31.3.09

La responsabilità degli impiantisti

di Pierangelo Giovannetti, direttore de l'Adige
fonte: l'Adige del 29.03.09

La stagione sciistica 2008-2009 si ricorderà come una delle migliori degli ultimi decenni, con il record di tredici metri di neve caduta, impianti aperti fino a oltre Pasqua, crescita dei fatturati in media del 15-20% (con punte fino al 40%), sciatori sulle piste da novembre a fine aprile senza bisogno di neve artificiale. Bilanci da record, insomma. Ma ancor prima di cominciare a tirare le somme e a mietere gli utili, gli impiantisti sono partiti in quarta a batter cassa in Provincia per riscuotere la consueta spremuta di milioni pubblici a cui sono abituati.
La giunta provinciale, si sa, da tempo sostiene la tesi che gli impianti di risalita vanno intesi come trasporto pubblico, alimentano il turismo e generano indotto, e da soli senza il sussidio del contribuente - tranne i grossi caroselli come il Dolomiti Superski - non stanno in piedi.

È questa la premessa che sta alla base del progetto di «provincializzare» gli impianti, a cominciare dal Bondone che fa capo alla famiglia di Ernesto Bertoli, «padrone» di Folgarida Marilleva, che a sua volta detiene il 41% delle funivie Campiglio, gli impianti di Pejo, eccetera, eccetera. Si può discutere o meno se sia giusto finanziare con soldi pubblici gli impianti di risalita che non sanno stare sul mercato.
La Provincia ritiene di sì, gli imprenditori che se la sfangano da soli con il rischio d'impresa un po' di meno, ritenendo l'intervento provinciale una concorrenza sleale. C'è una conseguenza però di questa «statalizzazione» degli impianti: il venir meno della responsabilità imprenditoriale. La sicurezza del salvagente della Provincia che copre sempre le perdite garantendo invece agli impiantisti di riscuotere gli utili quando vi sono, infatti porta a dimenticare le regole del mercato. Tanto, se gli affari vanno bene, si distribuiscono i dividendi. Se gli affari vanno male si fa a riscuotere a piazza Dante.

È questa mentalità che è alla base del crac di Aeroterminal, la rischiosa e improvvida operazione speculativo-finanziaria, messa in campo a Venezia dagli impiantisti di Folgarida e Marilleva guidati da Ernesto Bertoli, ora arrivata al capolinea con un'esposizione di 100 milioni di debiti, tra passaggi di proprietà e plusvalenze di decine di milioni di euro intascati da privati, scatole cinesi in cui sono spariti soldi, e denunce e controdenunce su cui sta indagando ora la Procura della Repubblica.
L'«affare» immaginato dagli impiantisti solandri, dai grandi appetiti finanziari ma dall'altrettanto grande sprovvedutezza nella gestione dei soldi (buona parte dei quali pubblici, dei Comuni e delle banche solandre e nonese), si è impantanato nelle sabbie lagunari. Ma ora il buco di Aeroterminal, frutto di scelte sconsiderate e giochi poco chiari, rischia di trascinare a fondo la società madre Folgarida e Marilleva, e l'economia di un'intera vallata con danni sociali ed economici pesantissimi per tutti. Ecco allora che, ancora una volta, a coprire i debiti viene chiamata in causa la Provincia, con iniezioni di milioni per tamponare le falle di una cattiva gestione privata.

Salvare l'economia di una valle è giusto. Evitare che intere comunità siano travolte dalla dissennatezza di alcuni privati, va bene (anche se c'è da domandarsi dov'erano questi Comuni quando c'era da controllare come venivano amministrati i soldi e decisi gli investimenti). Ma non può essere che chi ha determinato la voragine, incassi ancora una volta, e tutto resti come prima. In questa Autonoma Provincia, che il resto d'Italia invidia per la disponibilità di risorse, il principio di responsabilità si è da troppo tempo appannato. Quando si verificano buchi di malagestione e incapacità imprenditoriale (come nel caso anche del caseificio di Fiavé), nessuno è responsabile. È ora di tornare a rimetterlo al centro. E se la Provincia ritiene di «salvare» le funivie Folgarida e Marilleva dai sigilli della bancarotta, va bene. Ma gli azionisti privati causa di questo crac, devono uscire definitivamente di scena, assumendosi la loro responsabilità e pagando di tasca propria, non ancora una volta con i soldi della collettività. La vicenda Aeroterminal è un caso emblematico di come troppe garanzie pubbliche finiscono per uccidere lo spirito di imprenditorialità. O meglio, lo alimentano con i soldi degli altri, secondo la nota massima «perdite pubbliche, profitti privati».
Non può più accadere che chi gestisce un impianto di risalita in val di Sole, con bilanci in attivo, si sogni di investire in terreni e compravendite e ristorni immobiliari, perché tanto se va male, è la Provincia a pagare. Stavolta l'intera comunità trentina si attende dal governatore Dellai e dalla sua giunta una scelta esemplare.
p.giovanetti@ladige.it

Sulla questione soldi agli impiantisti vi consigliamo di leggere:


26.3.09

«Basta coltura intensiva e pesticidi»

Riportiamo due articoli scritti da Sandra Matuella del Trentino sul dibattito di domenica 22 marzo.
A breve pubblicheremo gli audio dell'intera giornata.


Fonte: Trentino del 24 marzo 2009, pagina 44


Un incontro dedicato all’agricoltura trentina seguito da una cena biologica con raccolta di fondi a sostegno del comitato Diritto alla salute della Val di Non, si è tenuto domenica pomeriggio al Centro Sociale Bruno di Trento.
Organizzato da Officina Ambiente di Trento e coordinato da Walter Nicoletti, giornalista ed esperto di agricoltura, all’incontro hanno partecipato anche Paolo Cappelletti, medico ed esponente della Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai e Orfeo Petri di Officina Ambiente.
In particolare, sono stati analizzati i pericoli ambientali, sanitari ed economici che derivano dalla forte dimensione industriale che connota gran parte dell’agricoltura e della zootecnica trentina, ad iniziare dalla Val di Non «dove c’è un uso indiscriminato di pesticidi, nocivi per la salute, richiesti dalla coltura intensiva delle mele» ha denunciato Virgilio Rossi del comitato diritto alla salute, che coinvolge oltre mille persone.
«In base ai dati Istat, la Provincia di Trento detiene il triste primato di maggior consumo in Italia di fitofarmaci (per ettaro è 6.3 volte la media nazionale). In Val di Non si è stimato l’impiego di 23 kg/ha di insetticidi, funghicidi e diradanti (53 kg se si aggiungono bagnanti e prodotti secondari)». «Contrariamente all’ordinanza comunale che vieta l’imprudente uso di antiparassitari nei pressi di abitazioni e strutture pubbliche, poiché costituiscono grave pericolo per la salute pubblica - prosegue Rossi - le analisi chimiche provano che i pesticidi sono presenti anche in aree non coltivate, sono diffusi sulla superficie della valle, e in certe zone la contaminazione arriva dentro casa, negli orti e giardini, ed è persistente anche per sei mesi l’anno, nel periodo dei trattamenti».
Virgilio Rossi ha denunciato l’indifferenza dei politici verso questo comitato a favore della salute, e verso iniziative simili, come la petizione di Sfruz, dove su 200 persone ben 150 si sono schierate contro l’agricoltura intensiva, ma sono rimaste inascoltate.
A sostegno del comitato Diritto alla salute, domenica si è schierata anche la neonata associazione Alta Valle di Non. Futuro sostenibile, rappresentata da una Franca Berger più combattiva che mai. «Il nostro è un contesto naturale ancora ben conservato e armonico, apprezzato da una realtà turistica di nicchia - spiega Franca Berger - abbiamo percepito però dei segnali di minaccia, che derivano dalle intenzioni di “invadere” anche l’alta Val di Non con la monocoltura».
Per questo è nata l’associazione Futuro Sostenibile con presidente Giuliano Pezzini, che riunisce i nove comuni da Romeno a Ruffrè e che ha già oltre duemila richieste di adesione. «A maggio, sui nostri praghièi (prati, ndr) ci sarà una grande festa di valle, e proprio con questo spirito comunitario sapremo resistere ai pericoli, perché avremo forti ragioni per chiedere ai politici il perché di certe scelte».

«La Credenza» degli acquisti bio e solidali

Il fenomeno tutto italiano dei gruppi d’acquisto solidale, ossia di persone che comprano insieme alimenti biologici direttamente dai produttori, sta crescendo anche in Trentino con La Credenza, un’associazione nata nel 1999 dall’incontro di alcune famiglie del perginese, e che oggi conta quasi quattrocento associati in tutta la Provincia. Questa realtà in crescita, nasce anche da scelte etiche, per favorire i piccoli produttori che garantiscono le biodiversità dell’ambiente, e quindi un’agricoltura alternativa a quella invasiva delle grosse aziende agroindustrali.
Promuovere un nuovo modo di fare acquisti attento e consapevole, è la missione della Credenza, gruppo di acquisto perginese con una portata provinciale, che compra prodotti biologici e promuove il rispetto dell’ambiente e della salute con una serie di iniziative. Domenica scorsa, ad esempio, Marco Adami, a nome della Credenza, ha partecipato al dibattito promosso al Centro sociale Bruno da Officina Ambiente a sostegno del comitato Diritto alla salute della Valle di Non, che ha denunciato l’abuso di pesticidi legati alla monocoltura intensiva delle mele.
Adami ha parlato del rischio del veleno nell’ambiente anche in Valsugana e Val dei Mocheni con la coltivazione ormai su scala industriale dei piccoli frutti. «Occorre essere sempre più consapevoli che l’acquisto di un prodotto anziché di un altro, causa delle scelte che incidono sull’ambiente e sulla salute delle persone - spiega Giorgio Perini, presidente della Credenza - noi abbiamo scelto una ventina di piccoli produttori biologici trentini, che fanno fatica a resistere per la concorrenza con le grosse aziende. In questo modo sosteniamo un sistema produttivo che attraverso la coltivazione biologica riduce l’impatto ecologico, e nello stesso tempo, ricostruiamo i rapporti tra produttori e utilizzatori, li chiamiamo così anziché consumatori, termine questo che dà l’idea di un atteggiamento volto a sfruttare le risorse».
La vostra è quindi una scelta etica? «Assolutamente sì: contro le multinazionali che hanno come unica finalità il profitto vogliamo tornare a controllare il sistema produttivo con un rapporto diretto con le singole aziende. E stiamo sempre più incidendo sulla realtà produttiva degli agricoltori perché con i nostri soci ormai possiamo garantire un mercato sicuro e per soddisfare le nostre esigenze molti sono incoraggiati a passare dalla coltivazione convenzionale a quella biologica certificata».
Qual è il vostro socio tipo? «Come età spazia dai venti agli ottanta anni, mentre ciò che accomuna un po’ tutti è un’elevata sensibilità verso l’ambiente e le persone, unita alla voglia di essere protagonisti attivi delle proprie scelte, senza subire passivamente quelle imposte da altri».

25.3.09

Pinzolo-Campiglio, ambientalisti furenti

Con questa lettera le scriventi associazioni esprimono un sentimento di amarezza, perché il Comune di Pinzolo e la Giunta Provinciale di Trento alla fine hanno veramente deciso di riempire, e così rovinare, il paesaggio, unico al mondo e denso di significati storici e culturali, dell'area di pregio che gravita intorno alla Val Brenta, di nuovi impianti di risalita e piste da sci.
Questo intervento di grande impatto paesaggistico, nato con la vecchia logica del turismo dello sci di massa, ma in presenza di un mercato dello sci bloccato, che non conosce più crescita o espansioni possibili, è stato deciso senza una vera partecipazione popolare.
Questo ci pare, se possibile, anche peggio dell'impatto stesso sulla natura e sul paesaggio e dell'iter procedurale, che a nostro avviso viola la logica giuridica: la comunità della Val Rendena e la comunità trentina non hanno, come in molti altri casi, costruito alcun percorso di partecipazione e confronto pubblico su scelte di carattere urbanistico, di carattere economico e sociale di forte impatto.
È avvenuto qui quello che è avvenuto per altri casi di interventi pesanti sul territorio e sugli assetti economici, con ingenti investimenti di denaro pubblico, che per anni condizionano la struttura economica e le relazioni fra gruppi di potere o di interesse, cittadini, categorie economiche, amministrazioni. Citiamo i casi della Val Giumela, di Folgaria, di Tremalzo o lo stesso percorso verso Dolomiti Patrimonio Unesco: nessuna vera partecipazione dei cittadini, decisioni prese dall'alto, con Consigli Comunali che operano scelte importanti senza dare ai cittadini la reale possibilità di un confronto aperto, informato, con tempi e strumenti adeguati. E così, in questa superficialità e grossolanità dei percorsi, il Trentino sta perdendo uno dei caratteri fondamentali della sua storia autonomista: l'idea storicamente consolidata di Uso Civico come luogo di governo comunitario del territorio.
Quell'idea di Uso Civico, del resto, vediamo emblematicamente assalita anche nella valle del porfido (la Val di Cembra), dove accanto alla rovina sempre più estesa del territorio rapinato dagli scavi, si agita ora apertamente il conflitto tra le Associazioni degli Usi Civici e gli interessi finanziari delle singole aziende private, tra la salute dei lavoratori, la qualità del mercato e le prospettive per il futuro e la contingenza dei bilanci piegati sul massimo guadagno a qualunque prezzo. Se nel caso di Tremalzo l'importante bene centenario dell'Uso Civico di un pascolo monticato si voleva vendere per un piatto di lenticchie, nel caso del collegamento Pinzolo- Campiglio si è deciso di stralciare l'idea di rigore nella tutela dentro un Parco, di spacciare, con una vera bugia, impianti di risalita per sciatori come «mobilità alternativa e integrata» e soprattutto di sacrificare la complessità della vita sociale e politica per un obiettivo territoriale ed economico del quale nessuno, che sia intellettualmente onesto, intravede il senso e la capacità di futuro.
Noi crediamo invece che alla Val Rendena serva altro: servizi sociali, partecipazione, qualità e diversificazione imprenditoriale, attenzione alle specificità del territorio, maggiore distribuzione del reddito da turismo, filiere corte, agriturismo, agricoltura biologica, offerta culturale e sportiva tutto l'anno, servizi per le imprese, la riqualificazione del centro storico di Madonna di Campiglio, maggiore integrazione fra le offerte dei diversi comparti economici e dei diversi centri territoriali e infine una vera mobilità sostenibile, orientata a spostare lo spostamento dal mezzo privato a quello pubblico, fatta di mezzi pubblici su gomma o minirotaia, orari dei mezzi flessibili e adatti alle esigenze degli spostamenti, centri di informazione, integrazione dei mezzi, collaborazione degli operatori economici e altro ancora.
Ai trentini e agli abitanti della Val Rendena, come agli amministratori pubblici, chiediamo quindi una riflessione profonda sul nostro territorio, sulle nostre pratiche decisionali, sul nostro futuro e di ricostruire la partecipazione e il senso forte della cittadinanza attiva e responsabile che, ci pare, si stato largamente smarrito. Non solo di paesaggio e denaro si tratta, quindi, ma di quella cittadinanza che ancora dovremmo percepire come una preziosa opportunità che la storia (e il sacrificio di molti) ci ha consegnato.

Italia Nostra Sezione di Trento
Legambiente Trento
WWF Delegazione del Trentino-Adige

* Vignetta da QuestoTrentino

23.3.09

Biodigestore, niente gita ad Amburgo

VALLE DEI LAGHI - «Grazie a Pacher per l'invito, ma noi ad Amburgo non andremo». I comitati cittadini di Lasino e Calavino, che si oppongono alla realizzazione di un biodigestore a Predera, non andranno in Germania con la delegazione dei sindaci della Valle dei Laghi. «Per noi la visita all'impianto realizzato nella città tedesca è inutile», fanno sapere i portavoce dei due gruppi di protesta Oreste Pisoni e Michele Gianordoli . «Inutile - dicono - perché, da mesi abbiamo dati e contatti diretti con la Germania». «I membri dei comitati, dove militano anche medici e tecnici, conoscono quel genere di stabilimento per la produzione di biogas».
I comitati non sono soddisfatti dall'esito dell'incontro tenutosi fra l'assessore all'ambiente Alberto Pacher , il sindaco di Lasino Mario Zambarda e i primi cittadini degli altri comuni della valle: un incontro nel quale il sindaco di Calavino Mariano Bosetti ha ribadito la netta contrarietà della sua amministrazione alla localizzazione dell'impianto (18.000 tonnellate/anno di rifiuti) a Predera, «a ridosso di case e coltivazioni». Dopo i segnali di apertura dati da Pacher, che aveva parlato di «necessaria condivisione» con le amministrazioni locali e con la gente (l'80% degli abitanti di Calavino ha aderito al documento di protesta), ai comitati la visita ad Amburgo suona come un «andiamo avanti con il progetto, nonostante l'opposizione degli abitanti».
In valle c'è tensione. «Nessuno grida al lupo! al lupo! C'è un problema reale». Vengono quindi annunciate nuove azioni di protesta, come a Campiello, dove i convogli-lumaca hanno bloccato la Statale della Valsugana. «In ballo - dice Oreste Pisoni - ci sono la difesa della salute della popolazione, il rispetto dell'ambiente, il rispetto della qualità della vita in valle e la questione della tutela paesaggistica». Michele Gianordoli spiega che i cittadini sono stati offesi: «Ci dicono che non conosciamo i dati? Siamo molto documentati. Chiediamo incontri a Comune e Provincia, ma non riceviamo risposta. Il problema vero è che a Lasino non c'è partecipazione: è da tre mesi che il sindaco non convoca il Consiglio comunale. È il Consiglio che dovrebbe decidere su questioni di questo tipo, non il sindaco da solo. Dov'è la condivisione di cui si parla tanto?». I
comitati fanno notare che gli impianti tedeschi non possono essere «fotocopiati» e portati in realtà montane, «vocate all'agriturismo». Hanno raccolto documenti e articoli su recenti fatti di cronaca: esplosioni, con danni a cose e persone, verificatisi in Germania. «Come si fa a mettere sullo stesso piano Amburgo e la Valle dei Laghi? Amburgo - dice Pisoni - è una metropoli, Calavino no. Amburgo è in pianura, Calavino no. Noi abbiamo l'Ora del Garda, che soffia sulla montagna, gli amburghesi no. Non ci sentiamo garantiti. Abbiamo raccolto il sostegno di pezzi importanti della società civile e della politica. Ci aspettiamo che Comuni e Provincia non ci ignorino. Ci era stato promesso che nessun progetto sarebbe stato imposto e che ci sarebbe stato dialogo. Di questa iniziativa della gita, ad esempio, abbiamo saputo dai giornali».

Fonte: l'Adige del 22 marzo '09

Vedi anche: Lasino: biodigestore indigesto

22.3.09

Dibattito sull'agricoltura e cena a sostegno della salute in Val di Non

Domenica 22 marzo ore 16.00
Centro sociale Bruno, via Dogana n.1 – Trento


Dibattito
Pericolo agroindustria:
le alternative dell’Altra Agricoltura al tempo della crisi


Interverranno:

Coordina Walter Nicoletti, giornalista ed esperto di agricoltura
- Virgilio Rossi, comitato diritto alla salute della Val di Non
- Roberto Cappelletti, Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai
- Alvaro Armanini, C.I.G.E. (Comitato Iniziative Giudicarie Esteriori)
- Orfeo Petri, Officina Ambiente

Sono invitati a intervenire vari comitati locali

Una riflessione comune nei giorni della crisi globale che il sistema neoliberista sta attraversando. Una crisi nuova, ampiamente annunciata, ma che per caratteristiche proprie è al tempo stesso imprevedibile e che pone delle necessità di cambiamento e di trasformazione sociale in tutti i campi.
Una crisi che non risparmia l’agricoltura e il suo vecchio modo di essere concepita: un’agroindustria nociva al territorio, disattenta alla qualità del cibo, maggiormente attenta alla quantità che alla qualità e alla diversità; l’opposto di quella che in questo dibattito vogliamo raccontare e promuovere.
L’Altra Agricoltura trentina, quella sana, quella pulita, quella che porta la ricchezza dei suoi prodotti genuini e sani in città, quella che lascia sicure e felici le nostre valli.
Quell’Altra Agricoltura che non distrugge il territorio, che non vive di marchi sul quale fare solamente marketing.
Quell’Altra Agricoltura che crede ancora che il luogo in cui viviamo, il Trentino, la Terra stessa, deve essere conservato e protetto, e che non lascerà che sia rovinato per gli interessi di pochi agricoltori che si nascondono dietro un logo, sia esso Melinda, Trentino S.p.a, S.Orsola, piuttosto che Federazione delle Cooperative.
Un momento, inoltre, per condividere assieme le nuove lotte che i contadini di tutto il mondo stanno portando avanti al tempo della crisi della globalizzazione, una crisi che si traduce anche in crisi alimentare. Un momento per lanciare le iniziative contro il G8 Agricolo che si terranno dal 17 al 20 aprile a Cison di Valmarino, in provincia di Treviso.

Per quello che il futuro ci riserverà, non possiamo permetterci di farci trovare impreparati.

Ore 19.30
Cena biologica, a cura di Officina Ambiente

Sostieni il diritto alla salute in Val di Non.
Il ricavato sarà destinato al comitato della Val di Non per finanziare le ricerche sulla nocività dei pesticidi.

Per prenotarsi: 3289173733 // officinambientetn@gmail.com

Info:
Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai
Comitato per il diritto alla salute Val di Non
C.I.G.E.

17.3.09

Zootecnia trentina distrutta da una politica assurda

Un vecchio adagio ben conosciuto nel mondo della zootecnia ci ricorda come «è inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati».
Nell'intervista pubblicata dall'Adige il 12 marzo, pagina dell'economia, il consigliere Michele Dallapiccola lancia un j'accuse verso la gestione del Polo Bianco (latte Trento - Caseificio di Fiavé) e dell'intero comparto zootecnico del Trentino.
Noi della Libera Associazione Pastori e Malghesi del Lagorai che abbiamo sollevato da anni la questione esprimendo più o meno gli stessi concetti, vogliamo sperare che queste considerazioni non siano troppo tardive e che si imbocchi finalmente con decisione la strada giusta.
Ci rendiamo conto che di fatto piangere sul latte versato (tanto per restare in tema) è inutile né è pensabile che riaprano le stalle chiuse. Sono passati vent'anni e questo tempo non è stata solo una interminabile e vergognosa agonia di un settore portante della storia e dell'economia del Trentino, ma un percorso lastricato di vittime più o meno illustri: dalla tante diffuse piccole stalle dimesse all'ostracismo di quanti hanno sollevato dubbi e perplessità in merito alle scelte operate.
Un «non disturbare il manovratore» che ha azzerato i cori di protesta e soffocato l'aiuto delle tante realtà messe volutamente in ginocchio a inseguire il mito della zootecnia padana (il grana trentino).
Non c'era bisogno di grandi menti per comprendere come fosse improponibile simile modello eppure quante consulenze, quanti studi e ricerche sono state spese. Quanti ne hanno beneficiato e fatto carriera. Fu solo scarsa lungimiranza?
Oggi non è più accettabile che a giorni alterni politici e amministratori, funzionari e manager diano lezione di Trentino "bel suol d'amore" dopo averne fatto scempio favorendo la chiusura di caseifici con produzioni specifiche e apprezzate come quello di Folgaria e promettendo guadagni migliori con la produzione di scala.
Oggi riflettere sui danni nel settore zootecnico non è fare del facile populismo, ma la triste realtà quotidiana, che l'ennesimo ri-finanziamento - senza un cambio netto di politica - non potrà frenare.
Giuseppe Pallante, Roberto Cappelletti

Info: Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai