fonte: l'Adige del 29.03.09
La stagione sciistica 2008-2009 si ricorderà come una delle migliori degli ultimi decenni, con il record di tredici metri di neve caduta, impianti aperti fino a oltre Pasqua, crescita dei fatturati in media del 15-20% (con punte fino al 40%), sciatori sulle piste da novembre a fine aprile senza bisogno di neve artificiale. Bilanci da record, insomma. Ma ancor prima di cominciare a tirare le somme e a mietere gli utili, gli impiantisti sono partiti in quarta a batter cassa in Provincia per riscuotere la consueta spremuta di milioni pubblici a cui sono abituati.
La giunta provinciale, si sa, da tempo sostiene la tesi che gli impianti di risalita vanno intesi come trasporto pubblico, alimentano il turismo e generano indotto, e da soli senza il sussidio del contribuente - tranne i grossi caroselli come il Dolomiti Superski - non stanno in piedi.
È questa la premessa che sta alla base del progetto di «provincializzare» gli impianti, a cominciare dal Bondone che fa capo alla famiglia di Ernesto Bertoli, «padrone» di Folgarida Marilleva, che a sua volta detiene il 41% delle funivie Campiglio, gli impianti di Pejo, eccetera, eccetera. Si può discutere o meno se sia giusto finanziare con soldi pubblici gli impianti di risalita che non sanno stare sul mercato.
La Provincia ritiene di sì, gli imprenditori che se la sfangano da soli con il rischio d'impresa un po' di meno, ritenendo l'intervento provinciale una concorrenza sleale. C'è una conseguenza però di questa «statalizzazione» degli impianti: il venir meno della responsabilità imprenditoriale. La sicurezza del salvagente della Provincia che copre sempre le perdite garantendo invece agli impiantisti di riscuotere gli utili quando vi sono, infatti porta a dimenticare le regole del mercato. Tanto, se gli affari vanno bene, si distribuiscono i dividendi. Se gli affari vanno male si fa a riscuotere a piazza Dante.
È questa mentalità che è alla base del crac di Aeroterminal, la rischiosa e improvvida operazione speculativo-finanziaria, messa in campo a Venezia dagli impiantisti di Folgarida e Marilleva guidati da Ernesto Bertoli, ora arrivata al capolinea con un'esposizione di 100 milioni di debiti, tra passaggi di proprietà e plusvalenze di decine di milioni di euro intascati da privati, scatole cinesi in cui sono spariti soldi, e denunce e controdenunce su cui sta indagando ora la Procura della Repubblica.
L'«affare» immaginato dagli impiantisti solandri, dai grandi appetiti finanziari ma dall'altrettanto grande sprovvedutezza nella gestione dei soldi (buona parte dei quali pubblici, dei Comuni e delle banche solandre e nonese), si è impantanato nelle sabbie lagunari. Ma ora il buco di Aeroterminal, frutto di scelte sconsiderate e giochi poco chiari, rischia di trascinare a fondo la società madre Folgarida e Marilleva, e l'economia di un'intera vallata con danni sociali ed economici pesantissimi per tutti. Ecco allora che, ancora una volta, a coprire i debiti viene chiamata in causa la Provincia, con iniezioni di milioni per tamponare le falle di una cattiva gestione privata.
Salvare l'economia di una valle è giusto. Evitare che intere comunità siano travolte dalla dissennatezza di alcuni privati, va bene (anche se c'è da domandarsi dov'erano questi Comuni quando c'era da controllare come venivano amministrati i soldi e decisi gli investimenti). Ma non può essere che chi ha determinato la voragine, incassi ancora una volta, e tutto resti come prima. In questa Autonoma Provincia, che il resto d'Italia invidia per la disponibilità di risorse, il principio di responsabilità si è da troppo tempo appannato. Quando si verificano buchi di malagestione e incapacità imprenditoriale (come nel caso anche del caseificio di Fiavé), nessuno è responsabile. È ora di tornare a rimetterlo al centro. E se la Provincia ritiene di «salvare» le funivie Folgarida e Marilleva dai sigilli della bancarotta, va bene. Ma gli azionisti privati causa di questo crac, devono uscire definitivamente di scena, assumendosi la loro responsabilità e pagando di tasca propria, non ancora una volta con i soldi della collettività. La vicenda Aeroterminal è un caso emblematico di come troppe garanzie pubbliche finiscono per uccidere lo spirito di imprenditorialità. O meglio, lo alimentano con i soldi degli altri, secondo la nota massima «perdite pubbliche, profitti privati».
Non può più accadere che chi gestisce un impianto di risalita in val di Sole, con bilanci in attivo, si sogni di investire in terreni e compravendite e ristorni immobiliari, perché tanto se va male, è la Provincia a pagare. Stavolta l'intera comunità trentina si attende dal governatore Dellai e dalla sua giunta una scelta esemplare.
p.giovanetti@ladige.itLa stagione sciistica 2008-2009 si ricorderà come una delle migliori degli ultimi decenni, con il record di tredici metri di neve caduta, impianti aperti fino a oltre Pasqua, crescita dei fatturati in media del 15-20% (con punte fino al 40%), sciatori sulle piste da novembre a fine aprile senza bisogno di neve artificiale. Bilanci da record, insomma. Ma ancor prima di cominciare a tirare le somme e a mietere gli utili, gli impiantisti sono partiti in quarta a batter cassa in Provincia per riscuotere la consueta spremuta di milioni pubblici a cui sono abituati.
La giunta provinciale, si sa, da tempo sostiene la tesi che gli impianti di risalita vanno intesi come trasporto pubblico, alimentano il turismo e generano indotto, e da soli senza il sussidio del contribuente - tranne i grossi caroselli come il Dolomiti Superski - non stanno in piedi.
È questa la premessa che sta alla base del progetto di «provincializzare» gli impianti, a cominciare dal Bondone che fa capo alla famiglia di Ernesto Bertoli, «padrone» di Folgarida Marilleva, che a sua volta detiene il 41% delle funivie Campiglio, gli impianti di Pejo, eccetera, eccetera. Si può discutere o meno se sia giusto finanziare con soldi pubblici gli impianti di risalita che non sanno stare sul mercato.
La Provincia ritiene di sì, gli imprenditori che se la sfangano da soli con il rischio d'impresa un po' di meno, ritenendo l'intervento provinciale una concorrenza sleale. C'è una conseguenza però di questa «statalizzazione» degli impianti: il venir meno della responsabilità imprenditoriale. La sicurezza del salvagente della Provincia che copre sempre le perdite garantendo invece agli impiantisti di riscuotere gli utili quando vi sono, infatti porta a dimenticare le regole del mercato. Tanto, se gli affari vanno bene, si distribuiscono i dividendi. Se gli affari vanno male si fa a riscuotere a piazza Dante.
È questa mentalità che è alla base del crac di Aeroterminal, la rischiosa e improvvida operazione speculativo-finanziaria, messa in campo a Venezia dagli impiantisti di Folgarida e Marilleva guidati da Ernesto Bertoli, ora arrivata al capolinea con un'esposizione di 100 milioni di debiti, tra passaggi di proprietà e plusvalenze di decine di milioni di euro intascati da privati, scatole cinesi in cui sono spariti soldi, e denunce e controdenunce su cui sta indagando ora la Procura della Repubblica.
L'«affare» immaginato dagli impiantisti solandri, dai grandi appetiti finanziari ma dall'altrettanto grande sprovvedutezza nella gestione dei soldi (buona parte dei quali pubblici, dei Comuni e delle banche solandre e nonese), si è impantanato nelle sabbie lagunari. Ma ora il buco di Aeroterminal, frutto di scelte sconsiderate e giochi poco chiari, rischia di trascinare a fondo la società madre Folgarida e Marilleva, e l'economia di un'intera vallata con danni sociali ed economici pesantissimi per tutti. Ecco allora che, ancora una volta, a coprire i debiti viene chiamata in causa la Provincia, con iniezioni di milioni per tamponare le falle di una cattiva gestione privata.
Salvare l'economia di una valle è giusto. Evitare che intere comunità siano travolte dalla dissennatezza di alcuni privati, va bene (anche se c'è da domandarsi dov'erano questi Comuni quando c'era da controllare come venivano amministrati i soldi e decisi gli investimenti). Ma non può essere che chi ha determinato la voragine, incassi ancora una volta, e tutto resti come prima. In questa Autonoma Provincia, che il resto d'Italia invidia per la disponibilità di risorse, il principio di responsabilità si è da troppo tempo appannato. Quando si verificano buchi di malagestione e incapacità imprenditoriale (come nel caso anche del caseificio di Fiavé), nessuno è responsabile. È ora di tornare a rimetterlo al centro. E se la Provincia ritiene di «salvare» le funivie Folgarida e Marilleva dai sigilli della bancarotta, va bene. Ma gli azionisti privati causa di questo crac, devono uscire definitivamente di scena, assumendosi la loro responsabilità e pagando di tasca propria, non ancora una volta con i soldi della collettività. La vicenda Aeroterminal è un caso emblematico di come troppe garanzie pubbliche finiscono per uccidere lo spirito di imprenditorialità. O meglio, lo alimentano con i soldi degli altri, secondo la nota massima «perdite pubbliche, profitti privati».
Non può più accadere che chi gestisce un impianto di risalita in val di Sole, con bilanci in attivo, si sogni di investire in terreni e compravendite e ristorni immobiliari, perché tanto se va male, è la Provincia a pagare. Stavolta l'intera comunità trentina si attende dal governatore Dellai e dalla sua giunta una scelta esemplare.
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