28.5.10

Il Nettuno privatizzato? Il Trentino lo vuole pubblico


Oggi, 27 maggio, alle ore 15.30 la fontana del Nettuno in Piazza del Duomo a Trento, è stata addobbata di colorati palloncini blu, ed ingabbiata in ragnatele di nastro da lavori in corso, con la scritta “privatizzazione in corso”. Ad organizzare la piccola performance, il Comitato Promotore per il referendum per l’acqua pubblica in Trentino, che incontrando la cittadinanza e la stampa locale, ha annunciato il raggiungimento di quota 6500 firme dal 25 aprile ad oggi. Mentre il referendum per l’acqua pubblica a livello nazionale ha superato le 680.000 firme, segno di una straordinaria manifestazione di volontà, coscienza civile, capacità autorganizzativa della popolazione italiana che con forza dice no alla privatizzazione selvaggia promossa dal governo Berlusconi.

Dal 25 aprile su tutto il territorio nazionale è in corso una grande campagna referendaria promossa dal Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua, una piattaforma orizzontale di movimenti sociali, sindacali, cittadini ed associazionistici, che spontaneamente si è costituito per opporsi alla privatizzazione delle risorse idriche in Italia. E’ la campagna “L’acqua non si vende”, che propone la sottoscrizione di tre quesiti referendari, contro la privatizzazione dell’acqua, per tariffe eque e trasparenti, per aziende speciali che permettano la gestione idrica con un reale controllo sociale.

Anche il Trentino ha deciso di dire no al cosiddetto decreto Ronchi, che dal 19 novembre scorso ha legiferato per una graduale privatizzazione delle gestioni idriche che da qui al 2013 relegheranno le quote in mano all’ente pubblico al 40% e al 30% entro il dicembre 2015.

Perché il Trentino, terra di montagne e ricca di acque, è sensibile verso le tematiche della difesa dei beni comuni e del patrimonio ambientale e in questa battaglia vuole prendere una posizione netta, senza se e senza ma.

Perché anche in Trentino è in corso una silenziosa privatizzazione dell’acqua che presenta caratteristiche simili al panorama nazionale e che vuole ridurre l’acqua una merce quotata in borsa e dipendente dalle fluttuazioni del mercato.

La consapevolezza che in Trentino la privatizzazione dei servizi idrici è andata sostanzialmente di pari passo con quella nazionale si sta diffondendo.
Prima con la legge regionale n. 1/1993 che ha ammesso l’affidamento dei servizi idrici a imprese private oppure a SpA con il socio ente locale in posizione di “influenza dominante” (la quale, come è noto, non garantisce nessun vero controllo pubblico all’interno di un soggetto di natura privata tenuto a conseguire profitti di mercato).
Poi con la legge provinciale n. 6/2004 che - pur non essendo stata applicata per mancanza di regolamento attuativo - ha introdotto la possibilità teorica di affidamento a SpA a capitale misto pubblico-privato senza neppure lasciare al primo la “influenza dominante”.
In seguito con la legge provinciale n. 3/2006 (la riforma delle autonomie locali) che impone la gestione dei servizi idrici in forma associata attraverso le Comunità di valle ma non fa nulla per salvaguardare le gestioni dirette comunali, magari nella forma (ancora praticabile in Trentino) dell’azienda speciale consortile territoriale.
E oggi con la concreta possibilità che anche nella Provincia di Trento si applichino direttamente le norme statali di privatizzazione violenta del 2008/2009 (contro cui si rivolge uno dei quesiti referendari) con l’effetto di accelerare ancora la deriva verso la mercificazione del bene comune acqua.
In effetti, i segnali che la Provincia di Trento ha mandato negli ultimi mesi sono esplici: mentre molti Comuni trentini hanno aderito all’invito di inserire nel proprio statuto che il servizio idrico è un servizio pubblico senza rilevanza economica e dunque sottratto alle regole del mercato, la PAT stranamente non si è aggiunta alle 5 Regioni Italiane che hanno impugnato le ultime norme statali davanti alla Corte Costituzionale; mentre in un o.d.g del 17.12.2009 il Consiglio Provinciale ha avallato appoggia l’intenzione di Dolomiti Energia di entrare in borsa.

Contro questa strategia che riduce a merce la nostra acqua, il referendum abrogativo delle norme nazionali sui servizi idrici è un passaggio fondamentale ma non è l’unico obiettivo.

Dal 25 aprile la campagna “L’acqua non si vende”, al pari del trend nazionale che svetta già verso quota 700.000 firme, ha visto anche nel nostro territorio una partecipazione entusiasta della gente, dalle città ai paesi. Sono decine i comitati spontanei che si sono formati in ogni zona della provincia – l’ultimo nato, il Comitato Acqua Bene Comune delle Giudicarie e Rendena - ed altrettanti i banchetti per la raccolta firme che hanno raggiunto, ben prima del termine 6500 firme in poche settimane. Con ancora un mese davanti, il Comitato Pormotore del referendum che riunisce cittadini, associazioni, partiti politici e sindacati, punta almeno a quota 8000!

La raccolta firme, che sta inondando vicoli e strade, feste e manifestazioni, si sta dimostrando un valido laboratorio politico e di diffusione di conoscenze. La gente viene ai banchetti per firmare, è informata, fa la fila con pazienza, chiacchera, s’impegna, si conosce.

Vogliamo costruire un’iniziativa continua che in Provincia chiami tutti a lottare perché Comuni e Comunità di Valle dichiarino il ciclo dell’acqua servizio di interesse collettivo fondamentale, privo di interesse economico ed estraneo alle regole del mercato.

Sosteniamo gli enti locali che resistono alla privatizzazione.

Comitato promotore referendum del Trentino
http://acquabenecomunetrento.blogspot.com/

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