Consumate prodotti trentini contro la crisi, ci dice Lorenzo Dellai, proprio lui.
La filiera corta è effettivamente una cosa seria, a guadagnarci sarebbero sia i consumatori, ma sopratutto i contadini e gli allevatori. In più sono da considerare anche tutti i benefici per l'ambiente di cui si può dire tanto. Ma il punto non è questo.
Quelli che il Presidente chiama "prodotti trentini" sono proprio ciò che ci sta portando alla crisi.
Sono la "tipica" (?) mozzarella di Fiavè ed il latte che probabilmente diverrà un sottoprodotto del liquame. Prodotto trentino è quello di una cooperativa come Melinda che, come è stato dimostrato, fà arrivare i pesticidi direttamente nelle nostre case e nei parchi dove giocano i bambini. Lo sono anche le fragole di Sant'Orsola che arrivano nei sacchi col terreno direttamente dall'Olanda e col Trentino hanno poco a che vedere se non il solo contatto con l'aria. Per non parlare della fonte dell'acqua Pejo svenduta ad una multinazionale mostruosa qual'è la Nestlè.
Questi prodotti industriali hanno gli stessi standard che si possono trovare in qualunque altra industria del mondo.
Altra cosa è parlare in termini veri (o innovativi per Dellai?) di filiera corta, c'è lo splendido mercato contadino del sabato in Piazza Dante; e vera filiera corta è quella del latte crudo che è anche un vero motivo di orgoglio per le montagne trentine.
Per nostra fortuna, nonostante la crisi, ci sono spunti interessanti: poche settimane fa un comitato ragionava sui vecchi Caseifici turnari in chiave moderna, oppure possiamo apprezzare l'iniziativa del sindaco di Feltre che ha messo a disposizione terreni comunali per le auto-produzioni biologiche. A quando proposte serie da Dellai?
Dopo due mesi dal riemergere della questione, tenuta anche troppo riservata dai vertici provinciali, da metà gennaio la stampa locale e nazionale [1] ha cominciato a riportare: I) le perplessità del Ministero delle Infrastrutture sull'impiego del fondo accantonato dalla Società A22, con circa il 50% degli utili dal 1998 al 2008 (quasi 400 milioni), per contribuire a finanziare la galleria di base del Brennero; II) le risposte critiche delle Province autonome di Bolzano e Trento.
Ma non si è occupata del problema centrale che c'è dietro questo niente affatto imprevisto incidente di percorso.
Qualche dato, prima di tutto, per riassumere la questione di partenza.
Secondo il Ministero:
a) la Società Autobrennero in quanto SpA mista con azionariato pubblico-privato, non potrebbe entrare nel capitale della Società BBT-Se incaricata di realizzare la galleria [2] (attraverso la TFB Holding, Tunnel Ferroviario del Brennero Società Finanziaria di partecipazione, che oggi ne detiene il 50% di parte italiana [3]);
b) nonostante una previsione della legge finanziaria n. 449/1997 (articolo 55, comma 13 [4]), la A22 non potrebbe neppure finanziare direttamente la galleria con il fondo di cui si tratta (da versare nel momento opportuno), sia perché è mancato l'accordo preventivo di tutti i soci di A22 sia perché il fondo continua ad avere natura privatistica. Del resto il piano economico finanziario della A22, del 22.6.1998, che prevedeva il finanziamento trasversale ma pretendeva contemporaneamente la proroga della concessione senza gara fino al 2060 non è stato mai approvato - come invece prescriveva la legge n. 449/1997 - a causa sia del contrasto con le norme europee che vietano l'accantonamento di utili alle società concessionarie autostradali sia del contrasto con la Direttiva interministeriale Lavori Pubblici e Tesoro del 20.10.1998, n. 283;
c) il fondo accantonato potrebbe essere dunque annullato con una norma apposita ed il relativo ammontare, dopo il pagamento della tassa IRES per la revoca dell'esenzione fiscale, essere distribuito tra tutti gli azionisti in proporzione delle rispettive quote. Ai soli soci pubblici interessati per territorio resterebbe (dopo un accordo di programma) la facoltà di reinvestire nell'opera le vecchie quote e i futuri dividendi, ed eventualmente di acquisire una partecipazione maggioritaria in BBT-Se;
d) in alternativa, il fondo potrebbe essere scorporato dal capitale sociale di A22 e costituire il capitale di una nuova società solo pubblica che dovrebbe rimborsare le quote degli azionisti privati e potrebbe entrare nel capitale sociale della BBT-Se sempre attraverso TFB Holding.
Le Province di Bolzano e Trento confermano però l'appoggio all'ipotesi del finanziamento trasversale [5]. Bolzano non pare respingere totalmente la prima delle soluzioni suggerite dal Ministero, mentre resta contraria alla seconda. Trento, invece, continua a pensare che l’A22 possa finanziare direttamente l’opera.
Non ci dilunghiamo sulle motivazioni politiche o sui conflitti di interesse sottesi dall'intervento ministeriale, né sulla "sorpresa" degli organi provinciali davanti a una questione già nota in tutti i suoi aspetti da almeno 8 anni [6]. Né pensiamo che il Ministero voglia proporre qualche maggiore cautela su un programma di opere che sono in moltissimi a considerare devastante per l'ambiente, costosissimo e soprattutto fuori linea con l'obiettivo propagandato, che sarebbe l'eliminazione o la forte riduzione del traffico pesante sulla A22. Non abbiamo quindi troppi dubbi sul fatto che una soluzione sarà trovata [7] e che l'Autobrennero in un modo o nell'altro potrà impegnarsi per finanziare la parte italiana della nuova linea fino a un totale di circa 3 miliardi di Euro.
Vorremmo portare ora l'attenzione su alcuni aspetti fondamentali che stanno dietro le questioni sollevate dalla nota ministeriale.
L'affanno con cui le Province autonome e l'Autobrennero dichiarano superabili tutti i problemi nasconde preoccupazioni molto serie sull'incertezza del quadro economico-finanziario complessivo del progetto. Preoccupazioni che, con significato opposto, chi è contrario nutre già da tempo.
Si tratta prima di tutto di capire quali sono le risorse effettivamente disponibili. Queste oggi non ammontano per l'Italia a più del 7%, circa la metà provenienti dalla UE a condizioni molto vincolanti, mentre il restante 93% sono impegni vaghi [8]: e ciò a fronte di costi totali che, sempre per l'Italia, sono stimati (tunnel di base e tratte da Verona a Fortezza, a prezzi 2007) dai promotori intorno ai 12 miliardi di Euro e da esperti indipendenti in almeno 25 miliardi di Euro per le sole infrastrutture.
Si tratta anche di capire qual'è la reale composizione dei costi indicati dai promotori: non si capisce se veramente comprendono tutti gli oneri finanziari (secondo la Corte dei Conti austriaca la risposta è no), se computano i costi generali di gestione, le opere compensative e derivate, i nuovi materiali rotabili necessari, ecc. E' evidente che se fossero stime per le sole infrastrutture a terra ed aeree i costi finali sarebbero molto maggiori.
Si tratta infine di valutare le conseguenze dell'attuale indeterminatezza del modello generale di ripartizione degli oneri di finanziamento [9]. Per quello che è dato conoscere (le informazioni su questo aspetto sono tenute pervicacemente nascoste): a) le tratte di accesso Sud sarebbero a completo carico dell'Italia (salvo un modestissimo contributo UE per la progettazione); b) il tunnel di base sarebbe per un 30% a carico UE [10], per 40% a carico di ciascuno dei due Stati in parti uguali, per un 30% a carico di privati (10% da società autostradali e 20% da capitali di rischio). Ma come insegna l'esperienza di tutte le realizzazioni TAV in Italia, il c.d. capitale privato di rischio o è apparenza e deve essere sostituito da risorse pubbliche oppure se si impegna pretende solide garanzie ancora a spese pubbliche. La questione ha non poco rilievo sugli esiti finali del progetto e sulla quantità di soldi che - se qualcosa andasse come al solito - sarebbero come sempre richiesti ai contribuenti italiani.
Ancora in tema di finanziamenti, la A22 in dieci anni ha accantonato poco meno di 400 milioni. Alle stesse condizioni (non sono ipotizzabili accelerazioni dell'accantonamento, soprattutto ora che si profila una diminuzione del traffico merci) ci vorranno 65 anni per mettere insieme gli altri 2,6 miliardi garantiti. Ma non si dovevano finire il tunnel di base intorno al 2025 e le tratte di accesso Sud tra il 2030 e il 2040? Queste opere non termineranno mai oppure mancheranno fondi essenziali oppure bisognerà acquisirli sul mercato finanziario, e con quali oneri aggiuntivi e a carico di chi?
Facciamo queste critiche non perché teniamo ad una valida pianificazione finanziaria dell'opera ma perché ci importa sottolineare quanto è forte la volontà dei promotori nel procedere subito il più in fretta possibile anche in assenza di certezze credibili sui finanziamenti per il medio-lungo periodo e, di conseguenza, anche scontando la possibilità che i lavori non saranno effettivamente conclusi: con tanti saluti alla pretesa utilità e razionalità di un progetto che in ogni occasione viene proposto come un insieme di parti inseparabili (tunnel di base, tratte di accesso austriache e italiane).
Si può infine toccare la contraddizione principale di tutta l'opera. Si sa che una delle più gravi emergenze delle valli dell'Adige e dell'Isarco sono le minacce alla salute dei residenti portate dal traffico pesante sulla A22. Questo flusso potrebbe essere immediatamente ridotto in modo significativo con tariffe disincentivanti e con politiche gestionali efficaci per la gomma e la rotaia, imponendogli anche di distribuirsi più ragionevolmente su tutti i valichi transalpini senza deviare per profittare dei prezzi bassi praticati sulla nostra autostrada. Ma se Autobrennero SpA deve finanziare la nuova linea ferroviaria con parte dei propri utili di esercizio come si potrà favorire fin d'ora il contenimento e lo spostamento di un traffico pesante che è circa il 35% del traffico totale della A22 e che contribuisce in modo assai significativo alla formazione proprio di quegli utili? Ci assicurano che la nuova linea ferroviaria del Brennero risolverà in futuro il problema attuale del traffico merci sulla A22; un problema che quindi non viene affrontato ora ma giustifica il progetto della nuova linea ed anzi costituisce una base per finanziarlo. Che quest'opera prescinda in buona parte dalla finalità dichiarata e l'A22 debba restare per sempre una macchina da soldi?
[1] Cfr. "Corriere dell'Alto Adige", 15.1.2009, Traforo, il tesoretto di A22 torni ai soci; "l'Adige", 17.1.2009, Il governo: l'A22 resti fuori dal tunnel; "l'Adige", 17.1.2009, Ma la società può chiedere i danni; "Trentino", 17.1.2009, Vogliamo gestire il tunnel del nostro futuro. Il ministero: A22 non può finanziare BBT. Trento e Bolzano difendono la competenza; "l'Adige", 18.1.2009, Nuova ferrovia, a rischio 500 milioni; "Alto Adige", 19.1.2009, Fondi A22 per l’Eurotunnel. Vertice Matteoli-van Miert sul finanziamento del Bbt; "l'Adige", 19.1.2009, Brennero. I senatori trentini Santini e Divina si schierano con il Ministro sul «tesoretto». A22, il centrodestra con Matteoli; "l'Adige", 20.1.2009, Infracis, il n. 2 degli azionisti: priorità tunnel; "Corriere dell'Alto Adige", 20.1.2009, I fondi A22. Eurotunnel SOS Regione; "Corriere dell'Alto Adige", 21.1.2009, Tesoretto A22, giuristi in campo; "Corriere dell'Alto Adige" e "Corriere del Trentino", 21.1.2009, lettera di Dellai, Il tunnel è strategico. Ma ognuno adesso faccia la sua parte; "l'Adige", 22.1.2009, Durni: uniti su energia e tunnel; "Il Sole 24 Ore", 23.1.2009, L'Autobrennero congela il tesoretto di 550 milioni; "Corriere dell'Alto Adige", 23.1.2009, Bbt, parla Schmid, a Roma all'epoca della legge sull'accantonamento. «Tunnel, non capisco il ministero»; "l'Adige", 24.1.2009, Traffico -8%. Gramm: più treni; "Corriere dell'Alto Adige", 25.1.2009, Facchin: tunnel, si faccia chiarezza.
[2] Questa posizione sarebbe avallata dalla stessa BBT-Se, che sembrerebbe volere soltanto soci pubblici.
[3]La TFB Holding è poi controllata da RFI (83%), dalle Province di Bolzano e Trento (ciascuna con il 6%) e dalla Provincia di Verona (5%).
[4] Che ha sviluppato e attualizzato la norma preparatoria contenuta nella legge n. 662/1996 (articolo 2, comma 193).
[5] Contro gli argomenti del Ministero starebbe che: 1) il problema degli accantonamenti sarebbe stato troppo semplificato trascurando che quelli successivi al 2014 servirebbero a finanziare anche le tratte di accesso Sud alla galleria di base; 2) una convenzione tra A22 e ANAS in cui era prevista la scadenza della concessione al 31.12.2005 ha anticipato il piano 50ennale non approvato ed ha previsto il diritto di A22 a partecipare alla società incaricata di realizzare e gestire la galleria.
[6]Alcuni documenti fanno capire che le odierne perplessità del Ministero non dovrebbero affatto costituire una novità per la classe politica regionale. Cfr. per esempio Camera dei Deputati, Resoconto stenografico dell'Assemblea, Seduta n. 581 del 14/9/1999 e Seduta n. 679 del 23/2/2000, Interventi infrastrutturali per il valico del Brennero; da quest'ultima (camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed679/s190r.htm) risulta espressamente che "la notevole portata di tutte le problematiche" non ha consentito al Governo "di procedere nei termini previsti dalla legge n. 449 del 1997". Il problema peraltro era stato sollevato di nuovo nel dicembre 2008 anche dagli organi della A22, per rinnovare la proposta di uno scambio tra il contributo all'opera e la proroga della concessione dal 2015 al 2065, con relativo ingresso nella futura società che gestirebbe il tunnel incassando i pedaggi; cfr. "Corriere dell'Alto Adige", 10.12.2008, A22 non obbligata a dare soldi.
[7]Se così però non fosse, va ben compreso che, una volta entrati nelle casse degli azionisti, un bel po' dei fondi prima teoricamente destinati alla galleria del Brennero prenderebbero tutt'altra strada: la Provincia e il Comune di Verona, le Province, i Comuni e le Camere di Commercio di Emilia-Romagna e Lombardia, l'Autostrada BS-PD, per fermarci agli azionisti importanti, avrebbero altro da fare che finanziare la nuova galleria del Brennero. A farlo resterebbero soprattutto la Regione Trentino Alto Adige e le Province di Bolzano e Trento e - se proprio costretti - i Comuni di Bolzano e Trento, le due Camere di Commercio e infine Tecnofin Trentina SpA: meno del 58% dell'azionariato e quindi meno del 58% del c.d. tesoretto di A22, che allora si ridurrebbe a circa 232 milioni (importo di fine 2008).
[8]Così ha sentenziato anche la Corte dei Conti respingendo per due volte nel corso del 2008 le delibere del CIPE con l'approvazione dei progetti preliminari per i lotti 1 e 2 (Fortezza - Ponte Gardena e 2 Circonvallazione di Bolzano da Prato Isarco a Bronzolo); cfr. Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, Delibere n. 3/2008/P del 13.2.2008 e n. 19/2008/P del 13.11.2008. La risposta governativa - ovviamente ispirata da motivi che prescindono da questi progetti - è nel disegno di legge n. 847, "Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico", dove tra l'altro si prevedono molti mezzi per aumentare i condizionamenti sui magistrati contabili (cfr. "Corriere dell'Alto Adige, 30.1.2009, E i controllori del Governo finirono sotto controllo).
[9] Lo stesso Presidente Dellai nella citata lettera del 21.1.2009 dice chiaramente che anche tutti gli accantonamenti globali della A22 "non saranno comunque sufficienti a coprire il costo totale dell'opera" e si lamenta che "a tutt'oggi il governo non ha ancora deciso come coprire la sua quota per la realizzazione del tunnel di base" e scrive che "non esistono molte realtà, soprattutto private, in grado di assumersi il rischio di un investimento così a lungo termine - il tunnel sarà terminato nel 2025 - a meno che esse non siano motivate appunto da un obiettivo di lungo periodo".
[10] In realtà questa percentuale si è già ridotta di almeno tre punti nello stanziamento effettivo UE deciso nel 2007-2008 e che dovrebbe essere erogato in tranches ad iniziare dal 2009.
PER CONDIVIDERE, DIFFONDERE SAPERI E CONOSCENZE LEGATI AD AGRICOLTURA, AMBIENTE, PAESAGGIO. PER AIUTARE LE AUTOPRODUZIONI AGRICOLE (e non solo).
Un Progetto che nasce dalla sensibilità di una serie di comitati, associazioni, singolarità del Feltrino, del Primiero, bellunesi e trentine.
Convinti che questo bellissimo territorio che ci ospita sia si minacciato da una miriade di progetti impattanti e devastanti (cave, meleti intensivi, industrie pesanti, impianti di risalita, inceneritori ecc..) ma che in esso vi siano anche molte conoscenze, saperi, sensibilità che è importante interagiscano tra di loro.
Abbiamo perciò pensato di dar vita a “spazi”, luoghi, momenti di confronto, dialogo, condivisione di/tra queste “conoscenze”, un arricchimento reciproco finalizzato a costruire consapevolezza ma anche serate informative, tavole rotonde, forum, iniziative e progetti concreti soprattutto in ambito agricolo (puntando sul biologico, la valorizzazione delle varietà autoctone, auto-produzioni) e rurale.
INVITIAMO TUTTI COLORO CHE SONO INTERESATI A COSTRUIRE ASSIEME A NOI QUESTO “PROGETTO” (un progetto privo di etichette e di marchi, basato solo sul fare e sul condividere) A PARTECIPARE ALL’ INCONTRO CHE SI TERRA’: dalle 20.30 di MARTEDI’ 3 FEBBRAIO 2009 presso il CENTRO GIOVANI in via Dolci a FARRA di FELTRE
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante scritto dell'amico Paolo Gabrielli che fa chiarezza sulla dinamica dei cambiamenti climatici e sulle sue tendenziose strumentalizzazioni.
In questi giorni una tempesta mediatica sta colpendo l’Italia per influenzare l’opinione pubblica. Si tratta di una campagna relativa ai cambiamenti climatici, la quale approfittando di un inverno anormalmente rigido, mira a negare sia l’evidenza del riscaldamento globale in corso, sia l’accertata responsabilità dell’uomo per questa crisi ambientale.
L’inganno sta nel cercare di far passare fluttuazioni meteorologiche stagionali per andamenti climatici decennali. Chiaramente non e’ sufficiente un inverno italiano più rigido del solito per affermare che esiste un’inversione delle tendenze climatiche a livello globale. E’ come se un operatore di borsa concludesse che la crisi economica mondiale e’ terminata grazie ad un improvviso, singolo rialzo della borsa di Milano. I rappresentanti della comunità scientifica che studia il clima, riuniti all’ONU nell’organismo dell’IPCC, hanno ribadito all’unanimità’ che il riscaldamento globale registratosi negli ultimi decenni e’ inequivocabile e che al 90% la responsabilità e’ attribuibile all’uomo.
La bufala più grossa che in questi giorni molti media hanno diffuso e’ quella di un presunto ritorno dei ghiacci artici ai livelli di estensione di 30 anni fa, non ricordando che d’inverno il mare artico gela sempre e non sapendo che le differenze annuali vanno misurate alla fine dell’estate. L’estensione dei ghiacci artici del 2008 è stata di 4.4 milioni di kmq attestandosi sui livelli del minimo storico registrato nel 2007 (4.1 milioni di kmq), ma ben lontano dall’estensione di 7.2 milioni di kmq (!) registrata 30 anni fa. (National Snow and Ice data Center, Colorado Boulder).
Ma come è spiegabile un’azione così martellante di disinformazione e soprattutto perché? Lo spunto è stato dato da un gruppo di negazionisti del cambiamento climatico, riuniti sotto la sigla della N-IPCC (ove N starebbe per Non-governmental ), un gruppo di scienziati non specializzati in climatologia e provenienti invece dalle discipline più svariate, dall’ingegneria all’economia. E’ difficile presentare e tracciare un preciso profilo di questo gruppo di climatologi dilettanti e occasionali, in quanto non pubblicano mai i loro lavori sulle riviste scientifiche e non partecipano ovviamente alle conferenze di settore. Il coordinamento dei loro interventi mediatici e’ gestito dall’Heartland Institute, un’organizzazione che risiede nell’Illinois e che oggi si propone di rovesciare le evidenze del riscaldamento globale, dopo aver incredibilmente proposto vergognose campagne volte a disconoscere la nocività del tabacco.
Tra i finanziamenti di questo istituto spiccano contributi di grandi multinazionali, come ad esempio quello di 760.000 $ della Exon Mobile, il gigante del petrolio, i cui affari futuri dipenderanno moltissimo dalle azioni che verranno intraprese a livello globale per la riduzione delle emissioni dei gas serra.
In Italia il movimento negazionista della N-IPCC trova un paladino nel dott. Franco Battaglia, professore di Chimica Ambientale dell’Università’ di Modena, che più volte in questi giorni ha lanciato i suoi messaggi negazionisti dalle televisioni pubbliche e dai quotidiani. Non c’è rivista scientifica che riporti i suoi articoli sui cambiamenti climatici e non esiste alcuna conferenza professionale che abbia registrato la sua presenza. Il dott. Franco Battaglia e’ piu’ portato ad influenzare radio e televisioni che inconsapevolmente gli danno credito, prive come sono di titolo e cognizione per verificarne l’attendibilità’. Un gruppo scientifico di seri climatologi italiani, che si riunisce virtualmente nel sito http://www.climalteranti.it/, (un sito che fa anche eco al più noto www.realclimate.org), gli ha già tributato il tapiro 2007, cioè, per dirla in termini ufficiali, il sarcastico premio “A qualcuno piace caldo 2007”. Chi visita il sito (molto interessante e ben documentato) lo troverà di nuovo citato tra le nomination anche per il 2008.
Perche’ tanto accanimento in questo momento? Il fatto nuovo è che il vento politico sta cambiando. Negli Stati Uniti dopo otto anni di guerriglia negazionista, questi ultimi stanno perdendo considerazione e peso. Prima hanno subito lo smacco del confronto presidenziale tra due canditati, Obama e McCain, convinti sostenitori di azioni più decise per combattere le emissioni di gas serra ed il riscaldamento globale. Ora si trovano di fronte ad un nuovo presidente eletto, che ha promesso il raddoppio delle energie rinnovabili in soli tre anni. Uno smacco per le multinazionali del petrolio che probabilmente, persa la speranza di mantenere le posizioni negli USA, stanno rivolgendo la loro attenzione verso l’Unione Europea. Quest’ultima, con fatica, sta infatti cercando di stringere le fila sugli obiettivi del 20% di riduzione delle emissioni di gas serra e del 20% di aumento delle energie rinnovabili entro il 2020. Come e’ noto, la posizione del governo italiano e’ particolarmente critica nei confronti di questi obiettivi e lo stesso Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha parlato apertamente di battaglia donchisciottesca contro i mulini a vento da parte dell’Unione Europea. Non sorprende dunque che un quotidiano come “Il Giornale” sia quello che ha rilanciato con maggior frequenza le tesi negazioniste della N-IPCC.
Lo scontro in Italia ed in Europa e’ probabilmente appena cominciato. Non si tratta di un dibattito scientifico, ma di una guerriglia fondata sulla mistificazione delle evidenze sperimentali. Per la comunità scientifica e’ soprattutto una questione etica di enorme gravità, perché chi come l’Heartland Institute e la N-IPCC porta avanti queste azioni fuorvianti, si macchia di veri e propri crimini nei confronti delle generazioni future.
Paolo Gabrielli, Ricercatore di paleoclimatologia presso l’Ohio State University di Columbus negli USA.
Se le tratte italiane (da Verona al confine di Stato) della nuova linea ferroviaria ad alta capacità Verona - Innsbruck fossero tutte già finanziate, il progetto non sarebbe comunque accettabile per gli enormi costi che presenta, le devastazioni ambientali che annuncia e soprattutto l'impossibilità di raggiungere l'obiettivo ufficiale (l'eliminazione o la forte diminuzione del traffico stradale dall'asse del Brennero).
E' però un vero smacco, per i proponenti, che la Corte dei Conti - non sospettabile di inclinazioni NO TAV - rimproveri il mancato rispetto delle regole sulla programmazione finanziaria.
La Corte, Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, con Delibera n. 19.2008.P del 13.11.2008 ha contestato la legittimità e rifiutato la registrazione della Delibera CIPE n. 32 del 27.3.2008 con cui sono stati approvati i progetti preliminari del lotto 1 (Fortezza - Ponte Gardena) e del lotto 2 (Circonvallazione di Bolzano, da Prato Isarco a Bronzolo) della linea Verona-Fortezza di accesso sud alla galleria di base del Brennero, insieme a un contributo di 53 milioni per la progettazione senza però elementi sul finanziamento della spesa complessiva (stimata in 2,445 miliardi).
In sintesi, la Corte ritiene che la Delibera CIPE non contenga una congrua, seria e affidabile indicazione dei mezzi e delle modalità di copertura dell’opera di cui si approva il progetto preliminare.
Ma è interessante conoscere nei particolari anche le critiche puntuali della Corte:
1.di fronte ai rilievi preliminari, il CIPE aveva risposto che i finanziamenti totali sarebbero stati evidenziati "in sede di approvazione del progetto definitivo". La Corte ha stabilito invece che "la funzione del CIPE non può ritenersi legittimamente assolta … ove risulti sorretta da un mero e generico proposito di reperire le risorse necessarie alla realizzabilità dell’opera di cui viene approvato il progetto preliminare, senza, cioè, dare contezza della attendibilità e ragionevolezza del reperimento stesso, con conseguente possibile rischio di irrimediabili pregiudizi in danno della finanza pubblica, laddove l’assegnazione di un contributo per la progettazione dell’opera possa rivelarsi" vana "nel caso di indisponibilità di risorse finanziarie per la sua realizzabilità ovvero a causa di un reperimento di risorse individuato con tempi talmente dilatati da rendere in prospettiva il progetto elaborato non più attuale";
2.il CIPE aveva poi tentato una interpretazione accomodante delle norme in vigore, sostenendo che per documentare le forme e le fonti di finanziamento per la copertura della spesa era sufficiente che l’opera fosse inserita nel 6° Documento di programmazione economica e finanziaria, Collegato Infrastrutture 2008-2013, e che fosse inserita nel Contratto di programma RFI 2007-2011 (in cui compare tra le "opere in corso" per quanto concerne la progettazione definitiva e tra le "opere prioritarie da avviare" per quanto riguarda la realizzazione con fabbisogno interamente a carico della legge obiettivo n. 443/2001). Ma la Corte ha prima di tutto ristabilito la portata delle regole: a) l'art. 163, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 163 del 2006 impone al CIPE di valutare esattamente - in sede di approvazione del progetto preliminare - le risorse finanziarie necessarie alla realizzazione delle infrastrutture; b) l'art. 164, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 e l'allegato tecnico XXI prevedono che la progettazione preliminare di un'opera pubblica sia corredata da una sintesi esauriente delle forme e delle fonti di finanziamento per la copertura della spesa; c) l'art. 4, comma 134, della legge n. 350 del 2003 dispone che per questo tipo di infrastrutture la richiesta di assegnazione di risorse al CIPE deve essere accompagnata da un'analisi costi-benefici e da un piano economico-finanziario che indichi le risorse utilizzabili per la realizzazione e i proventi derivanti dall’opera. Prosegue quindi la Corte dichiarando: I) "la funzione di programmazione della spesa del CIPE connessa alla realizzazione di un’opera pubblica … implica un grado di maggiore dettaglio rispetto a quello delineato nei documenti di programmazione economico e finanziaria nel cui contesto si colloca (documento di programmazione economico-finanziaria DPEF 2008-2013, altri documenti programmatori quali ad esempio il documento Collegato Infrastrutture 2008-2013), specie con riferimento alle forme e alle fonti di finanziamento per la copertura della spesa delle opere oggetto di approvazione"; II) "né, in proposito, ad attenuare il compito programmatorio affidato al CIPE vale l’impiego da parte del legislatore del sostantivo sintesi riferito alle forme e alle fonti di finanziamento per la copertura della spesa, concetto che evoca sì la composizione di parti o elementi che formano un tutto, implicando dunque una successiva analitica esposizione di dette forme e fonti di finanziamento, ma esclude comunque l’introduzione di elementi connotati da indeterminatezza o imprecisione"; III) prevedere il finanziamento dell'opera sull'esercizio 2010 "sembra, allo stato, configurarsi quale mero rinvio della scelta programmatoria delle fonti di copertura del costo dell’opera ad un momento successivo all’attuale"; IV) "l’indicazione delle forme e delle fonti di copertura non può legittimamente ricavarsi per relationem da un atto negoziale quale è il Contratto di programma tra RFI e Ministero infrastrutture, ma deve risultare da apposita tabella inserita nella delibera CIPE, affinché rimanga pienamente e direttamente imputabile al Comitato interministeriale … la scelta programmatoria di spesa, responsabilmente qualificata dalla individuazione delle pertinenti fonti di copertura".
A far passare i progetti dei lotti 1 e 2 il CIPE ci aveva già provato, con uguale metodo, nella Delibera n. 89 del 30.8.2007 cui la stessa Corte dei Conti (Delibera n. 3/2008/P del 13.2.2008) aveva rifiutato visto di legittimità e registrazione con motivazioni sostanzialmente identiche a quelle descritte sopra, meno ampie ma in qualche caso ancora più dure (arrivando a scrivere che "la incongrua impostazione della programmazione finanziaria di opere pubbliche può riflettersi in irrimediabili pregiudizi in danno della finanza pubblica, dando luogo a quei fenomeni patologici, quali la programmazione rovesciata, le lunghe sospensioni dei lavori fino all’abbandono degli stessi per carenza delle risorse o le opere incomplete", con "rischio di sperpero di pubblico denaro").
Questa insistenza delle amministrazioni centrali e regionali - cui la Corte dei Conti comincia a resistere non solo per motivi tecnici - dimostra una volontà pervicace di imporre ad ogni costo infrastrutture inutili, distruttive e non condivise da gran parte delle popolazioni informate che abitano lungo l'asse del Brennero. Dimostra anche una strutturale e generalizzata assenza di risorse: mancano sia i soldi per le tratte di accesso Sud sia quelli per la galleria di base, se è vero che il progetto per quest'ultima - ottenuti un contributo UE del 27% sui costi ufficiali fino al 2013 e una qualche promessa di contributo da A22 SpA, entrambi assai condizionati - dovrà ora in sede CIPE strappare una parte del miliardo di investimenti riservati alle Ferrovie dello Stato oppure disputare i pochi fondi di cassa 2009-2011 per le grandi opere in Centro-Nord(poco più di 2 miliardi) a concorrenti come l'EXPO Milano, l'alta velocità Genova-Milano, l'alta velocità Treviglio-Brescia, e molti altri.
Ma chi promuove e approva queste "opere strategiche" prive di copertura finanziaria si sente abbastanza sicuro di potercela fare comunque; non è escluso che presto o tardi qualche nuova norma ad hoc arrivi a stabilire che i relativi progetti preliminari possono essere approvati affidando al solo progetto definitivo il compito di reperire le risorse.
Non è certo un caso che in Italia da un anno circa fioriscano studi e convegni in cui si discute di grandi infrastrutture da realizzare "in condizioni di deficit di bilancio e carenza di finanziamento attuale". Con soluzioni di ingegneria finanziaria che hanno un solo risultato certo - favorire profitti privati, accumulare costi pubblici, accrescere il debito delle generazioni future - e molte simpatiche varianti, su cui torneremo: le nuove forme di project financing a rischio nullo per i costruttori; i nuovi prestiti della Banca Europea degli Investimenti caratterizzati da lunga durata e disapplicazione dei parametri del patto europeo di stabilità; le nuove obbligazioni italiane pluridecennali garantite dal risparmio postale detenuto dalla Cassa Depositi e Prestiti o garantite persino dalle riserve della Banca d'Italia; le tasse locali di scopo; i meccanismi miracolosi come la c.d. "cattura anticipata del valore immobiliare e commerciale" prodotto dalle grandi opere (cattura, ovviamente, a carico di chi le subisce e a vantaggio di chi le impone).
Gentile Direttore, come si legge sul suo giornale del 3.1.2009 (Autotrasporto. In vigore da luglio. Tirolo, divieti per i TIR. Vienna sposta la data. Rizzo: prima vittoria), non sono entrati in vigore l'1.1.2009 tutti i nuovi divieti di trasporto settoriale di merci su strada programmati in Tirolo per gli autocarri di portata superiore a 7,5 tonnellate. Il Land Tirol applicherà solo dall'1.7.2009 il blocco su carbone, minerali ferrosi, acciaio, marmo, travertino e piastrelle di ceramica; per ora applicherà solo quello su legno grezzo e trasporto di autoveicoli; resta in vigore quello su terra, rifiuti, pietre e materiali di scarico operante dall'1.1.2008 ma già sospeso fino alla fine del 2010 per i carichi da Ovest.
Questa decisione di fine dicembre 2008 è una parziale resa alle pressioni provenienti dalla UE (Italia e Germania in prima fila) e dalle imprese di autotrasporto; pressioni esplicitate anche in un ricorso (ancora pendente) della Commissione Europea alla Corte europea di giustizia contro l'Austria per ostacoli alla libertà di circolazione e violazione dei principi della concorrenza.
Il problema è antico. Il traffico autostradale merci lungo l'asse del Brennero produce noti, gravi danni alla salute e alle condizioni di vita delle popolazioni residenti. Il corridoio tra Verona e Kufstein risulta in tutta la UE la zona più colpita dall'inquinamento derivante dai mezzi pesanti, con aumento significativo di malattie tumorali. Contrariamente a quanto avviene in Alto Adige e in Trentino, le autorità austriache hanno sempre mostrato grande sensibilità sulla questione e tentato in molti modi di affrontarla (divieti di traffico notturno, divieti settoriali, serietà nei controlli sul rispetto degli obblighi dell'autotrasporto). Il Governo del Land Tirol ha dichiarato che la salute della popolazione è più importante del rispetto delle regole della concorrenza (GR1 regionale del Trentino Alto Adige, ore 7,15 del 1.2.2008) e che nella valle dell'Inn è necessario riportare l'inquinamento sotto i valori prescritti dalla UE.
Da noi i danni alla salute per il traffico sulla A22 si discutono rovesciando le priorità e sostenendo che il problema si risolverebbe solo realizzando la nuova linea ferroviaria ad alta capacità Verona-Innsbruck, cui è delegato il miracolo di eliminare gli autocarri pesanti dalla strada in un momento imprecisato tra il 2030 e il 2050. E nel frattempo?
Non una parola viene dai governi provinciali dell'Alto Adige e del Trentino sulla possibilità di intervenire subito per contenere il traffico autostradale merci con una manovra semplice, che gli esperti indipendenti considerano evidente ma che ha il grande svantaggio di andare contro gli interessi degli autotrasportatori e della Autobrennero SpA: a) rendere i pedaggi del tratto italiano della A22 equivalenti a quelli del tratto austriaco e della Svizzera; b) applicare regole e controlli sul trasporto stradale merci (velocità, divieti di sorpasso, ore di guida, peso, tipologie di merci, sicurezza, emissioni acustiche, gas di scarico, ecc.) all'altezza di un paese civile; c) impiegare la ferrovia attuale secondo criteri di massima efficienza ed operatività e costringere l'autotrasporto a servirsene (la ferrovia storica del Brennero conserva ampie capacità residue e lo dimostrano tra l'altro proprio i divieti settoriali di trasporto stradale merci in Austria che si basano su un incremento sostitutivo del traffico ferroviario in modalità RoLa e soprattutto non accompagnato). Con questi sistemi si potrebbe allontanare dalla A22 fino ai 2/3 dell'attuale traffico merci e comunque quel 30% di traffico deviato che passa dal Brennero per risparmiare sui costi e non per razionalità di percorso.
I costi, appunto. Ci siamo abituati a considerare come fatto inevitabile e separato un traffico merci insostenibile, strumento di un modello di produzione e consumo che per profitto privato trova conveniente annullare le distanze tra luoghi di fabbricazione e luoghi di consumo, incurante di riversarne gli effetti sulla collettività. In tante forme. Se, per ipotesi, sull'autotrasporto merci si ripartissero i costi reali senza trasformarli in costi pubblici (sociali, ambientali e sanitari) la sua operatività economica si potrebbe ridurre entro un raggio di circa 300 km. Non tanti sanno che un autocarro pesante paga circa il 10% dei costi totali che produce e che, per esempio, sollecita l'infrastruttura stradale 60.000 volte più di una autovettura ma paga pedaggi solo 3 volte maggiori (dati del Bundesministerium für Verkehr tedesco, pubblicati dal settimanale VDI-Nachrichten nella primavera del 2001).
Fatti in apparenza scollegati come il differimento di alcuni divieti settoriali di trasporto merci in Tirolo richiamano la realtà di un progetto - quello per la linea ferroviaria ad alta capacità Verona-Innsbruck - enormemente costoso, devastante per l'ambiente e incapace di mantenere l'unica promessa (fine del flusso merci sulla A22) su cui lo poggia la propaganda dei promotori. Proprio mentre previsioni sui flussi totali al Brennero proiettate al 2015, al 2020, al 2030, e via numerando - previsioni molto discutibili, perché rigide, ma elaborate secondo le stesse logiche che governano il progetto - mostrano che l'incremento atteso del traffico stradale merci sarebbe molto maggiore dell'incremento di capacità realizzabile con la costruzione della nuova ferrovia.
Centottanta impianti falliti al Nord: colpa della speculazione. Colate di cemento, terreni sbancati, piloni arrugginiti: la mappa dello scempio.
Vento che sibila nei corridoi di alberghi chiusi, gelidi come l'Overlook Hotel del film Shining. Seggiolini sballottati dalla tormenta, appesi a funi immobili. Stazioni di funivie piene di immondizie, senz'anima viva intorno. Piloni arrugginiti, ruderi che nessuno rimuove anche nei parchi naturali. Ora i numeri ci sono. Quelli - mai fatti prima - degli impianti ridotti al fallimento dal riscaldamento climatico e dalla speculazione immobiliare. Oltre centottanta nel solo Nord Italia. La metà di quelli -350 - che sono stati chiusi finora. Centottanta vuol dire quattromila tralicci, centinaia di migliaia di metri cubi di cemento, seicentomila metri di fune d'acciaio, cinque milioni di metri di sbancamenti e di foresta pregiata trasformata in boscaglia. Ferri contorti come i ramponi di Achab sulla gobba della balena.
Per contarli abbiamo assemblato dati da parchi e corpi forestali, attivisti di "Mountain Wilderness" e guide alpine, soci di Legambiente e della "Cipra", il Centro per la tutela delle Alpi. Dati impressionanti, che sembrano non insegnare nulla a chi in Italia - caso unico in Europa - insiste a sovvenzionare impianti a bassa quota o, peggio ancora, nei parchi nazionali, in barba ai vincoli comunitari.
Fotogrammi. Saint Grée di Viola, quota 1200, provincia di Cuneo, è un monumento al disastro. Si chiamava Sangrato, ma non era abbastanza trendy per un centro che doveva attirare sciatori da Piemonte e Liguria, e così gli hanno cambiato il nome. Prima ha perso la neve, poi i clienti, infine ha inghiottito soldi pubblici per un rilancio impossibile. Oggi sembra Beirut dopo la guerra, cemento e vetri rotti con la scritta "Vendesi".
Altri fotogrammi, nel dossier di Francesco Pastorelli, direttore di Cipra Italia. Pian Gelassa in Val Susa: piloni nel vento, scheletri di alberghi nati morti, lì da 30 anni in piena area protetta, a due passi dalle piste olimpiche del Sestrière. Alpe Bianca, nelle Valli di Lanzo: condomini vuoti, stazione della funivia con i cessi rotti e le piastrelle smantellate. E così avanti: Oropa-Monte Mucrone, Albosaggia, Chiesa Valmalenco.
Non è un viaggio: è un percorso di guerra. A Oga presso Bormio la pista - iniziata e mai aperta causa lite tra valligiani - sta franando, e la ferita è tale che la trovi anche "navigando" con Google-Earth (e non è che gli squarci delle piste "mondiali" siano meglio). In Valcanale, sopra Ardesio (Bergamo), un'ex seggiovia è segnata da cemento sospeso sullo strapiombo e una discarica nel parcheggio.
Sella Nevea nelle Alpi Giulie, orgoglio del turismo friulano: le multiproprietà che negli anni Settanta hanno devastato la conca sotto il Montasio sono così a pezzi che sono stati messi all'asta in questi giorni. A Breuil-Cervinia residenze chiuse e impianti di risalita dismessi, otto in tutto, di cui quattro funivie. Posti da dimenticare, anche in anni di nevicate come questo.
Accanto agli scheletri, i morti viventi. Impianti in rosso, a quota troppo bassa per garantire neve, tenuti in vita dalla mano pubblica. Colere, Lizzola, Gromo nelle Orobiche. Oppure Tremalzo, La Polsa, Folgaria e Passo Broccon tra Veneto e Trentino, che inghiottono milioni in generose elargizioni per l'innevamento artificiale. Impianti a rischio, che nessuno fa entrare nella contabilità di un disastro che è anche finanziario. "Perché non si dice che le piste non si pagano solo con lo skipass ma anche con le nostre tasse?", s'arrabbia l'esploratore bergamasco Davide Sapienza.
Numeri insospettabili. Quaranta funivie e seggiovie abbandonate in Piemonte, trentanove in Val d'Aosta (un'enormità per una regione di centomila abitanti), almeno venti in Lombardia, trenta tra Emilia e Liguria sul lato appenninico, trentacinque in Veneto e venticinque in Friuli-Venezia Giulia. E non mettiamo in conto gli sfasciumi lasciati dallo sci estivo, chiuso per fallimento in mezze Alpi.
Ma non c'è solo il clima nel crack. C'è anche la speculazione. La seggiovia è solo lo specchietto per le allodole per sdoganare seconde case e villini. "Meccanismo semplice", sottolinea Luigi Casanova di Mountain Wilderness. "Si compra il terreno a basso costo, si cambia il piano regolatore, poi si fa la seggiovia e si costruiscono case al quintuplo del valore". Se il gioco è spinto, la seggiovia chiude appena esaurita la sua funzione moltiplicatrice del valore immobiliare.
Uno crede: errori non ripetibili. Invece no: si continua sulla vecchia strada, come per l'Alitalia. Miliioni di milioni di euro al vento. Come quelli che serviranno per il collegamento - approvato il 31 dicembre (!) dalla provincia di Trento - fra San Martino e Passo Rolle nel parco di Paneveggio, dove Stradivari prese il legno dei suoi violini. O per il terrificante "demanio sciabile" da 200 milioni di euro dalla Val Seriana alla Valle di Scalve (Bergamo) pronto al varo nel parco delle Orobie, contro cui s'è levata la protesta di molti "lumbard". Disastri annunciati, come il maxi-progetto sul Catinaccio-Rosengarten, che sfonda un'area che è patrimonio Unesco.
Cambiano i luoghi, ma il trucco è lo stesso. C'è un pool che compra terreni, fonda una società e lancia un progetto sciistico, con un bel nome inventato da una società d'immagine. L'idea è nobile: "rilanciare zone depresse", così chi fa obiezioni è bollato come nemico del progresso. A quel punto la mano pubblica entra nella gestione-impianti e finisce per controllare se stessa. Così il gioco è fatto. Il sindaco promette occupazione e viene rieletto: intanto parte l'assalto alla montagna. Per indovinare il seguito basta leggere la storia dei ruderi nel vento.
"Questi mostri di ferro e cemento che nessuno smantella rientrano in un discorso più vasto" spiega il geografo Franco Michieli additando lo stato pietoso dell'arredo urbano a Santa Caterina Valfurva, Sondrio. "Il legame con la terra è saltato, i montanari ormai ignorano il brutto. Piloni, immondizie, terrapieni, sbancamenti: tutto invisibile. Si cerca di riprodurre il parco-giochi, e così si svende il valore più grosso: l'incanto dei luoghi".
E intanto il conflitto tra ambiente e ski-business aumenta in modo drammatico. Servono piste sempre più lisce e veloci, così si lavora a colossali sbancamenti e si prosciugano interi fiumi per l'innevamento artificiale. E c'è di peggio: la monocultura dello sci finisce per "cannibalizzare" tutte le altre opzioni (albergo diffuso, mobilità alternativa ecc.) perché distrugge i luoghi. Vedi Recoaro, dove le gloriose terme sono in agonia, ma si finanzia un impianto a quota mille, dove nevica un anno su cinque.
Per addolcire gli ambientalisti si inventano termini nuovi, come "neve programmata" o "eco-neve", ma il risultato non cambia. Damiano Di Simine, leader lombardo di Legambiente: "In Valcamonica un contributo regionale di cinquanta milioni è stato utilizzato per costruire piste nel parco dell'Adamello, e il risultato lo si vede su Google-Maps. Squarci terrificanti". Stessa cosa sul Monte Canin nelle Giulie: cicatrici da paura.
Ruggisce Fausto De Stefani, scalatore dei quattordici Ottomila e leader carismatico di Mountain Wilderness: "Uno: tutti gli impianti sono in passivo. Due: il clima è cambiato. Tre: gli italiani sono più poveri. Basta o non basta a dire che un modello di sviluppo va ridisegnato? E invece no, siamo furbi noi italiani. Continuiamo a vivere come progresso un fallimento che ha i suoi monumenti arrugginiti in tutto il Paese".
A Novezzina sulle pendici del Baldo - il colosso inzuccherato tra Val d'Adige e Garda - De Stefani indica i resti di un impianto per neve artificiale mai entrato in funzione. "È stato smantellato, ma la ferita è rimasta, sembra una lebbra. Roba che per rimarginarsi impiegherà secoli. Con i soldi di quell'impianto fallito si potevano ripristinare malghe, sentieri, terreni; si valorizzavano i prodotti locali. È o non è una truffa? Un'orda distrugge l'Italia e la gente tace, nessuno s'indigna. È questo che mi fa uscir di testa".
Officina Ambiente è un gruppo di lavoro e ricerca che nasce all'interno del Centro Sociale Bruno ma che si apre a tutti coloro che credono che la difesa della Terra e la lotta contro le devastazioni ambientali e le nocività siano argomenti centrali per la costruzione di un futuro diverso.
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