Anche se, prevedibilmente, si assiste ora alla consueta quanto desueta gara dei meriti, l'imprimatur Unesco alle Dolomiti riveste una valenza «universale», che non può - nel suo spirito - appartenere ad alcuno, prescindendo dagli attori che se ne sono fatti sostenitori. Può confortare chi voglia - nonostante tutto - continuare a credere nel primato e nella forza dell'intelligenza umana l'oggettiva eventualità che quest'occasione di prim'ordine abbia a stimolare e provocare un trasversale «nuovo ragionamento». Degnamente rispondente all'essenza del riconoscimento stesso, coerente ed all'altezza del valore stesso delle nostre Dolomiti. E da questo assunto sgorgano gli interrogativi: che si moltiplicano vertiginosamente, a cascata, valutando esperienze maturate, le prese di posizione che sorgono a più voci in questi giorni, le promesse e le enunciazioni della politica dell'oggi che appare pericolosamente ringalluzzita da questo oggettivo ed ulteriore accredito di immagine. L'amico Giorgio Daidola è stato «tranchant» nel suo giudizio (è una buffonata con finalità turistiche), sollevando manco a dirlo irritate prese di posizione. Ma sono sostanzialmente concorde con la sua rude e tuttavia efficace analisi, semplicemente per aver vissuto nel mio percorso professionale pluridecennale una nutrita e serie di enunciazioni programmatiche tutte ugualmente e mirabilmente dirette al «governo» del turismo in chiave moderna e sostenibile, rispettoso della natura, un turismo veicolo di trasmissione di valori di identità dei luoghi, della storia locale, delle persone. Grossomodo, sappiamo tutti cosa e come fare, quali percorsi di dovrebbero scegliere, conosciamo quelli scelti a mezzo dell'esercizio del compromesso, essenza della politica e strumento irrinunciabile del governare. Introduco a questo punto, sommessamente, un ricordo carico di nostalgia e del tutto personale, ma credo attualissimo: fine Anni Ottanta del secolo scorso, ebbi il privilegio di discutere con l'allora assessore provinciale all'ambiente Walter Micheli un pomeriggio intero su un «progetto turistico per il Trentino». Che mutuando e declinando le positive esperienze messe a segno nella gestione dei parchi e del territorio, avesse come obiettivo finale la rivoluzionaria (per allora, ma non meno per oggi) idea di trasformazione (complessa, senza dubbio) delle nostre vallate in un grande e diffuso «parco turistico del Trentino», nel quale l'oggetto/soggetto tutelato fosse l'ospite turista. Un traguardo ambizioso e difficile, per molti verso scomodo e sicuramente poco visibile perché avrebbe inciso profondamente nella carne della sostanza e non sulla facciata del nostro sistema d'ospitalità. Ma sappiamo tutti quant'acqua è passata sotto i ponti da allora, quanti accadimenti si sono succeduti. Vista la realtà dell'oggi, pensando a quali oneri (al di là degli onori già ampiamente incassati) possa comportare la gestione di una realtà siffatta, non possono che crescere un'esistente preoccupazione e allarme dettati da uscite del genere «andremo a creare la cabina di regia delle Dolomiti» oppure «non daremo luogo ad altri carrozzoni (testuali parole del governatore Dellai)». Enunciazioni foriere di apprensione visti i precedenti specifici in fatto di cabine di regia: mentre ad otto anni dall'entrata in vigore d'una riforma del turismo che non ha funzionato - e che la politica non ha saputo né voluto correggere, ma che dovrà gioco forza rimediare - sentiamo ancora periodicamente lamentare l'assenza proprio di cabine di regia (locali) nel settore che con la «nuova dimensione» delle Dolomiti avrà maggiormente a interagire. In un contesto di non assimilazione e coscienza, si suppone, dal punto di vita di programmazione (esiste un Progetto Dolomiti? Un sito web ed enunciazioni programmatiche interregionali certo non bastano!). Ritorniamo a Giorgio Daidola: forse, non è che abbia - pur non lesinando energie nei toni - voluto sottolineare proprio questo aspetto con il suo provocatorio allarme-denuncia? Questa nostra politica e amministrazione tesissime sugli aspetti dell'immagine e dell'apparire, saranno davvero in grado di sfoderare inedite arti di composizione delle pretese e delle diatribe (interregionali) esprimendo finalità ed operatività rispondenti alle esigenze di difesa delle Dolomiti? Anche se sarebbe disonesto negare l'esistenza istituzionale trentina, peraltro derivata da solidi precedenti, d'una attenzione e tensione alla cultura dell'ambiente e della natura (non esente da scivoloni e contraddizioni), non può non preoccupare alla luce delle ricadute turistiche innescate dall'imprimatur Unesco la sostanziale mancanza d'un «progetto turistico montagna» del quale le Dolomiti costituirebbero la punta di diamante. Della montagna, la nostra organizzazione turistica trentina (Trentino Spa ed Apt locali) sfrutta esclusivamente gli effetti spettacolari e teatrali, ben guardandosi secondo una gestione ampiamente autoreferenziale dell'offerta, dal trasmettere reali contenuti e valori sottesi alla frequentazione della stessa montagna. E ben guardandosi dall'incidere, ottemperando ad una funzione di «destination management» peraltro ascrivibile a chi governa il turismo, attraverso formazione e programmazione sul tessuto connettivo dell'ospitalità (i soggetti classificati come «privati»), costituito da quanti in montagna operano e lavorano. Ammassare migliaia di persone sulle Dolomiti di Fassa o nella conca di Fuchiade (tempio dei grandi spazi e silenzi, a mio avviso letteralmente violentato) per esibizioni musicali-happening perfino amplificate è mera e totale contraddizione: peggio ancora quando ciò accade addirittura all'interno di parchi naturali oppure nelle verdi oasi delle malghe ridotte a set per cori e cantanti con gli inevitabili stress ambientali connessi a carichi antropici devastanti nell'arco di poche ore. Cercando di scordare, con buona pace generale, gli abissi di buon gusto rappresentati dai trascorsi circensi concertini sulle seggiovie in movimento. Così come i Suoni delle Dolomiti, indubbia operazione d'immagine che nella loro quindicinale riproposizione hanno ormai perso il loro valore e carica originari a beneficio d'una scelta sempre più giocata alla ricerca dei numeri e della visibilità, altre proposte consumistiche inquinano fattori oggettivamente eccelsi come il sorgere di un'alba col richiamo dell'avventura facile «mordi e fuggi» da ricercare (in modo non banale) salendo di notte sentieri, bivaccando magari in tenda a duemila metri anche se non si è abituati a farlo, magari trascinando morose ed amici per una sorta di festa in allegria come si fosse sul prato dietro casa. In montagna esiste una soglia di rispetto delle cose, dei limiti, dei luoghi, delle situazioni della quale pare si sia persa cognizione spacciando - in una perdurante ubriacatura da marketing turistico - per intimistiche e profonde esperienze in realtà propinate null'altro che in termini di effetto, attrattiva, appariscenza. Spettacolo ed effetti speciali ad uso corrente in luogo e presunta sostituzione dei valori particolari della montagna e delle esperienze che essa regala. Avvilente. Ecco, è tutto questo che a mio avviso offre adito a preoccupazioni guardando al nostro Trentino ma anche alle zone limitrofe «dolomiticamente sorelle». «Lentius, profundius, savius» (più lento, più profondo, più saggio) invocava l'indimenticato Alexander Langer disquisendo nei suoi scritti sugli stili di vita che fu sua verde utopia anche nella dimensione Dolomiti. Guardando alla nostra realtà politico amministrativa sempre amando i Monti Pallidi ora proclamati patrimonio dell'umanità, mi permetterei di integrare la profondità del motto di Langer con altri superlativi: «peritius, humilius, honestius» (più pratico, più semplice, più decoroso). Con ben poche speranze. Ma tanta gioia nel cuore, perché - nonostante tutto - tanti altri avranno modo di conoscere quest'incredibile dono della natura.
Carlo Guardini - L'Adige, 30 giugno 2009
Carlo Guardini - L'Adige, 30 giugno 2009
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