31.1.10

Acciaeria: salute pubblica a rischio, il dossier e la conferenza stampa dell'ISDE

Proponiamo dal sito Ecceterra.org la relazione medico scientifica a cura dei Medici per l'ambiente e il video (da sito di TrentoAttiva) della conferenza stampa di presentazione, durante la quale i relatori, la dott.ssa Patrizia Gentilini, la dott.ssa Maria Elena Di Carlo e il dott. Marco Rigo, hanno illustrato i rischi sanitari sulla popolazione che l'acciaieria crea.

Rischi potenziali sulla salute correlati all’inquinamento industriale in Valsugana.
Il ruolo dell’acciaieria nel contesto generale

La presente relazione medico scientifica vuole evidenziare possibili rischi sanitari dovuti alla presenza di un impianto impattante come l’acciaieria di Borgo Valsugana che fonde rottame (rifiuto ferroso) contenente plastiche e vernici. Due sono i principali inquinanti sui quali si è soffermata l’attenzione: le diossine e il particolato o polveri sottili (PM10).
L’acciaieria di Borgo emette una grossa quantità di polveri, diossine, metalli pesanti, IPA. Le emissioni sono dell’ordine del milione di metri cubi ora.
Le polveri emesse contribuiscono sicuramente ad innalzare i livelli di PM10 (Borgo sfora i limiti annuali per quanto riguarda i giorni di supero, più di 35 gg/anno). Inoltre dalle analisi qualitative a Borgo si riscontra un tenore di metalli 10 volte superiore ad altre realtà dove è presente un’attività industriale. Il particolato fine e ultrafine è particolarmente pericoloso per la salute.Per legge i limiti della concentrazione di diossina emessa dai camini per le acciaierie è 5 volte superiore agli inceneritori (0,5 ng/m3 verso i 0,1 ng/m3).
Clicca qui per scaricare il dossier in pdf



Watch live streaming video from grillitrentini at livestream.com

Ringraziamo Marco Garavelli di TrentoAttiva per l'ottimo lavoro di informazione.

30.1.10

Discariche in Trentino



Trentino: nel dicembre 2008 scoppia lo scandalo sulla gestione illegale di alcune discariche. La vicenda, ignorata dai media nazionali, pone il problema delle responsabilita'. Soprattutto fa emergere una verita' inquietante.

29.1.10

Non nascondiamoci dietro i limiti di legge

Pubblichiamo su segnalazione di Virgilio Rossi del comitato diritto alla salute della Val di Non un'interessante lettera dei medici dell'ISDE del Trentino.

Virgilio aggiunge: "Vorrei cogliere l'occasione per spendere alcune parole sull' Associazione ISDE sezione italiana. E' formata da medici provenienti da tutte le specialità mediche che dedicano gratuitamente il loro tempo alle tematiche sulla salute ed ambientali. L'associazione vive con il sostegno dei cittadini che credono nelle prevenzione primaria (eliminare le cause che generano i problemi) e non continuare ad operare con la prevenzione secondaria (cura dei sintomi) in cui è importante l'applicazione del principio di precauzione indipendentemente che una sostanza sia sotto i cosiddetti limiti di legge, creati dall'industria alimentare e farmaceutica al fine di usare sistematicamente addittivi, conservanti, pesticidi,ecc.
Sostanze queste che interagiscono negativamente sia da sole che complementariamente sul metabolismo umano anche a dosi infinitesimali. E' perciò fondamentale sostenere questo tipo di associazioni perchè vanno a snidare e combattere le cause dei nostri problemi di salute e non convivono lucrosamente con esse. Se qualcuno vuole diventare socio ecco i loro recapiti: www.isde.it"

Scriviamo a proposito della risposta (o meglio «non risposta») dell'assessore all'agricoltura Tiziano Mellarini al «Comitato per il diritto alla salute» della Val di Non. Crediamo non sia fuori luogo affermare che la politica dovrebbe dare risposte piú pertinenti ai puntuali rilievi dei cittadini, a maggior ragione se ci sono le prove di una contaminazione con i pesticidi nei bambini.
Il vero problema è che l'assessore Mellarini (ma anche Alberto Pacher, Ugo Rossi e Lorenzo Dellai per quanto riguarda le vicende legate all'inquinamento in Valsugana) hanno mostrato di avere un atteggiamento riduzionista verso la tutela della salute pubblica. Essi si trincerano dietro il rispetto dei limiti di legge per sostanze pericolose quali pesticidi e diossine, non considerando che stiamo vivendo in una vera e propria epidemia di tumori e malattie cronico-degenerative (diabete, Alzheimer, Parkinson, allergie, asma etc) malattie che sono terribilmente in aumento anche nel nostro Trentino. Anzi, per quanto riguarda i tassi grezzi di tumori, il Trentino è ai vertici nella classifica nazionale.
Nel quadriennio 1999-2002 i tumori infantili sono raddoppiati rispetto al quadriennio 1995-1998 a riprova che qualcosa che non va nell'ambiente c'è, eccome. Occorre dunque un atteggiamento molto più prudente, applicando più frequentemente il principio di precauzione recepito dalla stessa Unione Europea.
La risposta di Mellarini dimostra invece come alcune elaborazioni statistiche delle analisi sulle mele siano usate per negare qualsiasi problema sanitario dei pesticidi. Invece, nonostante per Mellarini le analisi dei pesticidi sulle mele siano ampiamente entro i limiti di legge (a tal riguardo Legambiente non è affatto d'accordo), i pesticidi sono tati trovati nelle urine di soggetti innocenti quali i bambini attraverso il cosiddetto «effetto deriva», inteso quest'ultimo come la dispersione nell'ambiente dei prodotti utilizzati nelle irrorazioni.
In questo caso i trattamenti dovrebbero essere fatti a distanze adeguate dalle abitazioni e proprietá altrui. Al contrario, con delibera n.400 del 3 marzo 2006 prot. 4554 proposta dall'assessore Mellarini, le distanze dalle abitazioni sono state azzerate ammesso che venissero impiegati uggelli antideriva o altri dispositivi della cui reale efficacia non esiste alcuna prova concreta.
Questa delibera doveva rispondere ad una mozione del Consiglio provinciale (n.6/2004), che impegnava la Giunta ad emanare un protocollo di norme di comportamento sull'utilizzo dei fitofarmaci in prossimità dei centri abitati che tenesse conto sia dell'esigenza di tutelare la salute dei cittadini, sia delle necessità agro-colturali. Evidentemente quest'ultime sono state privilegiate rispetto alla salute dei cittadini e quello che sconcerta di piú è che queste scelte sono state premiate dagli stessi elettori alle ultime elezioni provinciali.
Vorremmo inoltre far notare che l'effetto di ogni sostanza, anche sotto i limiti di legge, si somma ad altre centinaia (forse migliaia) di sostanze cancerogene che assumiamo con la dieta (sottoforma di conservanti, coloranti, etc...) o che respiriamo.
Questo vale specialmente per i pesticidi in quanto con la dieta assumiamo in media 4 pesticidi a pasto (dati Appa). Ognuno di esse è sì entro i limiti, ma nessuno ha mai studiato l'effetto combinato di piú sostanze. È infatti probabile che vi sia un effetto cumulativo, se non addirittura un aumento della potenzialitá tossica. Infine, e questo è particolarmente vero per sostanze quali le diossine, non esistono concentrazioni al di sotto delle quali non si osservano effetti sulla salute, ma con l'aumentare della concentrazione si assiste statisticamente ad un aumento dei casi di malattia (le diossine sono correlate tutte le malattie degenerative e tumorali conosciute). È vero che i limiti di legge sono dei paletti oltre ai quali non è lecito andare, ma si presume che un politico accorto dovrebbe fare in modo di mirare, quanto piú possibile, al limite zero.
La politica non puó ignorare i possibili effetti sulla salute di una fonte quale l'acciaieria di Borgo Valsugana che non riesce nemmeno a rispettare i (pur ampi) limiti di emissione di diossine. Gli effetti negativi sulla salute ci saranno indipendentemente dall'incapacitá di trovare le diossine nei terreni. È pur vero che la nostra civiltá del benessere porta qualche minimo rischio che dobbiamo accettare. Ma quando i rischi sono evitabili, come nel caso dei pesticidi, con direttive piú restrittive per le distanze o, meglio ancora, passando al biologico, o quando interessi privati ed un centinaio di posti di lavoro (per i quali si potrebbe sicuramente trovare un'alternativa) non giustificano eccessivi rischi per la salute di una popolazione, come nel caso dell'acciaieria di Borgo, allora crediamo che sia giunto il momento di scelte coraggiose e responsabili da parte delle istituzioni.

Roberto Cappelletti, Maria Elena di Carlo, Marco Rigo
Medici per l'Ambiente (ISDE-Trentino)

24.1.10

Risposta a Merler di DE: l'Acqua è un Bene Comune


A TRENTO LA MULTIUTILITY DOLOMITI ENERGIA SCOPRE LE CARTE

Di seguito da parte del Comitato Trentino Acqua Bene Comune, il gruppo di associazioni e cittadini trentini autoconvocatosi all'indomani della tre giorni sull'acqua di dicembre scorso (organizzata da Yaku, Ya basta e Filorosso), la risposta ad una
lettera apparsa su L'Adige firmata da Marco Meler, amministratore delegato della multiutility Dolomiti Energia.

Acqua Bene Comune

Le idee sviluppate da Marco Meler, amministratore di Dolomiti Energia in un artico pubblicato alcuni giorni fa sull' Adige meritano una riflessione e mi pare che siano in linea con quelle utilizzate in altre parti d’Italia, ad esempio per giustificare il "sacco" delle risorse idriche esercitato da anni dalle multinazionali in Toscana.

Sappiamo che il processo industriale in corso di Dolomiti Energia trasformerà l’impresa in una multiutility che «diventerà una delle maggiori aziende elettriche del Paese», come hanno più volte annunciato con orgoglio i suoi dirigenti, con oltre 700 milioni di euro di fatturato e una quotazione in borsa dietro l'angolo. Ha come partner la conosciuta A2A, multiutily - nata dalla fusione delle società municipalizzate di Brescia e Milano, già quotata in borsa e di cui fanno parte alcuni soci privati. Per quanto riguarda la gestione dell’acqua il futuro è incerto: Dolomiti Energia, anche nel nuovo formato super industriale continuerà nei prossimi anni a gestire circa la metà delle risorse idriche della Provincia di Trento o i Comuni si riapproprieranno di tale servizio nell’interesse dei cittadini?

Le argomentazioni della amministratore delegato di Dolomiti Energia a difesa della gestione privata dell’acqua, oltre ad essere confutabili, lasciano trapelare, neanche troppo velatamente, il profondo interesse dell’impresa verso tale risorsa.

Intanto dire che privata "è solo la gestione" è già un'ammissione di colpa: l'acqua è privata.
Ideologico e fin troppo palesemente strumentale è sostenere che la proprietà dell'acqua rimane pubblica mentre la gestione può tranquillamente essere data in mano ai privati.

Come se i singoli cittadini potessero liberamente scegliere di usufruire del servizio di Dolomiti Energia o approvvigionarsi direttamente dagli acquedotti.

Poi c'è l'aspetto del monopolio naturale che non viene minimamente affrontato. Il cittadino non è libero di scegliere tra più di un gestore. E quindi, per quanto si possa essere d’accordo o meno con i paladini del libero mercato, non si tratta neanche della “liberalizzazione di un servizio” ma di lasciare a un singolo privato il “monopolio” in un settore, quello dell’acqua, di vitale importanza per la sopravvivenza dell’intero pianeta.

Per quanto riguarda l'idea che una struttura pubblica non possa garantire al pari o meglio di un'impresa privata la qualità di un servizio è puramente "ideologico" e non sostenuto dai fatti (ovviamente è il contrario, basta vedere i dati dal ‘94, quando è entrata in vigore la legge Galli: le tariffe sono aumentate e la qualità del servizio è proporzionalmente diminuito in un Paese in cui circa la metà delle imprese che gestiscono l'acqua sono private, miste pubblico private, o SPA).

L'obiettivo della politica è quello di far funzionare gli enti pubblici e dare al cittadino un servizio equo su cui nessuno deve fare profitti, per questo si pagano le tasse. Se i servizi pubblici vengono appaltati ai privati che paghiamo a fare i parlamentari, i consiglieri regionali, provinciali e comunali?
E lo stesso non potrebbe dirsi per Istruzione e Sanità ad esempio.

Perché non privatizziamo scuole e università se i bassi costi di libri e d’iscrizione ci vengono “garantiti” da una qualsiasi multinazionale? Così per ospedali e altri servizi sociali. La gestione dei rifiuti è già stata privatizzata da un pezzo con risultati che sono davanti agli occhi di tutti.

Il processo in atto nel nostro Paese è questo: spogliare le comunità dei beni comuni. Adesso è l’acqua. Domani saranno svenduti altri spazi, altri patrimoni che caratterizzano il tessuto sociale e la cultura di ogni comunità.

Ecco perché in Trentino i cittadini si sono riuniti nel Comitato Acqua Bene Comune che come in tante altre parti d’Italia è nato per difendere l’acqua dalle privatizzazioni. Ecco perché sono in atto Campagne di raccolta firme per spingere i Comuni a modificare il loro statuto e considerare l’acqua e la sua gestione “di non rilevanza economica”. Ecco perché il 20 Marzo una manifestazione nazionale riunirà tutti i cittadini a Roma per la ripubblicizzazione dell’acqua. Ecco perché le forze sociali del nostro Paese si stanno preparando a raccogliere le firme per un Referendum abrogativo delle norme che in questi anni hanno progressivamente sgretolato il sistema pubblico della gestione dell’acqua. Ecco perché una legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua sostenuta da più di 400 mila firme (5 mila raccolte in Trentino) giace da due anni in Parlamento affossata dalle nebbie trasversali degli interessi partitocratici.

E’ una battaglia di civiltà e di democrazia, quella dei movimenti per l’acqua, che vuole andare verso una gestione della sfera pubblica efficiente e a bassi costi che tuteli l’interesse generale.

L'idea, ad esempio, che un ente pubblico consortile, in cui sia prevista la partecipazione della gente e il controllo sociale alla gestione dell'impresa, non possa raggiungere in TRENTINO standard di efficienza pari o superiori a quelli di qualsiasi impresa privata, è puramente ideologica e frutto di evidenti interessi imprenditoriali che vogliono mantenere il controllo su un bene che garantisce profitti sicuri.

Una gestione pubblica e sociale dell'acqua, libera dal clientelismo partitico, e frutto della riappropriazione politica dei cittadini, potrebbe garantire, oltre a un servizio equo salvo dagli obiettivi del profitto, anche che questo bene nel tempo sia tutelato per le future generazioni. La missione di un ente pubblico, o meglio, di una nuova istituzione sociale, la cui proprietà sia semplicemente collettiva, è l'interesse generale dei cittadini e non gli interessi e i dividendi di una singola impresa che per statuto ha come obiettivo la remunerazione dei singoli soci e non certamente la tutela di un bene che è di tutti e di nessuno.
Il Comitato Trentino Acqua Bene Comune si incontrerà martedì 26 gennaio alle ore 20,30 al centro sociale Bruno.

Comitato Trentino Acqua Bene Comune

per info:www.yaku.eu


Vedi anche:

TERZA RIUNIONE DEL COMITATO TRENTINO ACQUA BENE COMUNE

Discariche in Trentino - Promo

23.1.10

L'Acciaieria dei veleni, presidio a Borgo

Iniziativa dei comitati locali per chiedere l'immediata chiusura

- [ galleria fotografica ]

Nel pomeriggio di sabato 23 gennaio più di cinquecento persone sono scese in piazza aderendo all’appello dei comitati locali per la chiusura dell'acciaieria di Borgo Valsugana, che da trent'anni inquina l'aria, l'acqua e il suolo della valle. Gli abitanti sono stufi e dopo il sequestro cautelativo ad opera della magistratura, che ha scoperto che l’azienda manometteva i risultati delle analisi di produzione delle diossine, scaricava abusivamente nelle discariche della zona e causava continui sforamenti per i livelli di diossina e di metalli pesanti come piombo e cromo, sono tutti d’accordo nel chiedere l’immediata chiusura, la riconversione dei 117 posti di lavoro e la bonifica del terreni inquinati.

Nella fonderia, infatti, viene bruciato un po' di tutto, compresi residui di oli, plastiche e vernici: ci sono testimonianze di operai che non hanno avuto timore di inimicarsi gli altri lavoratori e, sorretti dai comitati, hanno deciso di denunciare i misfatti che l’azienda compie da oramai troppo tempo.

Rosa Finotto, portavoce del Comitato Barbieri Sleali di Borgo Valsugana, dal microfono rilancia gli obiettivi della manifestazione: "...intanto raccogliere firme per contarci e capire quanti sono gli abitanti della valle che vogliono la chiusura dell'acciaieria e la riconversione ad una produzione meno inquinante, raccogliere fondi per pagarci, autonomamente, analisi certe sulle diossine; poi, il motivo più importante di questa manifestazione, continuare a coinvolgere la popolazione in altre iniziative di protesta, magari spostandoci anche a Trento in piazza Dante".
Il suo intervento si è concluso con l’appello distribuito all’interno del dossier prodotto dal coordinamento dei comitati.

Appello alla mobilitazione.

C’è qualcosa di inaccettabile nelle torbide vicende, recenti e lontane, che hanno portato al sequestro dell’Acciaieria Valsugana. Da un lato, una gestione andata oltre il limite dell’accettabilità di un industrialismo rapace, che vede nell’intesa e nella contrattazione al ribasso tra la proprietà e la Provincia di Trento un insulto ad una regolare e legale pratica produttiva, sia aziendale che pubblica. Dall’altro, una gestione e una produzione d’assalto che ha abusato ove possibile dei silenzi su carenze e omissioni di una struttura industriale e della sua scadente e vetusta tecnologia.

La documentazione riportata in questo elaborato, a cui ne seguiranno altri, dimostra infatti che le diffuse inadempienze e illegalità, tollerate dall’ente provinciale, erano e sono diventate regola e necessità.

Regola e necessità per trarre il massimo profitto dentro un reciproco circolo vizioso dove il sistema dei controlli è saltato e che probabilmente è soggetto ad inaccettabili pressioni o ricatti. Tutto ciò a scapito della nostra vita di cittadini e di lavoratori.

E’ dal paziente lavoro di ricostruzione di eventi e di misfatti, operata sia dal Corpo Forestale dello Stato, sia dalla procura della Repubblica di Trento, che possiamo definire crimine ambientale ed attentato alla salute di donne uomini e bambini quanto è avvenuto in questo territorio per trent’anni. Qualcuno sostiene che la produzione dell’acciaio trova la sua ragion d’essere nella necessità anche per il Trentino di farsene responsabilmente carico. Se questa fosse la vera e unica ragione a supporto della presenza in Trentino di questa acciaieria, proponiamo all’attenzione di cittadini e amministratori la sua equa ricollocazione in altro sito “idoneo” del territorio provinciale.

Attraverso un sondaggio da sottoporre all’attenzione e ai diffusi interessi di trentini e lombardi, si potrebbe valutare se non sarebbe saggio e doveroso ricercare altri siti più idonei, dopo il prezzo intollerabile pagato dalla Valsugana, alla realizzazione di un impianto con le più moderne tecnologie (BAT - Best Available Technologies, o MDT - Migliori Tecnologie Disponibili). E non certo quello realizzato con una spesa di 7 milioni di Euro dall’ azienda utile solo a diluire il quantitativo delle emissioni nocive, nel tentativo di illudere o tacitare i cittadini della valle.

E tutto quanto accaduto prima o nel corso degli ultimi due anni, è tanto più inaccettabile perché è finalmente emerso, non da parte di chi dovrebbe tutelare territorio e salute, che cosa realmente si nasconda dietro la produzione di 30 anni di veleni di questa Acciaieria.

22.1.10

L’acciaieria tossica che nessuno ha fermato


il manifesto - Paola Bonatelli, 22 gennaio 2010

Che l’impianto industriale di Borgo in provincia di Trento, producesse “strani fumi” lo sapevano da trent’anni. Ma c’è voluta la determinazione delle associazioni per far aprire un’inchiesta. Domani, una manifestazione in valle.

Borgo Valsugana (Trento) - In questi giorni il procuratore della Repubblica di Trento Stefano Dragone, e il governatore del Trentino, Lorenzo Dellai, detto “il principe” dai suoi concittadini/sudditi, sono volati a Roma, convocati per un’audizione dalla commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti, sollecitata da due parlamentari trentini della Lega Nord, Maurizio Fugatti e Sergio Divina, che l’ha anche promossa, insieme al senatore Giacomo Santini (Pdl), autore di un’istanza sugli stessi fatti alla Corte di Strasburgo.
Nel mirino due vicende che travolgono imprenditori, politici, enti locali, macchiando l’immagine del Trentino insula felix: la situazione dell’Acciaieria di Borgo Valsugana, attualmente sotto sequestro e controllata da un custode giudiziario, e la discarica di Monte Zaccon, pure sequestrata su ordine della magistratura, in località Marter di Roncegno, paese turistico-termale dall’architettura liberty, in cui si trova il prestigioso Palace Hotel, che fu meta di tutta l’alta aristocrazia europea.
La commissione bicamerale non s’è evidentemente ritenuta soddisfatta di ciò che ha ascoltato, visto che il presidente Gaetano Pecorella ha annunciato una sua visita in Trentino verso marzo-aprile, per verificare sia la situazione ambientale che le eventuali “disattenzioni locali”. Mentre il procuratore Dragone si è limitato alla narrazione dei fatti – tra cui uno particolarmente significativo, l’affidamento delle indagini per la discarica e per l’acciaieria non all’Appa (l’azienda locale di protezione ambientale), ma ad un ente fuori provincia, il Corpo forestale dello Stato di Enego, cui si erano rivolti gli stessi cittadini, delusi dagli enti locali – il “principe” Dellai e il suo vice, l’ex sindaco di Trento e attuale assessore all’Ambiente Alberto Pacher, hanno sostenuto (e sostengono) che è tutto sotto controllo.
In Valsugana la presenza di diossina risulterebbe sotto i limiti di legge, il latte non è inquinato e neppure la lettura del registro tumori induce a pensare che in Valsugana ci siano più casi di malattia che altrove.
Due affermazioni, queste ultime, smentite dai medici valsuganotti (vedi box).
Se la “scoperta” della discarica di Monte Zaccon è relativamente recente – l’indagine portò all’arresto di otto persone il 10 dicembre del 2008 - la situazione a forte rischio ambientale, provocata dai fumi emessi dall’acciaieria di Borgo, preoccupa da trent’anni sia le istituzioni civili, in primo luogo i Comuni, che quelle sanitarie, gli ambientalisti, i cittadini.
Domani tutti i comitati della Valsugana, che nei mesi scorsi sono saliti alla ribalta della cronaca per le loro iniziative dirompenti, si sono dati appuntamento a Borgo – alle 15 in piazza Degasperi - per una manifestazione che vuole essere “un contributo alla ricerca della verità”
.
In prima fila ci sarà il sindaco del paese Fabio Dalledonne, in carica da appena dieci mesi, che, con la sua coalizione di liste civiche di “orientamento moderato di centro”, si trova una pesantissima eredità da gestire. Tuttavia, nella tragedia ambientale della valle, ferita a morte non solo per aver realizzato di aver respirato per anni e anni, con ogni probabilità, aria contaminata, mangiato cibo e bevuto acqua e latte inquinati da diossina e metalli pesanti, ma anche per aver capito che i controlli e le rassicurazioni degli enti preposti - in primo luogo Provincia e Appa, inquisiti insieme ai dirigenti dell’acciaieria - erano fumo negli occhi, qualcosa di positivo c’è.
Il risveglio degli accomodanti (finora) abitanti, i valsuganotti, che, dopo le battaglie condotte negli anni ’80 e ’90 dal Wwf trentino, sembravano dormienti. Lei, l’acciaieria, compare immediatamente a destra della strada che immette a Borgo Valsugana, stagliata da una parte contro le pareti calcaree del monte Lefre e dall’altra sui verdi pendii che salgono verso l’altopiano del Tesino, ai piedi del Lagorai. Un enorme complesso dall’aria decadente e rugginosa, un’immagine più da vecchia ferriera che da moderno stabilimento, costruito lungo un fosso putrido e luccicante in modo sospetto (si dice che l’acqua ogni tanto si colorava di rosso e che ci furono varie proteste dell’Associazione Pescatori a riguardo).
Di là dalla strada, il fiume Brenta con la sua famosa pista ciclabile, e poi campi di mais autoctono – una delle varietà originali – di foraggio, di fagioli (al cadmio, si dice ancora), e le stalle degli allevamenti zootecnici (produzione di latte e formaggi).
Se questa epopea dovesse avere una data di inizio, sarebbe il 19 marzo del 1979. In quel giorno, a Borgo - paese noto, negli ultimi anni, anche per i frequenti “sforamenti” dei livelli di Pm10 (polveri sottili), addebitati di solito alla famigerata statale 47 su cui transitano circa 44.000 veicoli al giorno - tra boschi e pascoli che si inerpicano da una parte verso i monti fatati del Lagorai, e dall’altra verso l’Ortigara e l’altopiano dei Sette Comuni – tutte zone ad altissimo valore aggiunto, dalle zone termali di Roncegno, Levico e Vetriolo alla Val di Sella, con le manifestazioni artistiche internazionali di ArteSella – si diede l’avvio alle lavorazioni dell’acciaieria.
La fabbrica apparteneva allora a tal Oscar Comini di Brescia, inquisito all’epoca, dalle sue parti, come inquinatore. Del resto il processo di insediamento dell’acciaieria non era stato indolore, anzi. I dubbi e le contestazioni sull’opportunità di realizzare una simile industria nella valle - interessata, come tutte le vallate alpine, dal fenomeno dell’inversione termica, cioè la formazione, per una questione di correnti, di uno strato di aria stagnante in cui ogni emissione si concentra – erano sorti immediatamente. La vicenda era rimbalzata dalla Valsugana a Trento e poi a Roma, con la presentazione di varie interrogazioni e interpellanze, tanto che a metà settembre del 1973 (dal quotidiano Alto Adige, 18 settembre 1973), l’allora assessore provinciale all’Industria Enrico Pancheri aveva ritenuto opportuno incontrare a Borgo i notabili della Democrazia cristiana locale “per calmare le acque e ridimensionare la questione”.
Nessun problema di inquinamento, assicurò allora l’assessore, perché “il Comini si è assunto degli impegni precisi in merito all’installazione dei più moderni ed efficienti sistemi di depurazione”. In realtà il Comini vendette la fabbrica prima che iniziasse la produzione al gruppo Leali, con sede a Odolo (Brescia), azienda che affonda le radici nelle tradizioni dei “maestri di ruota” della Val Sabbia. Furono i due figli dell’artigiano Luigi Leali, Nicola e Dario, attuale presidente della società, a trasformare nel dopoguerra l’azienda artigiana in attività industriale nel settore dell’acciaio per cemento armato. L’Acciaieria Valsugana, uno dei quattro stabilimenti del gruppo, produce tutte le principali tipologie di acciai al carbonio e legato mediante un forno elettrico fusorio ad arco voltaico, giudicato da più parti assolutamente “obsoleto”. Anche perché nei forni ci finiscono i rifiuti ferrosi, rottami che contengono ogni sorta di contaminante, ad esempio vernici e plastica, fusi senza pre-trattamento, in barba ai richiami della Comunità Europea, che ha più volte bacchettato l’Italia perché li considera “materia prima”, quindi soggetta a minori controlli.
I problemi cominciarono subito. Già nel gennaio 1981 il Wwf denuncia il grave pericolo di inquinamento derivante dalle emissioni dell’acciaieria, non ancora dotata di un impianto di captazione dei fumi. Per non parlare delle scorie, fanghi e polveri derivati dai fumi abbattuti, che, secondo gli ambientalisti, l’acciaieria scaricherebbe un po’ dappertutto, anche nei greti dei torrenti. I risultati delle ricerche del Wwf, che trova quattro discariche abusive sul territorio e un’alta percentuale di piombo nei residui dei fumi abbattuti, vengono segnalati in un esposto al pretore di Borgo alla fine di gennaio dello stesso anno. Qualcosa si muove, ci sono promesse riguardo all’installazione di depuratori e alla localizzazione di discariche appropriate, ma le analisi chieste dal Wwf vengono effettuate per conto dell’acciaieria e su campioni forniti dalla stessa.
Nel 1983 il Wwf torna all’attacco, accusando Provincia e Comune di gravi inadempienze e false promesse, mentre su Borgo staziona in permanenza una nube rossastra dal pessimo odore. L’acciaieria ha installato un impianto di filtraggio, ma probabilmente è sottodimensionato. Nel gennaio 1989 il Wwf denuncia nuovamente la situazione. Questa volta il pretore di Trento Fabio Biasi dispone la chiusura della fabbrica perché le emissioni non rientrano nella norma. Il sequestro dura dal dicembre 1989 al febbraio 1990, anno in cui viene realizzato il primo sistema di abbattimento dei fumi.
Passano nove anni, l’acciaieria continua la sua attività, anche grazie ai sussidi della Provincia, che sborsa, tra il 1984 e il 1992, 16 miliardi di lire a fondo perduto per l’erogazione dell’energia elettrica, oltre a vari altri contributi. Tra il 1999 e il 2000 l’azienda dichiara lo stato di crisi e mette gli operai in cassa integrazione, mentre il Wwf e gli abitanti di Roncegno organizzano la prima raccolta di firme per la chiusura dell’acciaieria. Ma la produzione riprende con settanta operai (i “più tranquilli”) e una nuova denominazione dell’azienda che diventa “Siderurgica Trentina”, affittata ad un altro imprenditore.
Tra i circa cento licenziati c’è Saverio, che denuncia il comportamento dell’azienda: ”Ho vinto la causa di reintegro – racconta l’ex dipendente di Leali – ma il giorno stesso mi sono licenziato, rifiutando i soldi che l’azienda mi offriva”.
Non solo, da quel momento diventa un ambientalista convinto e sarà lui a denunciare la collusione tra l’acciaieria e l’APPA, che non effettuava i controlli a sorpresa ma avvisava prima delle visite (particolare recentemente confermato dal contenuto delle intercettazioni disposte dalla magistratura).
Nel 2005 entra in vigore il decreto n. 59, che prevede la concessione dell’AIA (autorizzazione integrata ambientale). Nell’ottobre 2007 viene rilasciata la prima autorizzazione, rinnovata nell’agosto 2009: “Una grossa anomalia – denuncia Rosa Finotto dei “Barbieri Sleali” – soprattutto perché l’APPA, per fare un piacere a Leali, ha alzato di mille volte i limiti imposti dall’Europa per le emissioni di diossina. L’azienda, dal canto suo, truccava le analisi, con la complicità di un laboratorio (della società Ramet, di cui uno degli azionisti è proprio Dario Leali, ndr), oppure, in vista dei prelievi, fondeva materiale “nobile”. E non è finita. L’indagine odierna ha aperto anche un fronte sul destino delle scorie dell’acciaieria, per scoprire che, oltre ad essere sparpagliate in giro, venivano mescolate con inerti per produrre materiale per l’edilizia, il che ha prodotto altri quattro indagati”.
Il 4 dicembre 2009 il pm Alessandra Liverani chiede il sequestro totale della fabbrica. Il gip Marco La Ganga però preferisce il sequestro cautelativo, affidando l’azienda a un custode giudiziario, misura riconfermata pochi giorni fa.
In questo “pasticciaccio alla trentina”, i cittadini sabato torneranno a chiedere non solo la chiusura dell’acciaieria e la sua riconversione ma anche l’avvio di uno studio sugli effetti dell’esposizione ai fumi, la bonifica dei terreni, campagne di screening gratuite, nuovi investimenti non inquinanti e infine il coinvolgimento dei cittadini in qualsiasi iniziativa che riguardi la valle.

Lo studio: Secondo i medici la diossina nel latte c’è.
Sono stati i cittadini a segnalare il viavai di camion alla discarica di Monte Zaccon, e sempre loro si sono rivolti ad enti extraterritoriali per far luce sui fatti e avere giustizia. Sono loro infine, insieme ad alcuni professionisti della salute, i veri artefici del “risveglio” della Valsugana. Ma anche della Val di Non, dove lottano contro l’inquinamento da pesticidi.
Dietro il nome che uno dei gruppi si è scelto, i “Barbieri Sleali della Valsugana”, ci sono due storie, una antica e una attuale, e qualche sfumatura. I barbieri della valle erano i preferiti dell’imperatore Francesco Giuseppe, che li riteneva affidabilissimi per la reale rasatura, compiuta con affilatissimi rasoi. Leali alla corona, dunque, ma Leali è anche il cognome del proprietario dell’acciaieria di Borgo.
Sabato i “Barbieri” saranno in piazza con gli “antipuzza di Campiello”, che hanno recentemente vinto la loro battaglia contro un impianto di compostaggio, Valsugana pulita, Parco Piazza di Novaledo, Osservatorio Valsugana, Osservatorio Grigno Tezze, Antidiscarica di Carzano, il CeDIP di Borgo Valsugana, il Wwf di Trento e l’associazione Medici per l’Ambiente, che sta per pubblicare uno studio sui rischi potenziali dovuti all’inquinamento industriale nella valle, esaminando il ruolo dell’acciaieria. Il documento, firmato da una cinquantina di professionisti, è di per sé un segnale d’allarme.
La percezione della comunità medico-scientifica è che ci sia un’incidenza importante di patologie correlate all’inquinamento, da verificare con indagini mirate anche sulla ricaduta dei fumi. I dati disponibili, vecchi di otto anni, non permettono di capire la situazione complessiva. Una cosa però è sicura: dai primi rilievi a campionamento, affidati a laboratori universitari extranazionali (per cui si stanno raccogliendo fondi), risulta che nel latte prodotto in valle la diossina è presente, con composizione identica in tutti i campioni esaminati e con vari cogeneri, di cui uno, l’ectafurano, è un derivato specifico delle emissioni industriali.
(pa. bo.)

Sui pesticidi Mellarini non mi tranquillizza

Dovrei accogliere con gioia le rassicurazioni che Mellarini (assessore all'agricoltura della provincia) ha dato mercoledì attraverso il suo scritto sull'Adige circa la pericolosità dei pesticidi utilizzati in agricoltura. Purtroppo però non riesco a non preoccuparmi. Qui in valle è forte il discredito che le istituzioni provinciali si sono guadagnate.
È vero che la comunità europea ha messo al bando molte molecole utilizzate un tempo in agricoltura. Nell'articolo di Mellarini si parla di 1.180 molecole utilizzate nel ‘91 contro le 300 utilizzabili oggi. Che cosa è stato fatto dal ‘91 a oggi per tutelare la popolazione dai rischi di quelle 800 pericolose molecole che oggi sono bandite?
Oggi quei prodotti non sono utilizzabili ma fino all'altro giorno li abbiamo respirati. Li hanno respirati, oltre che gli operatori, anche gli sfortunati che vivevano vicino ai frutteti, i bambini che passavano in bicicletta sulle piste ciclabili, le donne in gravidanza che si facevano una passeggiata in campagna in un bel giorno di sole, i turisti che sapientemente abbiamo attirato da noi vendendo una certa immagine del nostro territorio. E chi potrebbe garantire l'innocuità delle molecole rimanenti e tutt'oggi utilizzate?
Sfogliando la «guida alla preparazione dell'esame di idoneità all'uso dei prodotti fitosanitari» redatto dalla Provincia e stampata nel 2003 non c'è da stare allegri. Raccomandando agli operatori di indossare sempre indumenti di protezione specifici, il testo spiega che anche prodotti di bassa tossicità acuta, se assorbiti in esposizioni prolungate, possono provocare effetti nocivi di tipo cronico. Gli effetti possono essere mutageni (alterazioni del patrimonio genetico e possono dar luogo a malattie genetiche ereditarie o a tumori), tetratogeni (comparsa di malformazioni nel feto), cancerogeni (comparsa di tumori nell'uomo).
Viene descritto l'effetto deriva, cioè l'allontanamento delle goccioline erogate dall'atomizzatore che oltre a colpire le piante vengono disperse in ambiente. Viene descritto accuratamente il principio del tempo di rientro, inteso come l'intervallo di persistenza di pericolo per chi entra nell'appezzamento trattato con i prodotti fitosanitari. Si suggerisce un tempo minimo indicato (il concetto è scritto in rosso) in 48 ore a meno che sia diversamente indicato in etichetta. Alcuni prodotti, come riportato nel medesimo testo hanno tempi di carenza e quindi di rientro nel campo anche di 21 giorni.
La nostra regione è ricca di percorsi ciclabili che attraversano frutteti. Quali sono le precauzioni per le persone che vi transitano dato che il regolamento provinciale impone fasce di rispetto dove non sia possibile trattare di appena cinque metri? Quali sono le precauzioni per le persone che vivono attaccate ai frutteti? Dove sono le siepi che dovrebbero bloccare quel pericoloso principio attivo di cui non conosco nulla, che viene usato non so che giorno e non so a che ora, e che se non incontra barriere finisce nel mio prato, sulla mia insalata, nella stanza dove i miei figli dormono?
I dati che dovrebbero rassicurarmi parlano di 1.700 aziende controllate su 9.900 con un risultato del 99,9 per cento di mele che presentano residui di fitofarmaci inferiori del 30 per cento rispetto ai limiti di legge. Ma i fitofarmaci vanno cercati solo sul frutto? Sul sito dell'Appa è pubblicato uno studio Di Betta e Lorenzin che analizza il fenomeno deriva e ci dice che residui di fitofarmaci consistenti vengono trovati addirittura a cento metri dalla zona d'effettuazione del trattamento.
L'articolo di Mellarini ci informa che nei vigneti e nei frutteti sono ricomparsi codirosso, merlo, cesena, tordo, e una miriade di altri uccelli, frutto evidente di un miglioramento degli standard ambientali. Forse anche il tordo, se potesse scegliere, preferirebbe non farsi avvelenare.
Magari anche il merlo prenderà coscienza del problema.

Alex Faggioni è stato tra i promotori dell'iniziativa di Calceranica al Lago "Per un'agricoltura sostenibile che rispetti il territorio e la salute"

Passato al biologico, adesso sono contento

Lettera pubblica su l'Adige del 22 gennaio inerente al dibattito sull'uso di pesticidi in agricoltura. Il giorno prima era intervenuto, minimizzando il problema, anche l'assessore alla agricoltura Mellarini [ leggi la lettera ]

Egregio Direttore, sono un agricoltore che, assieme alla mia famiglia, gestisce un'azienda agricola di circa 12 ettari coltivata a mele, olivi e vite in Valle dei Laghi. Da qualche tempo l'Adige tratta, con una certa frequenza, il problema dell' inquinamento provocato dai pesticidi usati in agricoltura. Come è logico che sia, su questo problema (che è veramente un problema) Si sono creati due fronti, dove da una parte c'è chi giustamente è intimorito della pericolosità di queste sostanze, dall'altra gli agricoltori che, in virtù di dover far bilancio (tanto legittimo quanto necessario), devono per forza farsi assistere dall'industria farmaceutica. A questo punto inviterei il mondo contadino a una riflessione che io feci qualche anno fa partendo da due semplici interrogativi:
1) ma se questi comitati per la tutela della salute rompono le scatole perché preoccupati della pericolosità di queste sostanze, io, agricoltore che opera sul campo, non è che sia più a rischio dal momento che le stesse sostanze le conservo, le maneggio e le distribuisco nell'ambiente che per lavoro frequento tutti i giorni?
2) Ma è proprio vero che senza pesticidi non si coltiva più a ottimi livelli? Sono gli interrogativi che già molti agricoltori (purtroppo in percentuale ancora pochi) si sono fatti in passato e una volta trovata la risposta hanno avuto il coraggio di staccare la flebo dell'industria farmaceutica, scoprendo un modo veramente bello e motivante di coltivare la terra, dove predominano strumenti di vita e non di morte. Ci terrei che una riflessione si facesse anche nel mondo istituzionale per esempio in assessorato all'Agricoltura, o nei vari patronati che operano sul campo, per capire veramente come il mondo agricolo deve evolvere. E una profonda riflessione pretenderei fosse fatta dall'Istituto Agrario di S.Michele (oggi Fondazione Mach), che con orgoglio pure io ho frequentato.
Tanta responsabilità questa struttura possiede, dal momento che fino adesso ha sfornato tecnici formidabili (lo dice il mondo agricolo europeo) e ha assistito con i propri tecnici l'agricoltura della nostra provincia con un metodo a suo tempo progettato dai club 3P (provare, produrre, progredire) e poi sviluppato con Esat. Deve impegnarsi di più nel creare un nuovo modello di formazione ecocompatibile, ad aiutare e assistere quelle aziende che hanno fatto delle scelte alternative alla chimica e di incentivare quelle che ancora sono indecise a fare questa scelta per paura di rimanere sole.
Di certo non mi sento autorizzato a dispensar prediche o a convincere alcuno a seguire strade alternative, visto che nel mondo del biologico sono uno fra gli ultimi arrivati, però lasciatemi concludere con una frase di Nicolas Joly viticoltore biodinamico francese produttore di vini incredibili: «Bisogna metter fine alla condotta menzognera che ha sottomesso il mondo contadino e una parte della viticoltura all'industria fitosanitaria e ai doni forzati dei contribuenti diretti o indiretti».

Stefano Pisoni
Azienda Agricola Fratelli Pisoni
Pergolese di Lasino

Stefano Pisoni ha partecipato all'edizione del 2009 del Critical Book & Wine al Cs Bruno

20.1.10

Trentino, la terra dei pesticidi

Proponiamo due ulteriori interventi sulla questione pesticidi dopo le analisi effettuate dal Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non.

Il Trentino è la provincia con il più alto impiego di pesticidi per ettaro di terreno coltivato. Un triste primato dovuto alla presenza di colture «specializzate» quali i vigneti, ma, soprattutto, i meleti intensivi.
Purtroppo da molti anni non si va al di là della «lotta integrata» una dizione ipocrita per nascondere un impiego massiccio di prodotti «fitosanitari». Un impiego che non accenna a ridursi.
Il mercato globale e le esigenze di stoccaggio e logistica richiedono varietà di mele suscettibili alle malattie crittogamiche e ai parassiti.
Il risultato è che le mele sono il prodotto ortofrutticolo più contaminato. L’ultima indagine di Legambiente («Pesticidi nel piatto») segnalava tra l’altro che proprio in Trentino sono in vendita le mele più contaminate (su 22 campioni di mele nove erano fuorilegge a causa del superamento dei limiti massimi consentiti del fungicida Boscalid).
Ovviamente se sono contaminate le mele figuriamoci l’ambiente. L’esposizione ai pesticidi riguarda in primo luogo gli addetti (gli stessi melicoltori) e poi coloro che hanno la sfortuna di abitare vicino ai meleti. In Val di Non sono tanti perché il business mele (proiettato ai mercati emergenti della Russia) continua a tirare e si sono piantati meleti ovunque, eliminando i prati, arrampicandosi sui versanti, piantando a ridosso degli abitati.
Le piaghe della monocoltura in Val di Non sono ben evidenti ma buona parte dell’economia locale gira intorno al settore e, sino a pochi anni fa, nessuno osava contestarla.
Oggi, invece, la petizione promossa dal «Comitato per il diritto alla salute», finalizzata a tutelare meglio la popolazione dall’impatto della melicoltura intensiva e chimica è stata sottoscritta da quasi mille abitanti.
Il Comitato per il diritto alla salute aveva riscontrato presenza di residui di pesticidi in abitazioni private e giardini.
Di fronte a questi elementi gli esperti ufficiali hanno contestato la carenza della metodologia di raccolta dei campioni.
Nonostante i vari tentativi di minimizzare i dati del Comitato e, in generale, il problema dell’esposizione ai pesticidi, l’attenzione e la preoccupazione sono rimaste elevate e, alla fine del 2008, l’Azienda sanitaria provinciale si accinse ad attivare un monitoraggio sull’esposizione della popolazione.
I rilievi avanzati dal Comitato circa i limiti dell’indagine non vennero tenuti in considerazione e il Comitato stesso decise di procedere ad una indagine indipendente. Anche nei campioni analizzati
dall’Azienda sanitaria il livello di clorpirifos-etil nelle urine raddoppiava tra il periodo precedente e quello successivo ai trattamenti nei meleti segno che l’esposizione - poca o tanta - c’è e che un po’ di avvelenamento gli abitanti lo subiscono. Fatto sta che il Comitato, ritenendo limitata e insufficiente l’indagine «ufficiale», ha proceduto ad autotassarsi per far eseguire analisi più complete ad un laboratorio fuori del Trentino.
Sono stati campionati anche i bambini oltre agli adulti e sono stati ricercati (e trovati) più principi attivi. Il confronto è stato possibile solo per il clorpirifos-etil per il quale sono stati riscontrati valori quattro volte più elevati (sei nei bambini) rispetto alle analisi «ufficiali» dell’Azienda sanitaria. Dati preoccupanti ma che non fanno che confermare un quadro conosciuto. Anche le indagini dell’Azienda hanno individuato la presenza di prodotti fitosanitari nelle abitazioni e nei giardini pubblici e privati.
Secondo il Comitato la presenza dei pesticidi nelle abitazioni private si configurerebbe come una violazione dell’articolo 674 del Codice Penale (Getto pericoloso di cose). Ma per gli «esperti» i livelli di contaminazione sono «tossicologicamente irrilevanti» e quindi non c’è «molestia». Da questo punto di vista appaiono quanto mai pertinenti le osservazioni del sociologo Ulrich Beck, teorico della «società del rischio», che a proposito dei livelli «ammissibili» di contaminazione, ha osservato che:
«Abbiamo a che fare con l’etica biologica di risulta della civiltà industriale avanzata, un’etica che rimane caratterizzata da una sua peculiare negatività. Essa esprime il principio, un tempo del tutto ovvio, di non avvelenare il prossimo. Per essere più precisi si dovrebbe dire: il principio di non avvelenare completamente. Infatti essa, per ironia della sorte, consente proprio quel famoso
e controverso "un po’". [...] In questo senso i valori massimi non sono altro che linee di ritirata di una civiltà intenta a rifornirsi in abbondanza di sostanze inquinanti e tossiche. L’esigenza di per sé ovvia di non essere avvelenati viene respinta come utopistica. Nello stesso tempo, con i valori massimi consentiti quel «po’» di avvelenamento diventa normalità, scompare dietro essi. (U. Beck. La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci).
Beck sostiene che nella «società del rischio» l’onere della prova di un effetto di causale sulla salute è a carico delle vittime della contaminazione (lo si è visto anche in tanti casi di nocività
aziendale). La «scienza» si trincera dietro alle statistiche epidemiologiche, ai test sulle cavie di laboratorio, ai «valori di sicurezza » con il risultato che c’è un avvelenamento ammissibile, normale, che quindi è come se non ci fosse. Per non «guastare le feste» all’industria chimica e a chi utilizza i suoi prodotti. La consapevolezza dei cittadini rispetto ai rischi è però cresciuta e le rassicurazioni non bastano più considerata la tendenza alla sottovalutazione del «rischio» da partedegli esperti e delle agenzie ufficiali.
Pertanto di fronte ai risultati delle nuove analisi il Comitato chiede con forza che vengano fatte rispettare le ordinanze dei comuni a rispetto delle abitazioni private e che si inizi a dare veramente un taglio all’uso di sostanze nocive e inquinanti nei meleti.

Michele Corti, ruralista e docente di Sistemi Zootecnici e pastorali montani presso l’Università degli Studi di Milano


L’imbroglio dei pesticidi. Il Trentino deve cambiare

Dopo le analisi effettuate dal Comitato per salute della val di Non che dimostrano la presenza di pesticidi nelle urine dei residenti, c’è da chiedersi se la cosiddetta lotta integrata possa avere una qualche validità o sia solo un espediente per far arrivare ai nostri agricoltori i soldi della comunità europea. La lotta integrata dovrebbe ridurre notevolmente i livelli di pesticidi salvaguardando le proprietà vicine e la salute collettiva. In realtà così non è, evidentemente qualche trappola per la confusione sessuale non ha dimostrato di ridurre significativamente l’impiego dei «veleni».
L’ultima indagine di Legambiente sui pesticidi per il Trentino riporta dati catastrofici. Su 22 mele analizzate solo un campione è privo di pesticidi e addirittura 9 sopra i limiti di legge. A sentire i consorzi dei produttori solo il 1-3% delle analisi risulta positiva. In realtà i dati di Legambiente dimostrano che il Trentino è fra i più grandi utilizzatori di pesticidi per ettaro.
Come si conciliano i dati di Legambiente con i dati dei consorzi? Semplicemente i consorzi quando riportano i loro dati non si riferiscono a campione cioè a mela, ma portano le percentuali di positività rispetto al numero di analisi effettuate.
Su ogni mela si effettuano 100 analisi circa di pesticidi: ebbene se ne trovo 1 pesticida per mela posso comunque dire che solo l’1% delle analisi era positiva. Se trovo 3 pesticidi per ogni mela analizzata, posso sempre dire che solo il 3% delle analisi è risultato positivo.

Con imbrogli di questo tipo il Trentino sta disattendendo le sollecitazioni della comunità europea di ridurre l’impiego di pesticidi e questo a scapito della salute della propria gente. La comunità europea ha stanziato 53 miliardi di euro per le misure agroalimentari e di benessere animale. Questo denaro dovrebbe andare alla conversione a una agricoltura biologica con ritorni ambientali e di salute e non al mero sostegno del reddito di chi pratica la cosiddetta lotta integrata«alla trentina».
La politica trentina deve venire a capo di questo problema.
Col contributo dei consorzi produttori si devono mettere in campo risorse ed energia per una conversione decisa verso il biologico vero. Ci sono bellissimi esempi da seguire di valli alpine che si sono vocate al biologico con ripercussioni positive sulla salute. Per contro la triste monocultura sta producendo malattie nervose (per mancanza di spazi di relazioni) oltre che organiche dovute ai pesticidi.

Roberto Cappelletti è medico e Sindaco di Centa San Nicolò

17.1.10

Sabato 23 gennaio ore 15: Manifestazione a Borgo Valsugana



Vi comunico che sabato 23 gennaio 2010 dalle ore 15 ci sarà una grande manifestazione in Piazza Degasperi a Borgo Valsugana per salvaguardare la nostra salute, il nostro ambiente, il nostro territorio.
I poteri forti stanno disorientando la gente? Bene.
Troviamoci per dimostrare loro che le idee ce le abbiamo ben chiare e che, comunque, VOGLIAMO renderle ancor piu' chiare !
PARTECIPIAMO TUTTI e DIFFONDIAMO l'evento sostenendo l'importanza di parteciparvi ! Lottiamo oggi per salvare il domani..
(tratto dal gruppo facebook "Sani in un ambiente sano in Valsugana" per visitare o iscriversi al Gruppo cliccare qui)

16.1.10

Borgo Valsugana: Comitati pronti a tornare in piazza

BORGO. Una manifestazione in piazza Degasperi, per invitare la popolazione della Valsugana a dar mandato ai comitati spontanei di proseguire nella loro battaglia ambientale. Andrà in scena sabato 23 dalle 15, mentre nel chiostro del municipio si raccoglieranno fondi per le analisi sulle diossine nel latte ma anche nomi e numeri di telefono della gente che darà la propria disponibilità a manifestare ancora. Questa la decisione emersa dall’incontro dei direttivi dei comitati presenti: Antipuzza di Campiello, Valsugana Pulita, Barbieri Sleali, Gruppo Medici per l’ambiente, Osservatorio Valsugana, Comitato Oltrebrenta, Osservatorio Grigno Tezze, Comitato per la difesa dell’ospedale e Wwf. Si attendono più di 400 persone e c’è già l’adesione dell’Associazione CeDIP (Centro di documentazione e informazione sulla pace) di Borgo. «Abbiamo bisogno del supporto e del consenso della gente, a loro chiederemo se dobbiamo continuare o meno. Con un mandato morale potremmo anche intraprendere azioni sopra le righe», hanno spiegato Bruno Donati e Rosa Finotto. La Finotto ha ipotizzato anche altre iniziative: andare in treno da Borgo a Trento per poi protestare in piazza Dante, continuare con sistematicità con i cortei lumaca o inondare di cartoline dalla Valsugana (con immagini di Acciaieria, Monte Zaccon e discariche) la scrivania di Lorenzo Dellai. Donati vorrebbe andare a Roma o Strasburgo, visto che in Provincia tutto viene cestinato, e ha ipotizzato di bloccare una seduta del consiglio provinciale. I Barbieri e Valsugana Pulita si stanno muovendo anche sui media per far conoscere a livello nazionale quanto sta succedendo in valle: ieri l’incontro con un giornalista del Manifesto, la prossima settimana usciranno su l’Espresso e hanno già girato un video che andrà in onda il 26 o 28 gennaio su Current Tv (canale 130 di Sky), network creato da Al Gore. Da Angelo Fiemmazzo la proposta di organizzare serate nei 21 Comuni mentre Giorgio Zuppel chiede di incontrare i sindaci, molto criticati per la loro latitanza sul tema. Anche il dottor Marco Rigo chiede ai sindaci una proposta unitaria e concreta di riconversione dell’Acciaieria con salvaguardia dei posti di lavoro, documento che anche Sat e pescatori dovrebbero sottoscrivere, e di diffondere a tutti i dati in mano a Fabio Dalledonne e Flavio Pacher, visto che non sono più coperti da segreto istruttorio. Rigo infine ha spiegato che l’università di Lione sta analizzando gratuitamente 50 campioni vegetali per verificare la presenza di metalli pesanti mentre le analisi su latte e diossina condotte dall’istituto Mario Negri di Milano andranno integrate: ma servono fondi per pagarle.

Marika Caumo

15.1.10

Le mele, la val di Non e i pesticidi nelle urine

Lettera al direttore
l’Adige, 15 gennaio 2010

Egregio direttore, mi ha colpito molto sull'Adige di ieri l'inchiesta di Renzo M. Grosselli sui pesticidi nelle urine, che hanno trovato in valle di Non. Io sono spesso in valle, e il pensiero che io e i miei bambini possano essere sottoposti ad aerosol di veleni per i fitofarmaci con cui le mele vengono continuamente irrorate, mi terrorizza. Come fanno i nonesi a vivere con un tale pericolo che grava sulle loro teste e che minaccia la loro pelle? Perché l'Azienda sanitaria non fa analisi serie?
La mela è il business dei nonesi, ma non possono mettere a rischio la loro salute e quella delle loro famiglie in nome del dio Golden. Cosa aspetta l'assessore Pacher a muoversi? Io sono una di quelle che l'hanno votato alle Provinciali, ma sono molto delusa dei suoi tentennamenti, sia con l'acciaieria di Borgo, che con le discariche di Marter e di Sardagna e adesso con i pesticidi nelle urine della val di Non. Non so se l'hanno zittito, o s'è perso tra gli uffici della Provincia. Se c'è ancora Pacher, che batta un colpo.

Anna Maria Berlanda


Rispetto a tutte le indagini e le analisi fatte fino ad ora, quelle commissionate dal «Comitato per il diritto alla salute» della Valle di Non ad un accreditato laboratorio nazionale impressionano perché, per la prima volta, i pesticidi sono stati ritrovati nelle urine. E con una percentuale sei volte maggiore di quella consentita.
Se questi dati verranno confermati da ulteriori esami, a questo punto indispensabili, da parte dell'Azienda Sanitaria, vuol dire che i veleni sprigionati dai fitofarmaci non sono più soltanto nei terreni attorno ai meleti, ma sono entrati nel ciclo di vita delle persone, e costituiscono una minaccia non più tollerabile per le persone. Perfino il clorpirifos-etil, l'unico metabolita ricercato dall'Azienda - secondo i dati forniti dal Comitato noneso - risulta assai superiore rispetto a quello rilevato finora: quattro volte tanto per il campione generale e sei volte di più nei bambini.
Ciò che chiede il «Comitato per il diritto alla salute» della valle di Non è sensato e pienamente condivisibile. Occorre che le ordinanze comunali siano rispettate e che le autorità pubbliche e i privati non chiudano un occhio (e pure l'altro) su quanto sta succedendo. Questo come garanzia minima di salute pubblica e di tutela dell'incolumità delle case e delle famiglie di chi vive a fianco dei meleti. E poi sono indispensabili criteri più severi nell'utilizzo di sostanze chimiche nocive. Nonostante i passi avanti fatti in questi anni, sono ancora troppi i veleni usati sulle mele e sull'agricoltura trentina. Troppi per una terra che ha fatto della salute e della genuinità dei prodotti il suo biglietto da visita nel mondo e la forza della sua economia.
p.giovanetti@ladige.it

14.1.10

Botta e risposta da l'Adige tra Comitato per il diritto alla salute in Val di Non e l'Assessore Pacher


«Nelle urine pesticidi sei volte maggiori»

VALLE DI NON - Il Comitato per il diritto alla salute in Valle di Non con una propria indagine, commissionata ad uno dei migliori laboratori accreditati italiani, non trentino, mette fortemente in dubbio la valenza delle indagini volute dall'Azienda sanitaria provinciale sul livello di esposizione ai prodotti fitosanitari dei cittadini nonesi che vivono in zone ad alta densità «melicola» (i cui dati sono stati solo in parte anticipati). L'indagine pubblica a detta del Comitato era limitata nei contenuti e portata avanti in modo scarsamente appropriato. «Dai nostri risultati emerge che la quantità dell'unico metabolita ricercato nelle urine della gente è molto superiore alle concentrazioni trovate dall'Azienda sanitaria: 4 volte di più nella media ma soprattutto 6 volte di più nei bambini di cui la loro indagine non si è preoccupata. Inoltre noi abbiamo fatto ricercare ulteriori metaboliti che sono stati ritrovati in quantità preoccupanti nelle urine delle persone testate». Il Comitato noneso (30 soci attivi ma un migliaio di persone che hanno sottoscritto una petizione da questo proposta per maggiori controlli nel rapporto tra agricoltura intensiva e popolazione residente) a fine 2008 era stato informato dal Comprensorio dell'intenzione dell'Azienda sanitaria di attivare un monitoraggio sui livelli di esposizione ai prodotti fitosanitari di un gruppo di persone residenti in Valle di Non. Al Comitato erano state in seguito comunicate le modalità dell'indagine. «Riscontrammo - ci dicono i rappresentanti del gruppo - grosse lacune e limitazioni nel progetto e constatammo che i nostri suggerimenti non erano stati accolti». Il gruppo decise allora di far eseguire a sua volta delle analisi biologiche, sulla gente quindi, che seguivano quelle ambientali commissionate anche allora a proprie spese per definire la presenza di tracce di pesticidi nelle case, giardini pubblici e privati. «Quel primo nostro check up aveva dimostrato la presenza diffusa, persistente e profonda di numerosi principi attivi, tra cui alcuni fuorilegge (ddt, endosuflan, diclofuanide, bromopropilato, carbaril, diazinone, malathion). L'Azienda sanitaria (vedi «l'Adige» di martedì scorso con la risposta dell'assessore Alberto Pacher alla interrogazione di Roberto Bombarda e le successive considerazioni del dottor Alberto Betta) ha quindi commissionato agli opportuni laboratori l'analisi delle urine di 23 persone, abitanti a Cles, Tuenno, Nanno e Tassullo. «Un'indagine inadeguata e limitata. - dice il Comitato - Le analisi si sono limitate alle persone adulte mentre i bambini, dicono i medici, sono più esposti a questi agenti chimici per il loro metabolismo accelerato, perché in proporzione si alimentano di più e nel gioco mettono le mani a terra e poi magari in bocca. In secondo luogo l'Azienda ha ricercato un solo principio attivo, il clorpirifos-etil, su circa 30 usati ogni anno nei meleti. Infine, tra i soggetti analizzati non c'erano agricoltori e loro familiari, le categorie più esposte a questi prodotti». Il Comitato si è un'altra volta autotassato (migliaia di euro) e «ci siamo rivolti ad uno dei migliori laboratori presenti in Italia. Sono state raccolte le urine di un certo numero di persone, tra cui alcuni bambini, ed è stata ricercata la presenza di diversi principi attivi». Cosa ne è venuto fuori? «Dai risultati emerge che le quantità del metabolita riscontrato nelle urine, il clorpirifos-etil l'unico ricercato dall'Azienda, è molto superiore a quelle rilevate dall'indagine della stessa e divulgate da Pacher: 4 volte tanto per il campione generale e 6 volte di più nei bambini. Ciò che dimostra la particolare e preoccupante esposizione dei più piccoli a queste sostanze. Inoltre abbiamo dimostrato la presenza nelle urine di altri metaboliti in quantità preoccupanti». Il Comitato ha deciso di comunicare nei particolari i contenuti dell'indagine a chi di dovere e al pubblico in apposite serate a tema. L'attività del Comitato conferma la scarsa fiducia che una parte non indifferente dell'opinione pubblica (vedi tema Valsugana ed Acciaierie) ha sulla adeguatezza dei controlli pubblici. E riflette le perplessità su un «approccio al ribasso delle pubbliche autorità sanitarie nei confronti dei rischi a cui è soggetta la popolazione. Un solo dato vogliamo ora sottolineare. L'analisi provinciale conferma comunque che la presenza del metabolita ricercato, il clorpirifos-etil, è raddoppiata nelle urine delle persone analizzate tra il periodo di non esposizione ai prodotti fitosanitari (la prima raccolta di urine fu fatta ad inizio marzo) e il periodo di piena esposizione (la seconda raccolta fu in maggio). Da 1,425 microgrammi su grammo di creatinina a 2,71. Ciò che testimonia che la contaminazione è dovuta essenzialmente ai fitofarmaci usati nei trattamenti. Del resto, le analisi volute dall'Azienda sanitaria hanno dimostrato la presenza di prodotti fitosanitari dentro le case, nei giardini pubblici e privati (in violazione all'art. 674 del codice penale) e ora anche nel corpo umano». Cosa chiedete alla politica? «Il rispetto delle ordinanze comunali alfine di permettere l'incolumità della proprietà privata e pubblica per tutelare la salute pubblica. Poi, che in agricoltura si usino sempre meno sostanze chimiche nocive».

di RENZO M. GROSSELLI, fonte l'Adige del 14.01.2010

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Pesticidi, residui anche nelle case

VAL DI NON - «La presenza di residui all'interno delle abitazioni riportata dalle analisi fornite dal Comitato per il diritto alla salute in Val di Non - scrive Pacher - risulta coerente con i risultati dell'indagine condotta dall'Azienda sanitaria. È stato ricercato un principio attivo «tracciante» in 23 abitazioni, e nelle urine delle 23 persone domiciliate è stato cercato il metabolita dello stesso. L'indagine «ha permesso di evidenziare il principio attivo scelto come "tracciante" in ambito domestico, sia nel periodo lontano dai trattamenti (2 casi su 23), sia in corrispondenza di questi (7 casi su 23).
Tracce minime
«Tali osservazioni - scrive Pacher - suggeriscono la possibilità che i principi attivi utilizzati in agricoltura, per varie ragioni (in primo luogo per il fenomeno "deriva"), trovino diffusione anche all'interno delle abitazioni e, in certa misura, permanervi. Per altro i livelli riscontrati nello studio condotto dall'Azienda sanitaria sono da considerarsi tracce minime di prodotto che, pur testimoniando la possibilità di una contaminazione indoor, rivestono scarso o nullo significato dal punto di vista tossicologico».
La «deriva»
Soprattutto in aree dove c'è stretta aderenza fra coltivazioni e abitazioni, «la possibilità che i principi attivi possano essere riscontrati in prossimità delle abitazioni è molto alta», osserva Pacher. «Tali considerazioni trovano conferma in studi condotti in passato sul fenomeno "deriva". Peraltro, lo studio così come inviato non contiene informazioni circa la concentrazione delle sostanze rilevate, la ricerca effettuata dal Comitato per il diritto alla salute in Val di Non conferma quanto già conosciuto: all'esterno delle abitazioni il prodotto aero-disperso è comunemente riscontrabile e tale presenza nelle abitazioni e loro pertinenze è tanto più probabile quanto maggiore è la vicinanza delle aree agricole».
I prodotti proibiti
Per la maggior parte i principi attivi trovati sono autorizzati dal protocollo provinciale di produzione integrata 2009. «Alcuni sembra non risultino in esso compresi e pertanto il loro uso, per la coltivazione del melo, non è ammesso. Due principi attivi - scrive il vicepresidente della Provincia - risultano essere ritirati dal commercio da diversi anni (2,4, DDT dal 1978; diclofluanide dal 2003); la presenza di tali residui riscontrata in campioni di polveri è di difficile interpretazione, ma non è da escludere che questa sia attribuibile alla persistenza nell'ambiente di principi attivi usati in passato o, nel caso del 2-4 DDT, ad una contaminazione ambientale di fondo. La molecola "Endosulfan", riscontrata in campioni di polveri e ciliegie di un giardino, è stata autorizzata in Italia per l'uso sul nocciolo, mentre su melo risulta vietato. Anche in tale circostanza risulta difficile stabilire l'esatta provenienza di tale residuo. Altra molecola il cui utilizzo non è previsto per il melo, 2 - fenilfenolo, risulta tuttavia impiegata per svariati utilizzi, anche in ambito non agricolo».
Comuni e ordinanze
Per la riduzione del rischio - ricorda Pacher - la giunta provinciale ha adottato nel 2006 un Protocollo di comportamento sull'utilizzo dei fitosanitari in prossimità dei centri abitati per la tutela della salute dei cittadini e dell'ambiente. I Comuni possono recepirlo «con regolamento o con ordinanza in modo da salvaguardare la salute dei cittadini e la qualità dell'ambiente. La deliberazione riporta che solamente 48 comuni su 223 avevano disciplinato l'utilizzo dei prodotti fitosanitari».

fonte l'Adige del 12.01.2010

13.1.10

Guerra alle Acciaierie, comitati pronti a tutto


VALSUGANA - Nessuna marcia indietro dei comitati ambientalisti della Valsugana dopo la sentenza del Tribunale del Riesame che ha scongiurato, almeno per ora, la chiusura delle Acciaierie di Borgo Valsugana (è pendente il ricorso in Cassazione presentato dalla Procura). Si sono susseguiti in questi giorni gli incontri tra Barbieri Sleali, Valsugana Pulita, Discarica Sulizzano, Antipuzza di Novaledo, Osservatorio Grigno-Tezze e da Fonzaso il Comitato Pra' Gras, solo per citarne alcuni. Cosa è stato deciso? «Ci dobbiamo trovare questa sera alle 20,30 al Bocciodromo di Borgo - informa la portavoce dei Barbieri Sleali Rosa Finotto - contiamo sulla presenza di tutti i comitati per calendarizzare le iniziative dei prossimi giorni». La guerra contro le Acciaierie è ormai dichiarata, non vi fermerete davanti a nulla? «Noi ci proveremo. Dobbiamo anche capire quante persone avranno il coraggio e la disponibilità di aderire alle nostre proposte. Dalla nostra posizione non si transige di una virgola. Quanto abbiamo già dichiarato e manifestato in occasione delle riunioni aperte al pubblico dei mesi scorsi è valido ora più che mai. La fonderia di Borgo deve chiudere». Sembra che dall'Acciaieria sia arrivato un segnale di distensione, un tentativo di confronto da parte di alcuni operai che hanno chiesto di interloquire con i tanto vituperati comitati ambientalisti. «Non propriamente dagli operai, ma dal segretario provinciale di Rifondazione comunista, Francesco Porta, che vorrebbe coinvolgere anche i rappresentanti di fabbrica. In questo senso stiamo ancora valutando come muoverci». State raccogliendo dei fondi. A quale scopo? «Lo stiamo facendo di concerto con i medici ambientalisti che ci hanno supportato in tutto questo tempo. Cerchiamo finanziamenti per portare avanti ricerche più approfondite e mirate, allo scopo di avere finalmente dati certi ed un'univoca versione su quanto e come le Acciaierie stanno inquinando aria, terra e acqua». I cortei lumaca sulla statale della Valsugana, ci era parso di capire, sarebbero continuati sistematicamente. «Anche se non sappiamo quando, i cortei lumaca riprenderanno eccome! E posso anticipare che il 23 o il 30 gennaio prossimi manifesteremo in piazza a Borgo. Lo faremo per spiegare a quanti vorranno intervenire anche la finalità della raccolta fondi». La decisione di tenere aperte le Acciaierie è partita da Trento, voi vi fermerete a Borgo? «Abbiamo intenzione di andare fino in fondo. E se questo significa arrivare a Trento ebbene ci arriveremo».

di Nicoletta Brandalise, l'Adige del 13.01.2010

11.1.10

Chiudere subito le Acciaierie Valsugana, riprendere la mobilitazione

Striscioni sui cavalcavia della SP47

Questa mattina, giorno in cui le acciaierie Valsugana riprendono l’emissione di diossine nocive dopo la pausa natalizia, sono apparsi sui cavalcavia della SP47 da Levico a Borgo Valsugana numerosi striscioni di denuncia per pretendere l’immediata chiusura della fonderia.

La scelta della SP47 non è casuale: proprio su questa strada si è svolta l’ultima iniziativa di protesta lo scorso 23 dicembre, quando una quarantina di persone incolonnate con le proprie auto hanno inscenato un corteo lumaca provocando rallentamenti del traffico per un'intera mattinata.

Oltre alla denuncia gli striscioni appesi vogliono simbolicamente essere uno stimolo, per tutte le persone che credono in una Valsugana pulita e libera dalle nocività mortali, a riprendere il percorso di mobilitazione e farlo diventare permanente, fino a quando non sarà smantellata e bonificata l’intera zona pericolosamente inquinata.

Dopo l’assemblea pubblica con più di 400 persone che stanche di sterili rassicurazioni o promesse non mantenute ne chiedono la chiusura con l’immediata riconversione dei posti di lavoro, non si può pensare che le acciaierie verranno chiuse solo grazie alla magistratura o delegando al sindaco la richiesta, oppure rifugiandosi nella raccolta fondi per nuove analisi.

In questo momento è necessario riprendere la discussione cercando il coinvolgimento delle persone, promuovendo la partecipazione diretta sulle scelte del proprio territorio senza avere il timore di agire con determinazione. La scommessa è aperta e mai come ora c’è l’urgenza e la possibilità di immaginare che il Trentino che vogliamo sia un territorio libero da coloro che avvelenano e distruggono l’ecosistema.

Centro sociale Bruno

9.1.10

Un Centro Commerciale a Lavis? NO GRAZIE!

da http://impronte.altervista.org/

Crediamo che la vera anima di Lavis non vada ricercata in un nuovo centro commerciale.
Crediamo che un Milkshake non potrà mai sostituire il Nosiola di Pressano.
Crediamo che un Hamburger non potrà mai eguagliare le luganeghe del Paoli
Crediamo che il nostro Centro Storico non potrà rinascere grazie alla vicinanza di un Centro commerciale
Crediamo che ci sia più valore nei negozi di vicinato del centro
Crediamo che la valorizzazione della nostra comunità passi dalla riscoperta delle prerogative del nostro territorio
Crediamo che la vita sociale di Lavis non possa dipendere da un Centro Privato
Crediamo in Lavis e non in un Centro Commerciale!

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