sono diffusi sulla superficie della valle, e in certe zone la contaminazione arriva dentro casa, negli orti e giardini, ed è persistente anche per sei mesi l’anno, nel periodo dei trattamenti».
Virgilio Rossi ha denunciato l’indifferenza dei politici verso questo comitato a favore della salute, e verso iniziative simili, come la petizione di Sfruz, dove su 200 persone ben 150 si sono schierate contro l’agricoltura intensiva, ma sono rimaste inascoltate.
A sostegno del comitato Diritto alla salute, domenica si è schierata anche la neonata associazione Alta Valle di Non. Futuro sostenibile, rappresentata da una Franca Berger più combattiva che mai. «Il nostro è un contesto naturale ancora ben conservato e armonico, apprezzato da una realtà turistica di nicchia - spiega Franca Berger - abbiamo percepito però dei segnali di minaccia, che derivano dalle intenzioni di “invadere” anche l’alta Val di Non con la monocoltura».
Per questo è nata l’associazione Futuro Sostenibile con presidente Giuliano Pezzini, che riunisce i nove comuni da Romeno a Ruffrè e che ha già oltre duemila richieste di adesione. «A maggio, sui nostri praghièi (prati, ndr) ci sarà una grande festa di valle, e proprio con questo spirito comunitario sapremo resistere ai pericoli, perché avremo forti ragioni per chiedere ai politici il perché di certe scelte».

«La Credenza» degli acquisti bio e solidali

Il fenomeno tutto italiano dei gruppi d’acquisto solidale, ossia di persone che comprano insieme alimenti biologici direttamente dai produttori, sta crescendo anche in Trentino con La Credenza, un’associazione nata nel 1999 dall’incontro di alcune famiglie del perginese, e che oggi conta quasi quattrocento associati in tutta la Provincia. Questa realtà in crescita, nasce anche da scelte etiche, per favorire i piccoli produttori che garantiscono le biodiversità dell’ambiente, e quindi un’agricoltura alternativa a quella invasiva delle grosse aziende agroindustrali.
Promuovere un nuovo modo di fare acquisti attento e consapevole, è la missione della Credenza, gruppo di acquisto perginese con una portata provinciale, che compra prodotti biologici e promuove il rispetto dell’ambiente e della salute con una serie di iniziative. Domenica scorsa, ad esempio, Marco Adami, a nome della Credenza, ha partecipato al dibattito promosso al Centro sociale Bruno da Officina Ambiente a sostegno del comitato Diritto alla salute della Valle di Non, che ha denunciato l’abuso di pesticidi legati alla monocoltura intensiva delle mele.
Adami ha parlato del rischio del veleno nell’ambiente anche in Valsugana e Val dei Mocheni con la coltivazione ormai su scala industriale dei piccoli frutti. «Occorre essere sempre più consapevoli che l’acquisto di un prodotto anziché di un altro, causa delle scelte che incidono sull’ambiente e sulla salute delle persone - spiega Giorgio Perini, presidente della Credenza - noi abbiamo scelto una ventina di piccoli produttori biologici trentini, che fanno fatica a resistere per la concorrenza con le grosse aziende. In questo modo sosteniamo un sistema produttivo che attraverso la coltivazione biologica riduce l’impatto ecologico, e nello stesso tempo, ricostruiamo i rapporti tra produttori e utilizzatori, li chiamiamo così anziché consumatori, termine questo che dà l’idea di un atteggiamento volto a sfruttare le risorse».
La vostra è quindi una scelta etica? «Assolutamente sì: contro le multinazionali che hanno come unica finalità il profitto vogliamo tornare a controllare il sistema produttivo con un rapporto diretto con le singole aziende. E stiamo sempre più incidendo sulla realtà produttiva degli agricoltori perché con i nostri soci ormai possiamo garantire un mercato sicuro e per soddisfare le nostre esigenze molti sono incoraggiati a passare dalla coltivazione convenzionale a quella biologica certificata».
Qual è il vostro socio tipo? «Come età spazia dai venti agli ottanta anni, mentre ciò che accomuna un po’ tutti è un’elevata sensibilità verso l’ambiente e le persone, unita alla voglia di essere protagonisti attivi delle proprie scelte, senza subire passivamente quelle imposte da altri».

25.3.09

Pinzolo-Campiglio, ambientalisti furenti

Con questa lettera le scriventi associazioni esprimono un sentimento di amarezza, perché il Comune di Pinzolo e la Giunta Provinciale di Trento alla fine hanno veramente deciso di riempire, e così rovinare, il paesaggio, unico al mondo e denso di significati storici e culturali, dell'area di pregio che gravita intorno alla Val Brenta, di nuovi impianti di risalita e piste da sci.
Questo intervento di grande impatto paesaggistico, nato con la vecchia logica del turismo dello sci di massa, ma in presenza di un mercato dello sci bloccato, che non conosce più crescita o espansioni possibili, è stato deciso senza una vera partecipazione popolare.
Questo ci pare, se possibile, anche peggio dell'impatto stesso sulla natura e sul paesaggio e dell'iter procedurale, che a nostro avviso viola la logica giuridica: la comunità della Val Rendena e la comunità trentina non hanno, come in molti altri casi, costruito alcun percorso di partecipazione e confronto pubblico su scelte di carattere urbanistico, di carattere economico e sociale di forte impatto.
È avvenuto qui quello che è avvenuto per altri casi di interventi pesanti sul territorio e sugli assetti economici, con ingenti investimenti di denaro pubblico, che per anni condizionano la struttura economica e le relazioni fra gruppi di potere o di interesse, cittadini, categorie economiche, amministrazioni. Citiamo i casi della Val Giumela, di Folgaria, di Tremalzo o lo stesso percorso verso Dolomiti Patrimonio Unesco: nessuna vera partecipazione dei cittadini, decisioni prese dall'alto, con Consigli Comunali che operano scelte importanti senza dare ai cittadini la reale possibilità di un confronto aperto, informato, con tempi e strumenti adeguati. E così, in questa superficialità e grossolanità dei percorsi, il Trentino sta perdendo uno dei caratteri fondamentali della sua storia autonomista: l'idea storicamente consolidata di Uso Civico come luogo di governo comunitario del territorio.
Quell'idea di Uso Civico, del resto, vediamo emblematicamente assalita anche nella valle del porfido (la Val di Cembra), dove accanto alla rovina sempre più estesa del territorio rapinato dagli scavi, si agita ora apertamente il conflitto tra le Associazioni degli Usi Civici e gli interessi finanziari delle singole aziende private, tra la salute dei lavoratori, la qualità del mercato e le prospettive per il futuro e la contingenza dei bilanci piegati sul massimo guadagno a qualunque prezzo. Se nel caso di Tremalzo l'importante bene centenario dell'Uso Civico di un pascolo monticato si voleva vendere per un piatto di lenticchie, nel caso del collegamento Pinzolo- Campiglio si è deciso di stralciare l'idea di rigore nella tutela dentro un Parco, di spacciare, con una vera bugia, impianti di risalita per sciatori come «mobilità alternativa e integrata» e soprattutto di sacrificare la complessità della vita sociale e politica per un obiettivo territoriale ed economico del quale nessuno, che sia intellettualmente onesto, intravede il senso e la capacità di futuro.
Noi crediamo invece che alla Val Rendena serva altro: servizi sociali, partecipazione, qualità e diversificazione imprenditoriale, attenzione alle specificità del territorio, maggiore distribuzione del reddito da turismo, filiere corte, agriturismo, agricoltura biologica, offerta culturale e sportiva tutto l'anno, servizi per le imprese, la riqualificazione del centro storico di Madonna di Campiglio, maggiore integrazione fra le offerte dei diversi comparti economici e dei diversi centri territoriali e infine una vera mobilità sostenibile, orientata a spostare lo spostamento dal mezzo privato a quello pubblico, fatta di mezzi pubblici su gomma o minirotaia, orari dei mezzi flessibili e adatti alle esigenze degli spostamenti, centri di informazione, integrazione dei mezzi, collaborazione degli operatori economici e altro ancora.
Ai trentini e agli abitanti della Val Rendena, come agli amministratori pubblici, chiediamo quindi una riflessione profonda sul nostro territorio, sulle nostre pratiche decisionali, sul nostro futuro e di ricostruire la partecipazione e il senso forte della cittadinanza attiva e responsabile che, ci pare, si stato largamente smarrito. Non solo di paesaggio e denaro si tratta, quindi, ma di quella cittadinanza che ancora dovremmo percepire come una preziosa opportunità che la storia (e il sacrificio di molti) ci ha consegnato.

Italia Nostra Sezione di Trento
Legambiente Trento
WWF Delegazione del Trentino-Adige

* Vignetta da QuestoTrentino

23.3.09

Biodigestore, niente gita ad Amburgo

VALLE DEI LAGHI - «Grazie a Pacher per l'invito, ma noi ad Amburgo non andremo». I comitati cittadini di Lasino e Calavino, che si oppongono alla realizzazione di un biodigestore a Predera, non andranno in Germania con la delegazione dei sindaci della Valle dei Laghi. «Per noi la visita all'impianto realizzato nella città tedesca è inutile», fanno sapere i portavoce dei due gruppi di protesta Oreste Pisoni e Michele Gianordoli . «Inutile - dicono - perché, da mesi abbiamo dati e contatti diretti con la Germania». «I membri dei comitati, dove militano anche medici e tecnici, conoscono quel genere di stabilimento per la produzione di biogas».
I comitati non sono soddisfatti dall'esito dell'incontro tenutosi fra l'assessore all'ambiente Alberto Pacher , il sindaco di Lasino Mario Zambarda e i primi cittadini degli altri comuni della valle: un incontro nel quale il sindaco di Calavino Mariano Bosetti ha ribadito la netta contrarietà della sua amministrazione alla localizzazione dell'impianto (18.000 tonnellate/anno di rifiuti) a Predera, «a ridosso di case e coltivazioni». Dopo i segnali di apertura dati da Pacher, che aveva parlato di «necessaria condivisione» con le amministrazioni locali e con la gente (l'80% degli abitanti di Calavino ha aderito al documento di protesta), ai comitati la visita ad Amburgo suona come un «andiamo avanti con il progetto, nonostante l'opposizione degli abitanti».
In valle c'è tensione. «Nessuno grida al lupo! al lupo! C'è un problema reale». Vengono quindi annunciate nuove azioni di protesta, come a Campiello, dove i convogli-lumaca hanno bloccato la Statale della Valsugana. «In ballo - dice Oreste Pisoni - ci sono la difesa della salute della popolazione, il rispetto dell'ambiente, il rispetto della qualità della vita in valle e la questione della tutela paesaggistica». Michele Gianordoli spiega che i cittadini sono stati offesi: «Ci dicono che non conosciamo i dati? Siamo molto documentati. Chiediamo incontri a Comune e Provincia, ma non riceviamo risposta. Il problema vero è che a Lasino non c'è partecipazione: è da tre mesi che il sindaco non convoca il Consiglio comunale. È il Consiglio che dovrebbe decidere su questioni di questo tipo, non il sindaco da solo. Dov'è la condivisione di cui si parla tanto?». I
comitati fanno notare che gli impianti tedeschi non possono essere «fotocopiati» e portati in realtà montane, «vocate all'agriturismo». Hanno raccolto documenti e articoli su recenti fatti di cronaca: esplosioni, con danni a cose e persone, verificatisi in Germania. «Come si fa a mettere sullo stesso piano Amburgo e la Valle dei Laghi? Amburgo - dice Pisoni - è una metropoli, Calavino no. Amburgo è in pianura, Calavino no. Noi abbiamo l'Ora del Garda, che soffia sulla montagna, gli amburghesi no. Non ci sentiamo garantiti. Abbiamo raccolto il sostegno di pezzi importanti della società civile e della politica. Ci aspettiamo che Comuni e Provincia non ci ignorino. Ci era stato promesso che nessun progetto sarebbe stato imposto e che ci sarebbe stato dialogo. Di questa iniziativa della gita, ad esempio, abbiamo saputo dai giornali».

Fonte: l'Adige del 22 marzo '09

Vedi anche: Lasino: biodigestore indigesto

22.3.09

Dibattito sull'agricoltura e cena a sostegno della salute in Val di Non

Domenica 22 marzo ore 16.00
Centro sociale Bruno, via Dogana n.1 – Trento


Dibattito
Pericolo agroindustria:
le alternative dell’Altra Agricoltura al tempo della crisi


Interverranno:

Coordina Walter Nicoletti, giornalista ed esperto di agricoltura
- Virgilio Rossi, comitato diritto alla salute della Val di Non
- Roberto Cappelletti, Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai
- Alvaro Armanini, C.I.G.E. (Comitato Iniziative Giudicarie Esteriori)
- Orfeo Petri, Officina Ambiente

Sono invitati a intervenire vari comitati locali

Una riflessione comune nei giorni della crisi globale che il sistema neoliberista sta attraversando. Una crisi nuova, ampiamente annunciata, ma che per caratteristiche proprie è al tempo stesso imprevedibile e che pone delle necessità di cambiamento e di trasformazione sociale in tutti i campi.
Una crisi che non risparmia l’agricoltura e il suo vecchio modo di essere concepita: un’agroindustria nociva al territorio, disattenta alla qualità del cibo, maggiormente attenta alla quantità che alla qualità e alla diversità; l’opposto di quella che in questo dibattito vogliamo raccontare e promuovere.
L’Altra Agricoltura trentina, quella sana, quella pulita, quella che porta la ricchezza dei suoi prodotti genuini e sani in città, quella che lascia sicure e felici le nostre valli.
Quell’Altra Agricoltura che non distrugge il territorio, che non vive di marchi sul quale fare solamente marketing.
Quell’Altra Agricoltura che crede ancora che il luogo in cui viviamo, il Trentino, la Terra stessa, deve essere conservato e protetto, e che non lascerà che sia rovinato per gli interessi di pochi agricoltori che si nascondono dietro un logo, sia esso Melinda, Trentino S.p.a, S.Orsola, piuttosto che Federazione delle Cooperative.
Un momento, inoltre, per condividere assieme le nuove lotte che i contadini di tutto il mondo stanno portando avanti al tempo della crisi della globalizzazione, una crisi che si traduce anche in crisi alimentare. Un momento per lanciare le iniziative contro il G8 Agricolo che si terranno dal 17 al 20 aprile a Cison di Valmarino, in provincia di Treviso.

Per quello che il futuro ci riserverà, non possiamo permetterci di farci trovare impreparati.

Ore 19.30
Cena biologica, a cura di Officina Ambiente

Sostieni il diritto alla salute in Val di Non.
Il ricavato sarà destinato al comitato della Val di Non per finanziare le ricerche sulla nocività dei pesticidi.

Per prenotarsi: 3289173733 // officinambientetn@gmail.com

Info:
Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai
Comitato per il diritto alla salute Val di Non
C.I.G.E.

17.3.09

Zootecnia trentina distrutta da una politica assurda

Un vecchio adagio ben conosciuto nel mondo della zootecnia ci ricorda come «è inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati».
Nell'intervista pubblicata dall'Adige il 12 marzo, pagina dell'economia, il consigliere Michele Dallapiccola lancia un j'accuse verso la gestione del Polo Bianco (latte Trento - Caseificio di Fiavé) e dell'intero comparto zootecnico del Trentino.
Noi della Libera Associazione Pastori e Malghesi del Lagorai che abbiamo sollevato da anni la questione esprimendo più o meno gli stessi concetti, vogliamo sperare che queste considerazioni non siano troppo tardive e che si imbocchi finalmente con decisione la strada giusta.
Ci rendiamo conto che di fatto piangere sul latte versato (tanto per restare in tema) è inutile né è pensabile che riaprano le stalle chiuse. Sono passati vent'anni e questo tempo non è stata solo una interminabile e vergognosa agonia di un settore portante della storia e dell'economia del Trentino, ma un percorso lastricato di vittime più o meno illustri: dalla tante diffuse piccole stalle dimesse all'ostracismo di quanti hanno sollevato dubbi e perplessità in merito alle scelte operate.
Un «non disturbare il manovratore» che ha azzerato i cori di protesta e soffocato l'aiuto delle tante realtà messe volutamente in ginocchio a inseguire il mito della zootecnia padana (il grana trentino).
Non c'era bisogno di grandi menti per comprendere come fosse improponibile simile modello eppure quante consulenze, quanti studi e ricerche sono state spese. Quanti ne hanno beneficiato e fatto carriera. Fu solo scarsa lungimiranza?
Oggi non è più accettabile che a giorni alterni politici e amministratori, funzionari e manager diano lezione di Trentino "bel suol d'amore" dopo averne fatto scempio favorendo la chiusura di caseifici con produzioni specifiche e apprezzate come quello di Folgaria e promettendo guadagni migliori con la produzione di scala.
Oggi riflettere sui danni nel settore zootecnico non è fare del facile populismo, ma la triste realtà quotidiana, che l'ennesimo ri-finanziamento - senza un cambio netto di politica - non potrà frenare.
Giuseppe Pallante, Roberto Cappelletti

Info: Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai

16.3.09

Lasino: biodigestore indigesto

Il comitato "Bene Comune" di Lasino nasce nel mese di dicembre quando la popolazione del paese viene a conoscenza, in una accesa assemblea pubblica, che il comune ha intenzione di localizzare, in località Predera, un impianto di smaltimento rifiuti organici - detto biodigestore - con lo scopo di servire tutto il Trentino sud occidentale.
Il comitato fin da subito si pone in modo critico rispetto un progetto per molti versi dannoso. I motivi sono sintetizzati in questi punti:
- la valle dove si trova l'abitato di Lasino dal punto di vista dello smaltimento rifiuti organici
potrebbe benissimo essere autonoma, basterebbe rinforzare il compostaggio domestico;
- l'area che è stata proposta dal comune per la costruzione dell'impianto è solamente a 600 metri in linea d'aria dalle case del comune di Calavino, una posizione che va in contrasto con una norma provinciale che impone una distanza di 1000 metri minima dall'abitato;
- la grandezza dell'impianto richiedeva una gestione del progetto di tipo sovracomunale, vista anche l'imminente nascita della "Comunità di Valle";
- l'iter attraverso il quale questo progetto è stata portato avanti dal consiglio comunale di Lasino è piuttosto discutibile sia in termini di coinvolgimento di alcuni membri della maggioranza stessa, sia dal punto di vista della relazione e della partecipazione con la popolazione del paese e della Valle.

Per queste ragioni il Comitato "Bene Comune" ha chiesto pubblicamente all'amministrazione comunale di sospendere immediatamente l'iter per la realizzazione del biodigestore.
Assieme a Jacopo Zannini del Comitato abbiamo ripercorso i primi mesi di vita del movimento, le iniziative messe in atto e le prossime mobilitazioni
Ascolta l'intervista [ audio ]

15.3.09

Rifiuti e biodigestore: "Zambarda fermati"

L'assessore Pacher scrive al sindaco.
Ci sono altri posti. «Ascoltiamo i cittadini»

VALLE DEI LAGHI - Zambarda fermati. Lo dicono da mesi i comitati cittadini che contestano la localizzazione a Predera di un biodigestore, un impianto per il trattamento dei rifiuti organici di tutto il Trentino Sudoccidentale (18.000 tonnellate/anno), destinato alla produzione di biogas.
Lo stabilimento sorgerebbe nel territorio amministrativo di Lasino, ma si affaccerebbe sulle case di Calavino.
I comitati Bene Comune di Calavino e Lasino che hanno promosso una protesta senza precedenti sembrano determinati. Finora però non c'è stato alcun passo indietro da parte del sindaco di Lasino Mario Zambarda.
È la sua amministrazione che ha proposto la localizzazione a Predera. Ma il luogo scelto - dicono i residenti - è troppo vicino alle abitazioni (600 metri) e alle campagne coltivate a vite e melo. Più di un dubbio sorge anche agli amministratori pubblici.
Alberto Pacher , assessore all'ambiente e vicepresidente della Provincia, si è attivato. Il «numero due» della Giunta Dellai ha scritto al sindaco di Lasino. In un tono cortese, ringraziando il primo cittadino per il lavoro fatto finora, Pacher gli ha parlato della necessità di affrontare la questione in modo condiviso.
«Si impone un metodo diverso», dice, in sintesi, il documento, che è stato inviato a Zambarda la scorsa settimana. Chiaro il riferimento alle critiche emerse fra gli abitanti della «Val del vènt». L'amministrazione comunale di Lasino - dice chi si oppone al progetto - non ha coinvolto i cittadini. Il clima infuocato delle assemblee pubbliche di dicembre e gennaio, dove la gente è uscita più convinta di prima della non-opportunità di fare il biodigestore, ne è in qualche modo la dimostrazione. Pacher, in un territorio dove dovrebbe nascere la Comunità di Valle, non vuole imporre progetti.
Lo ha detto anche negli incontri pubblici. Da mesi nei vari paesi la «questione biodigestore» è all'ordine del giorno. C'è tensione. A maggior ragione in questo caso - fanno notare i comitati cittadini Bene Comune, che in pochi giorni hanno raccolto 1.300 firme di protesta e che ora si preparano a nuove iniziative - visto che l'iniziativa viene da un Comune, che vuole localizzare quello stabilimento in un luogo che si affaccia sulle abitazioni e sulle campagne del Comune vicino.
«Preoccupa l'Ora del Garda, che contribuisce ad un microclima unico nel suo genere: un vento - spiegano - che, a digestore costruito, porterebbe odori ed esalazioni addosso alle case. Preoccupa l'impatto paesaggistico-ambientale, in un territorio a vocazione agrituristica, dove sono stati fatti molti investimenti per tutelare viticoltura e frutticoltura. Non è un caso che in zona ci siano due biotopi, aree protette, non edificabili».
L'assessore Pacher, nella sua lettera al sindaco Zambarda, parla di necessario «confronto con gli altri sindaci e con i consigli comunali». Del biodigestore si parlerà anche domani nel consiglio comunale di Calavino.
L'amministrazione, guidata dal sindaco Mariano Bosetti , ha preso posizione contro l'impianto. Quindi, saranno soprattutto gli amministratori pubblici di Calavino a fare sentire la propria voce. Ma contestazioni ci sono state pure a Lasino, da parte della minoranza e della maggioranza (l'assessore ai lavori pubblici Sergio Pisoni ha chiesto alla giunta di prendere atto dell'opinione della gente, fermamente contraria) e dubbi sono sorti a Cavedine e Vezzano. «Non si può ignorare l'opinione dei cittadini», ribadiscono i referenti dei due comitati gemelli. Che Pacher stesse valutando l'opportunità di «bloccare tutto», per analizzare meglio la situazione e individuare luoghi a minore impatto socio-ambientale, lo si era capito già nelle scorse settimane, quando il vicepresidente rispose a due interrogazioni dei consiglieri Giorgio Lunelli (Upt) e Nerio Giovanazzi . «Luoghi alternativi esistono».
Un segnale di apertura, il suo, apprezzato dai comitati. Nei giorni in cui veniva recapitata la sua lettera al primo cittadino di Lasino, si sono mossi anche i vertici della Cantina di Toblino e della Cooperativa Valli del Sarca, che hanno preso posizione contro la localizzazione a Predera.

Fonte: l'Adige del 15 marzo 2009

14.3.09

Comitato Bene Comune di Lasino: sulla questione “biodigestore”

Come ben sapete, il Comitato “Bene comune” è nato per capire cosa sta succedendo attorno alla questione “biodigestore” ed esige da parte della nostra amministrazione chiarezza e trasparenza.
Nei giorni scorsi è stato depositato ufficialmente in Comune a Lasino l’atto costitutivo del Comitato “Bene comune”, assieme alle 413 firme raccolte a sostegno dello stesso: ben il 40% degli aventi diritto di voto (1014 iscritti alle liste elettorali di Lasino nelle elezioni del novembre 2008) ci hanno concesso la loro fiducia per attivarci nel fermare temporaneamente la “corsa” al biodigestore, in attesa di capire meglio.

Valle dei Laghi preoccupata
Sono state numerose le prese di posizione da parte di autorevoli personaggi del mondo produttivo, economico, politico (sia locale che provinciale) ed anche religioso che hanno ribadito l’importanza di fermarsi per capire bene cosa si ha intenzione di fare.
Seguono la vicenda con attenzione ed apprensione anche gli abitanti e gli imprenditori di Pietramurata, Sarche e Castel Toblino così come si è mobilitata la popolazione di Calavino con la nascita di un comitato locale che ha voluto chiamarsi con il nostro stesso nome “Bene comune”, anche a testimoniare concretamente nel nome che la questione non interessa solo Lasino; sono due, inoltre, le interrogazioni presentate al Consiglio Provinciale sul “biodigestore” di Lasino.
A breve sarà presentato a chi di competenza un documento, con il quale le principali organizzazioni che a diverso fine operano in Valle dei Laghi chiederanno ufficialmente alle istituzioni di fermarsi.

Consiglio Comunale diviso
Guardando in casa nostra, il Consiglio Comunale di Lasino è decisamente diviso: l’opposizione ha presentato una mozione per fermare i lavori del biodigestore ed anche la maggioranza è divisa al proprio interno. Come è noto, tre consiglieri della maggioranza, tra cui l’assessore comunale ai lavori pubblici Pisoni Sergio, il capogruppo di maggioranza Danielli Massimo e il consigliere Luca Bolognani, hanno richiesto nel dicembre scorso un consiglio comunale straordinario per capire cosa stava succedendo, essendo rimasti all’oscuro delle scelte e delle decisioni intraprese dal Sindaco relativamente al “biodigestore”.

Incontro con la Giunta
La scorsa settimana vi è stato il primo incontro ufficiale tra i rappresentanti del nostro comitato e la Giunta comunale dove Sindaco e Vicesindaco sono sembrati più che intenzionati a procedere nel più breve tempo possibile a deliberare la localizzazione alla località Predera; gli assessori Fronza Maddalena e Chistè Piero appoggiano le scelte del Sindaco.

Interrogativi senza risposta
Se, come dice il Sindaco Zambarda, dopo la delibera ci si può anche fermare e fare tutti gli studi che servono, perché tutta questa fretta?
Perché non si possono fare prima gli studi e poi deliberare con cognizione di causa?
Quali sono le reali motivazioni per le quali è necessario che si avvii tutto il prima possibile, senza prendere in minima considerazione le richieste e gli appelli provenienti in continuazione dalla società civile e ignorando completamente le tante persone di Lasino che hanno firmato a sostegno del comitato?
Perché Sindaco e Vicesindaco sembrano irremovibili nei loro propositi, pur avendo non solo l’opposizione consiliare, ma anche alcuni componenti della maggioranza e della giunta comunale schierati nettamente contro il proseguimento dei lavori?
Se anche venisse deciso di procedere, quali sono le garanzie che vengono fornite sulla pericolosità, gestione e controllo del futuro impianto?
Perché non viene illustrato alla popolazione un piano economico reale con l’indicazione dei costi e dei guadagni del futuro impianto dove siano ben evidenziati anche gli eventuali ritorni per la popolazione locale?

Quali garanzie per la popolazione
E’ vero che i rifiuti da qualche parte vanno smaltiti, ma è altrettanto vero che la popolazione deve venire tutelata ed adeguatamente garantita così come deve venire tutelato e garantito l’ambiente ed il nostro territorio che, come dice giustamente Don Grosselli, è già stato abbondantemente sacrificato in passato.
Le vicende del biodigestore di Campitello di Levico, della discarica Sativa di Sardagna, della ex cava Monte Zaccon di Marter Valsugana, della discarica della Maza di Arco, solo per citarne alcune, ci insegnano che, pur in presenza di assicurazioni e garanzie da parte dell’ente pubblico, l’ambiente e soprattutto noi cittadini e la nostra salute non sono tutelati!
Ricordiamoci che l’impianto proposto dovrebbe accogliere i rifiuti organici umidi di un quarto di Trentino e che tale impianto è previsto modulare, ovvero già pensato per poter essere facilmente ampliato…
Una volta realizzato sarà praticamente impossibile chiudere l’impianto di biocompostaggio o ridurne la capacità produttiva… in poche parole “il biodigestore è per sempre…” ed una volta imboccata questa strada – ne siamo coscienti - non si tornerà più indietro.

Appello agli amministratori comunali
Confidiamo nell’intelligenza, nel buon senso e nello spirito di responsabilità dei singoli amministratori comunali di Lasino affinché prendano coscienza della voce che sempre più forte si sta levando dall’intera valle e si fermino a riflettere anche perché sono stati eletti da noi per rappresentarci e sono tenuti ad operare con onestà e correttezza nell’esclusivo interesse della comunità e del bene comune!

Il Comitato “Bene Comune”
Angeli Andrea, Chemotti Ezio, Chesani Giocondo, Chistè Ivo, Ceschini Olga, Daves Simone, Gianordoli Michele, Marchetti Stefano, Mariz Massimiliano, Sartori Natale, Zannini Jacopo

10.3.09

Presentazione del Gruppo d'Acquisto Popolare

Quello all'interno del Centro Sociale Bruno di Trento più che un Gruppo d'Acquisto Solidale (G.A.S.) è un Gruppo d'Acquisto Popolare (in sigla G.A.P.).
Questo, non per togliere il valore che dà la solidarietà, ma soprattutto per caratterizzare il gruppo inserendolo nel contesto della città in cui regnano la frenesia e la sbornia da supermercato. Il tentativo è quello di nutrirsi a prezzi popolari di prodotti sani che provengono dallo scambio lavoro-raccolto con la nostra terra di montagna.

Trovando triste il cambiamento che l'agricoltura trentina ha subito negli ultimi 50 anni, noi cerchiamo di sostenere chi ha resistito e di incentivare coloro che hanno il coraggio di cambiare anche se questo significa perdere la sicurezza economica che può dare un consorzio non sensibile alle tematiche ambientali.
I principi che guidano l'esperienza , in continuo mutamento, sono:
- rispetto ambientale: un agroecosistema che si avvicini a quello naturale, prodotti di stagione, con imballaggi contenuti e riciclabili;
- territorialità: filiere corte con attenzione anche agli spostamenti per le lavorazione e gli imballaggi, riscoperta del territorio, della natura e dei contadini/produttori;
- dignità del lavoro, inammissibili le forme di caporalato o di sfruttamento in generale. Il contadino deve avere esperienza e non seguire ciecamente un disciplinare con norme talvolta incomprensibili;
- sostanza e non marchi: non ci interessa l'immagine o il logo del prodotto, diamo importanza alle caratteristiche organolettiche e alla genuinità;

Questi principi possono venire raccolti nel concetto di indipendenza alimentare, cioè un'alimentazione slegata dall'industria e dalle energie non naturali come il petrolio.

Per ulteriori informazioni e avere la lista con i prodotti disponibili potete contattare il referente del GAS/GAP Milo Tamanini: milotamanini@gmail.com

6.3.09

Mangiar bene e spendere poco, meno sprechi e spesa saggia

Fonte: Repubblica 05.03.09

In tempi di crisi ci sono misure semplici per poter risparmiare e continuare ad alimentarsi in modo sano e completo

di Carlo Petrini

Mangiare bene non costa caro. Se l’unica alternativa in tempi di crisi è andare al fast food o comprare i prodotti di bassissima gamma nei discount, significa che forse abbiamo problemi più gravi e radicati della crisi stessa. Cercare di rimediare alle difficoltà di bilancio mettendo nel proprio piatto - e in quello dei propri familiari - dei cibi non buoni, che alla lunga non fanno bene, e che sono parte integrante di quel sistema consumistico che, a ben vedere, è la causa principale dei nostri mali economici, non è la soluzione.

Anche perché altri modi di comportarsi ci sono, e a scanso di equivoci sgombriamo subito il campo dai prodotti di alta gamma, quelli che effettivamente sono un lusso. Pensiamo invece al cibo quotidiano: a una buona carne, a un buon pesce, a buone verdure. Il cibo di tutti i giorni, e pure il pasto occasionale fuori casa, può essere consumato a prezzi anche molto bassi senza rinunciare alla qualità e facendosi del bene, sia in termini di salute personale sia in termini di salute pubblica. Bisogna però lasciarsi alle spalle il pregiudizio che il cibo buono sia una cosa elitaria e soprattutto cercare di fare due operazioni: ricercare la qualità fuori dal sistema consumistico e riscoprire le buone pratiche domestiche e gastronomiche.

Per come si è strutturato, il sistema industriale alimentare butta via una quantità di cibo paragonabile a quella che produce. È il sistema dello spreco: in tutta la filiera non si fa altro che perdere delle occasioni per risparmiare, e non si creda che chi ci rimette sia poi l’industriale sprecone. Siamo noi ad accollarci tutti i costi: i danni all’ambiente, i costi della sanità e delle medicine per rimediare a diete sballate, a prodotti poco salutari, ricchi di sali, conservanti, aromi di sintesi, grassi "cattivi" che il nostro corpo fa fatica ad assimilare. Ci sono i costi di trasporti dissennati e inquinanti, i costi dei sussidi a un’agricoltura industriale che altrimenti sarebbe al collasso.

Paghiamo il fatto che vengano buttate via 4 mila tonnellate al giorno di cibo commestibile nella sola Italia: perché alimenti di più bassa qualità hanno una durata più breve, perché il sistema di distribuzione da questo punto di vista non è efficiente. Inoltre produciamo tonnellate di rifiuti con gli imballaggi: altri costi per la società, per noi. Mangiando un hamburger di bassa qualità a un euro crediamo di aver risparmiato, ma non è così. Il resto lo paghiamo con le tasse, e se quella dieta ci fa male lo pagheremo anche in medicine: il conto alla fine è salato, molto salato.

Uscire dal sistema significa cercare canali di distribuzione alternativi, che non generino tutto questo spreco e questi costi collettivi. È un vantaggio diretto anche sul prezzo: in ogni città ci sono mercati in cui si può comprare direttamente dai contadini a prezzi vantaggiosi, e con una qualità migliore. Sarebbe poi sufficiente rispettare la stagionalità dei prodotti. In stagione frutta e verdura costano meno. Sfido chiunque a dire che, per esempio, i cavoli sono cari. In un mercato della mia città, dove ancora ci sono i contadini, li ho trovati a 0,60 euro al chilo. Magari sono stato fortunato, ma chi cerca trova. Sono freschi, sono nutrienti e soprattutto a saperli cucinare c’è da sbizzarrirsi. Su un mio libro di cucine regionali ci sono trenta ricette con i cavoli, e in molti casi calcolando il prezzo a porzione si arriva a cifre irrisorie.

Per frutta e verdura, poi, si può anche evitare la fatica di andare al mercato: ci sono i Gas, i gruppi di acquisto solidale sempre più diffusi in tutta Italia, e anche cooperative di produttori che consegnano la merce direttamente a casa. Per restare nel mio Piemonte, la cooperativa "Agrifrutta da te" consegna ogni settimana per 10 euro una cassetta tra 6 e 7 kg di frutta e verdura di stagione coltivata localmente secondo i criteri dell’agricoltura integrata. Consegna a domicilio anche a Torino, ed è stato calcolato che la stessa identica spesa acquistata al mercatino rionale costa circa un euro in più, e dal fruttivendolo anche 3 euro in più al chilo.

Ma non si tratta solo di saper fare la spesa: con le buone pratiche domestiche e gastronomiche si potrebbe risparmiare. Ad esempio non c’è educazione sui tagli animali. La perdita di artigianalità nella macellazione, ormai ridotta a una catena di smontaggio in grande scala a colpi di seghe e seghetti, fa sì che una consistente parte della carne consumabile vada perduta. I tagli meno nobili non sono più richiesti perché si è persa la capacità e la voglia di cucinarli: il consumatore è malato di filetto. La Granda, un’associazione cuneese che opera da anni nell’allevamento sostenibile di bovini di razza piemontese, ha per esempio deciso di vendere tutto, ma proprio tutto, dei loro animali: per far sì che gli allevatori possano guadagnare il massimo, ma tutto ciò si traduce anche in un risparmio per noi. Mi dicono che buttano via soltanto le corna e gli zoccoli degli animali, impiegano anche il quarto anteriore (i muscoli del collo, della pancia, della spalla, dello sterno e il costato) e il cosiddetto "quinto quarto", ovvero testa, coda, organi interni addominali e toracici, sangue e zampe. Ne sono nati dei prodotti come un hamburger (1,15 euro l’uno), la galantina, un’anti-carne in scatola (fatta con guancia, zampe lingua e coda), delle monoporzioni di brodo, dei ragù e dei paté. Un quinto dei loro prodotti sono piatti pronti, tutti senza conservanti e con una materia prima di qualità eccellente, molto gustosa e, secondo una tesi di laurea in medicina dell’Università di Torino, anche dai valori nutrizionali migliori di una normale carne di bovino.

Se la carne migliore della Granda, un taglio pregiato di bovino femmina, costa effettivamente - e giustamente per com’è allevata - più di 20 euro al chilo, cioè di più della sua analoga prodotta con metodi poco sostenibili, per un taglio di polpa di bovino maschio, comprato direttamente dagli allevatori, macellato in modo che non si sprechi nulla, avendo un prodotto di qualità decisamente superiore e che si conserva più a lungo, si può arrivare intorno ai 10 euro. Sarà sufficiente saperlo cucinare, magari in umido o con una cottura lenta, per ovviare al fatto che la carne del maschio è meno tenera di quella della femmina. Se assumiamo che una porzione normale di carne sia di 80-100 grammi (in Italia si consumano mediamente 5 chili di carne alla settimana), il prezzo di quella porzione andrà dunque da uno a due euro a seconda della qualità che scegliamo. E stiamo parlando di bovini allevati con i guanti.

Lo stesso tipo di mancanza di educazione gastronomica si sente per i pesci: pensiamo a quelle specie che sono pescate e ributtate in mare perché non hanno mercato. Tutti vogliono l’orata e il branzino perché non hanno idea di dove iniziare a cucinare le altre specie, per esempio il pesce azzurro: buono, gustoso, salutare, ma leggermente più difficile da preparare. E il pesce azzurro costa veramente poco. Un’altra cosa di cui non siamo più capaci è la conservazione dei cibi: ricordo che in estate dalle mie parti, nei cortili, era tutto un ribollire di grandi pentoloni, in cui si preparavano le conserve. I pomodori erano colti in stagione, al meglio della loro maturazione, e i profumi che si sprigionavano, e che venivano chiusi nei barattoli per poi essere consumati d’inverno erano strepitosi. Oggi d’inverno vogliamo i pomodorini che arrivano da chissà dove, sono cari e poveri di gusto. Costerà tanto di più un vasetto di passata fatto in casa?

Tutte queste buone pratiche, queste accortezze e questo bagaglio di creatività popolare, sono state quasi abbandonate, ma si potrebbero tradurre in risparmio, in soldi veri. Se non siamo più disposti a cucinare, a cercare i prodotti buoni e vicini, coltivati appena fuori città e di stagione, che ci possono realmente costare meno, non possiamo poi lamentarci del fatto che il cibo è caro. E se proprio vogliamo concederci un pasto fuori, anche qui la tradizione italiana è molto generosa. Un panino con la milza a Palermo, un panino con il lampredotto a Firenze, un cartoccio di pescetti fritti a Genova si aggirano tutti sui due euro. Per poco di più si può mangiare una buona pizza a Napoli o un buon piatto di pasta nelle tante trattorie low cost che ci sono ancora nelle nostre città e nei nostri paesi.

Non è vero che mangiare bene costa caro: non sappiamo più come si fa. In sprezzo a una tradizione gastronomica, quella regionale italiana, che ha creato dei capolavori di ricette partendo dal poco che si aveva a disposizione in casa, e cioè da un unico grande assunto: la fame.

Inceneritore, le (in)opportune perle di Pacher

Comunicato di Nimby trentino

In consiglio provinciale, nel corso del dibattito sulla mozione di Borga, il vicepresidente e assessore provinciale all’ambiente Alberto Pacher ci ha regalato altri inopportuni spunti di lettura della partita inceneritore. Quella partita che sembra debba rimanere questione da gestire in camera caritatis, sempre e solo con quegli "esperti". Quelli che privilegiano “la concentrazione di servizi e funzioni solo sulla città di Trento”, anche se all’ultimo punto della “Carta di intenti del centro-sinistra autonomista”, distribuita alle primarie di domenica scorsa, era scritto il contrario.

Il neo assessore provinciale all’ambiente ha affermato che:

- “quanto più alta è la percentuale alla quale si arriva nella raccolta differenziata tanto maggiore è il bisogno dell'inceneritore perché aumenta anche la quantità di prodotto impuro da smaltire”, come se senso e fine del differenziare non sia ridurre, riusare e riciclare i rifiuti ma renderli “impuri” per incenerirli. Con tanto di ringraziamenti al senso civico e di responsabilità dei cittadini contribuenti. È ritornato sulla questione delle discariche, secondo cui l’incenerimento è compatibile con la loro sparizione mentre è vero che il 30% circa delle ceneri pericolose e tossico-nocive, prodotte dall’incenerimento, necessita ugualmente di discariche con più problematiche delle esistenti;

- avremmo assistito a numerosi dibattiti pubblici. Ma non ne ricordiamo nemmeno uno, proposto da Comune di Trento o Provincia, che affrontasse la questione sanitaria. Ci dice che in Europa l’incenerimento è normale prassi di smaltimento, dimenticando che il presidente Obama, acclamato anche da molti trentini, ha appena affermato: “Io penso che, come nazione, dobbiamo approvare norme federali, con scadenze reali, che impongano a tutti gli stati di riciclare plastica, alluminio, carta, ecc. lavorando ad un processo incrementale che ci porti al traguardo rifiuti zero. Avanti! Tutti gli animali eccetto l'uomo lo fanno ogni giorno. Non pensiamo noi di essere la specie più evoluta?";

- se il centrodestra nazionale sostiene l’incenerimento è curioso che quello locale lo ostacoli. Nella regione dell’autonomia l’assessore provinciale all’ambiente dimostra scarsa autonomia di libertà e di pensiero che, invece, è prerogativa dell’iniziativa dell’ex sindaco di Mezzolombardo. Sorvolando sulla trasversalità di questa come di altre questioni, soprattutto quando la posta in gioco è lasciata alla discrezionalità delle multiutilityes. Ad esempio di quelle che "costrinsero" il centrosinistra di Prodi, poco prima della scadenza del suo mandato (febbraio 2008), a concedere i Cip6 agli inceneritori campani. Anche per questo siamo sotto infrazione da parte dell’Unione europea, perché in Italia centrodestra e centrosinistra finanziano i produttori di energia da incenerimento, al pari di quella rinnovabile, solare o eolica, mentre in Germania chi incenerisce i rifiuti paga una tassa.

Inutile ribadire che la questione rifiuti si può affrontare senza incenerimenti; tutto sta a vedere se la politica è disposta a gestire questa partita con il reale coinvolgimento degli altri comuni trentini, e non solo attraverso un esclusivo e privilegiato rapporto tra il Comune di Trento, la Provincia e gli altri partner.

[ Segue la cronaca ]