Una parte dell'associazionismo ambientalista e personalità del mondo culturale hanno accolto con scetticismo l'inserimento delle Dolomiti nella lista Unesco dei patrimoni naturali dell'Umanità. Le ragioni di tanta diffidenza sono profonde. Nascono dal vizio d'origine di tutto il progetto: le istituzioni hanno tenuto segregato tutto l'iter della candidatura, hanno di fatto impedito ogni processo partecipativo e conoscitivo, il disegno è stato imposto.
Il risultato raggiunto, una tutela a macchia di leopardo, che trascura rocce eccelse delle Dolomiti, come il Sassolungo, i gruppi del Sella, del Cristallo, le Tofane, la Civetta, l’Antelao, non possono che confermare le perplessità. Sono gruppi cancellati dalla proposta perché coinvolti in attenzioni dello sviluppo di aree sciistiche. In modo sbrigativo ci è stato spiegato che l’Unesco voleva leggere norme capaci di tutelare effettivamente i territori candidati e che era necessario investire solo su parchi o rete natura 2000. Ma qualunque persona dotata di buon senso capisce che 228 norme diverse fra Stato, Regioni e province nulla tutelano e rappresentano solo un pasticcio all’italiana. Troppi parchi esistono solo sulla carta, l’esempio Trentino è efficace. Come possa un parco permettere la costruzione dei collegamenti sciistici Pinzolo-Campiglio, o San Martino-Passo Rolle, o l’attività estrattiva in Val di Genova senza perdere credibilità e dignità i politici ce lo devono spiegare. Come si possa poi proporre l’attività venatoria ai tetraonidi, o ai mustelidi, fin dentro i parchi e avere il coraggio di suggerire di aprire la caccia nelle servitù demaniali senza far crollare ogni minima credibilità residua anche deve far riflettere sulla coerenza di questi enti (Trento e Bolzano). Le stesse dichiarazioni di tutti i politici, dopo la conferma di Siviglia, non possono che preoccupare. L’incredibile e buffa gara di località, tutte forti (Bressanone, Cortina, Corvara) per ospitare la fondazione costruiscono la conferma: con l’Unesco si è cercato solo il marchio turistico. Le località candidate non offrono segnali basati sul turismo sostenibile: hanno investito nell’assalto alla montagna con la semplificazione imposta dalla monocultura turistica, o hanno costruito il turismo sulle seconde case abbandonando le tradizionali cure che i montanari dedicavano al loro territorio. Confermate le perplessità non vi è dubbio che le Dolomiti patrimonio naturale rappresentino per l’ambientalismo un nuovo percorso, un nuovo impegno. Per fare questo è necessario mettere in secondo piano i limiti (mai dimenticarli) ed investire nelle opportunità. È compito dell’ambientalismo unito sviluppare l’ambito culturale diffuso in Dolomiti, uno straordinario insieme che per secoli hanno permesso la convivenza solidaristica di diversità linguistiche, sociali, istituzionali, naturali. È necessario un impegno continuo per ricostruire l’identità delle popolazioni dolomitiche cercando di recuperare quanto distrutto in determinate zone e di difenderla dove ancora presente. È necessario ritornare a offrire attenzione al territorio, alla cura del dettaglio e solo il mondo contadino può dare risposta a questa esigenza, per costruire sicurezza, paesaggio e produzioni naturali. È anche doveroso da parte dell’ambientalismo dolomitico investire in cultura, in progetti nel sociale: la montagna non può essere indebolita da logiche contabili nell’offerta di servizi, sanità, formazione, lavori d’eccellenza, diffusione di sapere, qualità del vivere. L’ambientalismo non può essere lasciato solo in questi percorsi nuovi, ha bisogno di essere affiancato dal mondo sindacale, finora assente dal dibattito, e dal sostegno dell’imprenditoria diffusa, quella che costruisce e mantiene identità, quella che diffonde e struttura valore aggiunto, quella che produce lavoro stabile e sa investire nelle filiere del legno, dell’artigianato artistico, del turismo, dell’agricoltura per fare dialogare questi mondi oggi frantumati da politiche accentratrici e prive di lettura di contesto. Sono scenari inesplorati per una cultura, quella ambientalista, costretta dalla speculazione e dalla debolezza dell’indirizzo politico ad una severa azione di tutela del territorio, di denuncia, di conflitto. Ma un simile impegno costruisce un nuovo profilo che aiuterà tutte le componenti sociali a definire il ruolo della montagna nel futuro. Questa proposta di lavoro va affrontata in tempi stretti: le crisi, economica e climatica ormai consolidate, nonostante alcuni politici troppo ottimisti ancora convinti di poter proporre i modelli di sviluppo della società consumistica le neghino, imporranno a tutti noi radicali mutamenti del modo di vivere e di leggere i territori. Nonostante i limiti l’attenzione dell’Unesco rivolta alle Dolomiti ha portato su noi tutti nuove prospettive di lavoro, opportunità che l’ambientalismo ed i comitati di base non possono lasciare cadere. Se ci addentriamo in questi percorsi abbiamo la possibilità di far maturare, in tempi brevi, le tracce fondanti per le Dolomiti perché vengano riconosciute patrimonio anche culturale dell’umanità e quindi a veder superati i tanti limiti oggi presenti.
Luigi Casanova
Vicepresidente di Cipra Italia
Il risultato raggiunto, una tutela a macchia di leopardo, che trascura rocce eccelse delle Dolomiti, come il Sassolungo, i gruppi del Sella, del Cristallo, le Tofane, la Civetta, l’Antelao, non possono che confermare le perplessità. Sono gruppi cancellati dalla proposta perché coinvolti in attenzioni dello sviluppo di aree sciistiche. In modo sbrigativo ci è stato spiegato che l’Unesco voleva leggere norme capaci di tutelare effettivamente i territori candidati e che era necessario investire solo su parchi o rete natura 2000. Ma qualunque persona dotata di buon senso capisce che 228 norme diverse fra Stato, Regioni e province nulla tutelano e rappresentano solo un pasticcio all’italiana. Troppi parchi esistono solo sulla carta, l’esempio Trentino è efficace. Come possa un parco permettere la costruzione dei collegamenti sciistici Pinzolo-Campiglio, o San Martino-Passo Rolle, o l’attività estrattiva in Val di Genova senza perdere credibilità e dignità i politici ce lo devono spiegare. Come si possa poi proporre l’attività venatoria ai tetraonidi, o ai mustelidi, fin dentro i parchi e avere il coraggio di suggerire di aprire la caccia nelle servitù demaniali senza far crollare ogni minima credibilità residua anche deve far riflettere sulla coerenza di questi enti (Trento e Bolzano). Le stesse dichiarazioni di tutti i politici, dopo la conferma di Siviglia, non possono che preoccupare. L’incredibile e buffa gara di località, tutte forti (Bressanone, Cortina, Corvara) per ospitare la fondazione costruiscono la conferma: con l’Unesco si è cercato solo il marchio turistico. Le località candidate non offrono segnali basati sul turismo sostenibile: hanno investito nell’assalto alla montagna con la semplificazione imposta dalla monocultura turistica, o hanno costruito il turismo sulle seconde case abbandonando le tradizionali cure che i montanari dedicavano al loro territorio. Confermate le perplessità non vi è dubbio che le Dolomiti patrimonio naturale rappresentino per l’ambientalismo un nuovo percorso, un nuovo impegno. Per fare questo è necessario mettere in secondo piano i limiti (mai dimenticarli) ed investire nelle opportunità. È compito dell’ambientalismo unito sviluppare l’ambito culturale diffuso in Dolomiti, uno straordinario insieme che per secoli hanno permesso la convivenza solidaristica di diversità linguistiche, sociali, istituzionali, naturali. È necessario un impegno continuo per ricostruire l’identità delle popolazioni dolomitiche cercando di recuperare quanto distrutto in determinate zone e di difenderla dove ancora presente. È necessario ritornare a offrire attenzione al territorio, alla cura del dettaglio e solo il mondo contadino può dare risposta a questa esigenza, per costruire sicurezza, paesaggio e produzioni naturali. È anche doveroso da parte dell’ambientalismo dolomitico investire in cultura, in progetti nel sociale: la montagna non può essere indebolita da logiche contabili nell’offerta di servizi, sanità, formazione, lavori d’eccellenza, diffusione di sapere, qualità del vivere. L’ambientalismo non può essere lasciato solo in questi percorsi nuovi, ha bisogno di essere affiancato dal mondo sindacale, finora assente dal dibattito, e dal sostegno dell’imprenditoria diffusa, quella che costruisce e mantiene identità, quella che diffonde e struttura valore aggiunto, quella che produce lavoro stabile e sa investire nelle filiere del legno, dell’artigianato artistico, del turismo, dell’agricoltura per fare dialogare questi mondi oggi frantumati da politiche accentratrici e prive di lettura di contesto. Sono scenari inesplorati per una cultura, quella ambientalista, costretta dalla speculazione e dalla debolezza dell’indirizzo politico ad una severa azione di tutela del territorio, di denuncia, di conflitto. Ma un simile impegno costruisce un nuovo profilo che aiuterà tutte le componenti sociali a definire il ruolo della montagna nel futuro. Questa proposta di lavoro va affrontata in tempi stretti: le crisi, economica e climatica ormai consolidate, nonostante alcuni politici troppo ottimisti ancora convinti di poter proporre i modelli di sviluppo della società consumistica le neghino, imporranno a tutti noi radicali mutamenti del modo di vivere e di leggere i territori. Nonostante i limiti l’attenzione dell’Unesco rivolta alle Dolomiti ha portato su noi tutti nuove prospettive di lavoro, opportunità che l’ambientalismo ed i comitati di base non possono lasciare cadere. Se ci addentriamo in questi percorsi abbiamo la possibilità di far maturare, in tempi brevi, le tracce fondanti per le Dolomiti perché vengano riconosciute patrimonio anche culturale dell’umanità e quindi a veder superati i tanti limiti oggi presenti.
Luigi Casanova
Vicepresidente di Cipra Italia
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