E’ uno dei risultati più belli ed eclatanti della tre giorni sull’acqua, indetta dalle associazioni trentine Yaku, Ya Basta e Filorosso, che per sensibilizzare e stimolare una discussione sulle tematiche dell’acqua – la cui gestione è stata recentemente privatizzata dal governo italiano – hanno organizzato concerti, mostre fotografiche, spettacoli teatrali dal 9 all’11 dicembre scorsi in vari luoghi della città. Dallo spettacolo h2oro che ha coinvolto anche le scuole, al documentario Terre d’acqua sull’Uruguay, alla mostra fotografica di Lorenzo Scaldaferro, l’acqua a Trento ha preso la parola.
Bilancio molto positivo: sia il Teatro San Marco che il Centro Formazione alla Solidarietà, che la Facoltà di Sociologia, dove erano dislocati gli appuntamenti, hanno registrato ottime affluenze e forte interessamento da parte dei partecipanti.
In particolare, è stata davvero felice la commistione fra i protagonisti della guerra dell’acqua di Cochabamba – il sindacalista boliviano Oscar Olivera e la docente ed attivista messicana Raquel Gutierrez – ed il folto pubblico giunto anche da fuori regione, per la serata organizzata da Yaku “La Rivoluzione dell’Acqua”, il 10 dicembre.
Con Alex Zanotelli, che in un accorato discorso più volte chiedeva se fosse follia quella che stiamo vivendo – l’acqua nelle mani di pochi – con Michele Nardelli, del Forum trentino per la Pace, che ha letto la proposta di mozione provinciale contro la privatizzazione dell’acqua, e con il filosofo e politologo irlandese John Holloway, che ha commosso la platea parlando della oscurità che il mondo vive, braccato dalle tenaglie del sistema capitalista, i relatori sono riusciti ad uscire dagli schemi di una conferenza, ed intavolare un dialogo con le centinaia di persone presenti.
Che era proprio quello che si voleva accadesse: dell’esperienza della Guerra dell’Acqua di Cochabamba, di cui ricorrono adesso i dieci anni, durante la serata si è più volte sottolineato come il conflitto di strada che ha visto popolazione affrontare a mani nude un esercito armato al grido de “l’acqua è nostra”, fosse stato solo uno degli aspetti che hanno fatto della lotta boliviana un evento storico spartiacque. E’ il laboratorio politico che attorno all’acqua ha saputo crescere e sviluppare nuovi modi di gestione partecipata dei beni comuni, che si è eviscerato: “La gente ha recuperato la parola e perso la paura”, spiegava Oscar Olivera, che per il suo impegno è stato insignito anche del Premio Goldman. “Si è riprodotto un noi collettivo, per cui ad un problema comune, si è cominciato a cercare comuni soluzioni. Parlando, discutendo, riprendendo nelle proprie mani la responsabilità della propria vita e del proprio ambiente”, diceva la sociologa Raquel Gutierrez.
Al momento del dibattito la gente ha intavolato una vivace discussione, riportando le proprie esperienze – molti i consiglieri comunali e circoscrizionali che di sono già esposti in Trentino contro l’acqua privata – ma anche il desiderio di un confronto senza tanti intermediari. “Sceglietela adesso, una data per incontrarvi”, incalzava Raquel “Non aspettate sempre che sia qualcuno a sceglierla per voi”. Detto fatto: il 22 dicembre. Chi dice per una fiaccolata, chi per discutere, chi per marciare. Vediamo cosa succederà. Ma ciò che è successo giovedì scorso è un segnale preciso: l’acqua, ancora una volta, rappresenta quel limite – morale, etico, politico – che con la messa a gara dei servizi di gestione idrica, per molti è stato superato, facendo scaturire una sana e creativa indignazione. E dall’altra, che la dicotomia pubblico – privato, che ha permesso a questo governo di avvallare la teoria per cui “il pubblico ha fallito, il privato risanerà”, va superata con la elaborazione di un modello nuovo, partecipato, socializzato, che ci veda tutti protagonisti del nostro futuro.
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