21.12.08

Latte etico?

OK il latte fresco, ma se cominciassimo anche a parlare, oltre che di igiene, anche di qualità di quello che mangia la mucca e di quanto latte fa la mucca? Può un latte etico essere fatto con soia OGM o insilato di mais da monocoltura?

La strumentale campagna contro la vendita diretta del latte crudo fa leva sulle proprietà igieniche del latte. Gli stolidi detrattori del latte crudo sostengono che la "moda" del suo consumo porta indietro di un secolo il "progresso". Ma questi signori vivono ancora con la testa nel mondo industriale (o paleo-industriale) dove la principale determinante della qualità era, appunto, quella igienica. Tempi in cui le mucche erano in larga misura affette da TBC e in cui tifo e colera imperversavano ancora. Allora era comprensibile. Non si parlava ancora di vitamine, tanto meno di loro labilità e biodisponibilità, figuriamoci se qualcuno poteva pensare alle "proprietà nutraceutiche".
Ma di strada ne è stata fatta tanta. All'industria e al suo ampio novero di sostenitori, però, fa comodo concentrarsi riduzionisticamente sugli aspetti igienici. Quello che essa (non sempre) garantisce attraverso i trattamenti termici, il packaging, le "catene del freddo" (tutti elementi di un'enorme spreco energetico necessario a sostenere l'allungamento delle filiere e la standardizzazione dei prodotti) è, appunto, un prodotto di qualità "igienica".
In realtà non è neppure vero che i trattamenti industriali garantiscano l'igiene microbiologica. Negli Stati Uniti si sono registrati dalla fine degli anni '90 numerosi casi di intossicazione da Salmonella typhimurium, dei ceppi resistenti a più antibiotici e pertanto pericolosi.
La pastorizzazione del latte non ci mette al riparo dai rischi (anzi, a volte i rischi dei prodotti pastorizzati sono molto gravi, come dimostra anche la frequente presenza di Listeria nei formaggi a latte pastorizzato con casi anche recentissimi anche in Italia). In compenso è noto da tempo che i trattamenti termici danneggiano enzimi e peptidi ad importante attività biologica (viene spesso citato il fattore di Wulzen che protegge dall'artrite degenerativa) e diminuiscono la disponibilità di vitamine e aminoacidi.
D'accordo, ma vogliamo fare un passo avanti. Per consolidare e aumentare il consenso della gente al latte crudo e alla sua filiera corta di distribuzione vogliamo estendere la dimensione della qualità del latte ad una qualità totale ad una qualità etica? Cosa mangia la mucca, come è allevata, quanto latte fa, in che stato di benessere vive?
Guardate che sono tutti aspetti correlati. Se l'animale è stressato ha meno difese immunitarie e necessita più trattamenti con farmaci. Se la mucca è "spinta" dal punto di vista produttivo tutti gli equilibri fisiologici sono compromessi e gli effetti dello stress, di traumi sono amplificati. I problemi digestivi aumentano con la forzatura alimentare e ciò comporta la produzione di tossine che acuiscono i problemi di organi e tessuti già sollecitati. L'apparato scheletrico (minato dalla demineralizzazione per "esportare" enormi quantità di calcio nel latte), l'apparato digestivo, l'apparato cardiocircolatorio, i piedi sono tutti "sotto pressione". Non parliamo della mammella.
La mucca dovrebbe avere diritto a camminare se non su un pascolo almeno su uno spiazzo erboso, a non subire lo stress delle sale di mungitura dove è sospinta dalle scosse elettriche spesso in una situazione di confusione, urla. Soprattutto non dovrebbe essere una povera "forzata del latte" rottamata a 4 anni di età, spesso senza riuscire a partorire nemmeno due volte nella vita.
Un limite alla produzione dovrebbe essere il primo elemento di un patto etico tra l'allevatore e i consumatori del suo latte crudo, ovvero del latte sano, ovvero di un latte buono e pulito.
Non produrre più di 4-5.000 kg di latte per lattazione in montagna e non più di 7-8.000 in pianura . Spingere di più comporta utilizzare le razioni "spinte" a base di soia OGM e di insilato di mais (rispettivamene una "bomba" proteica e una energetica). Usare la soia oltre che consolidare il potere della Monsanto significa incentivare la deforestazione dell'Amazzonia, usare l'insilato di mais significa incantivare una monocoltura con elevati usi di pesticidi (in aumento secondo l'Istat), elevatissime concimazioni (con rischi di inquinamento nitrati delle falde).
Ma c'è di più. Tornare all'alimentazione tradizionale con altri tipi di erbai, alle leguminose "nostrane" e alle rotazioni non solo migliorerebbe la fertilità e la salute del terreno, ma ridurrebbe drasticamente l'impiego di pesticidi.
La qualità del latte, e qui veniamo ad un punto decisivo, ne avrebbe enormi benefici. L'uso di foraggi freschi (molto impegnativo - è vero - ma l'innovazione tecnologica si è impegnata su questo fronte?) fa come - è ormai noto - aumentare notevolmente le proprietà nutrizionali e, soprattutto, nutraceutiche del latte. Aumentano gli acidi grassi essenziali Omega-3 e il CLA (acido linoleico coniugato) fattori importanti di prevenzione di gravi malattie cardiocircolatorie e tumorali e diminuisce i grassi saturi (noti fattori di rischio cardiocircolatorio). Non si chiede a tutti i produttori di latte crudo di convertirsi al biologico e di basare l'alimentazione sul pascolo (sarebbe impossibile), ma di praticare il pascolamento quando possibile (anche nella pianura padana in autunno il pascolo era normale), di tornare gradualmente all'alimentazione invernale a base di fieno, di utilizzare erbai diversi dal silomais dando spazio il più possibile a leguminose (che riducono la dipendenza dalla soia) e ai prati. Soprattutto si chiede di limitare la produzione perchè è la rincorsa insensata alle megaproduzioni che, a catena, comporta una spirale perversa di dipendenza dell'allevatore di mezzi tecnici, consulenze, intrugli.
E poi, tutto quell'insilato (compresi i balloni di fieno-silo con i pericoli di rifermentazioni) siamo sicuri che faccia bene alla qualità del latte alimentare? Ci si preoccupa tanto della relazione tra insilato e presenza di microbi anticaseari nel latte, ma relativamente al latte da consumo fresco cosa comporta l'utilizzo di insilati mal conservati (a parte il problema aflatossine?).
Cari produttori voi avete un grande vantaggio: ci mettete la faccia. Tutto quello che farete per il benessere delle mucche, per non "spingerle", per voltare le spalle a una genetica che peggiora il bestiame, per coltivare foraggi in modo pulito, i vostri consumatori possono verificarlo. Altro che marchi e certificazioni (che ingrassano un altro segmento degli ormai interminabili anelli delle "filiere"). Coraggio. Già oggi la gente vi sostiene. Lo farà ancora più convinta se si realizzeranno i patti per un latte etico.

Michele Corti

L'Adige, 10.12.08

16.12.08

Ricorso al Tar su Tremalzo

Continua da parte delle associazioni ambientaliste e del comitato di cittadini la battaglia contro la cementificazione della delicata conca di Tremalzo.

Il no degli ambientalisti all'albergo da 390 posti


VAL DI LEDRO - Wwf Italia e comitato Sos Tremalzo hanno fatto ricorso al tribunale regionale di giustizia amministrativa (Tar) contro l'«operazione Leali», che prevede la costruzione di un enorme albergo-benessere (390 posti letto) nella Conca di Tremalzo, località montana della val di Ledro; in particolare contro la delibera provinciale che approva la variante al Piano regolatore di Tiarno di Sopra, provvedimento che spalanca le porte all'intervento edilizio orchestrato dall'imprenditore bresciano Alcide Leali assieme ai cinque Comuni ledrensi (Concei esculso), Tiarno di Sopra in testa.
Gestione disastrosa Le due associazioni ecologiste hanno inviato al Tar un ricorso pesantissimo (48 pagine, più tutti gli allegati) sia contro il Comune sia contro la Provincia e la società Irvat (Impianti valorizzazione risalita Tremalzo srl.). In base alla «gestione disastrosa di tutta la procedura relativa alla variante», a causa della «subordinazione dell'amministrazione municipale agli interessi del privato Domenico Alcide Leali», a motivo delle «osservazioni e opposizioni ai provvedimenti e alle delibere municipali che non sono stati presi in esame», a causa della sottovalutazione dell'antica istituzione dell'«uso civico» e per il contrasto della variante al Piano sia con il Piano urbanistico provinciale sia con la legge provinciale 16, Wwf Italia e comitato Sos Tremalzo chiedono ai giudici del Tar di dichiarare nulla la variante stessa in modo che, una volta accolte le loro istanze, sia rispedito al mittente tutto il progetto. Ecco solo alcuni dei punti salienti del ricorso notificato nei giorni scorsi alle controparti e che sarà depositato oggi dall'avvocato Sandro Manica.
Comune appiattito su Leali «A seguito di complessi procedimenti ai quali hanno partecipato anche gli organi pubblici deputati alla tutela dei valori ambientali e paesistici, si è giunti a consentire un intervento edilizio di abnorme aggressività, quasi pari a quello prospettato in prima adozione (prima proposta di variante ndr.) dal Comune di Tiarno di Sopra, del tutto appiattita sull'iniziativa imprenditoriale privata, che aveva in parallelo seguito, sin dall'inizio, il procedimento. Cosicché, all'esito dell'approvazione, dei 67.000 metri cubi originari(amente previsti da Alcide Leali e Vito Oliari), ben 48.000 di nuova volumetria sono stati acconsentiti».
La Tutela che non tutela
Questa enorme cubatura in zona naturalistica di pregio è stata resa possibile, dicono gli ambientalisti, «anche grazie agli inattesi "suggerimenti" forniti dagli stessi Uffici pubblici, che avrebbero dovuto ergersi a tutela dei beni ambientali. È stata, pertanto, palesemente elusa la previsione dell'area di Tremalzo come Sito (naturalistico ndr.) di Interesse Comunitario (europeo ndr.), ed è stata completamente falsata l'applicazione della relativa disciplina di tutela. Del tutto illegittimamente, gli organi preposti alla tutela hanno, da una parte, espresso rilievi sull'incompatibilità della proposta oggetto di prima adozione (prima proposta di variante ndr.); e poi, del tutto contraddittoriamente, assumendo un'iniziativa, non prevista dalla legge, hanno indicato, essi, una soluzione alternativa altrettanto impattante, di dimensioni pressoché identiche. E ciò, quando i medesimi organi tutori avevano pure espressamente evidenziato che gli interventi edilizi in zona avrebbero dovuto limitarsi al "recupero degli edifici tradizionali" o al "restauro dei volumi esistenti". Da qui, pure il sospetto che la funzione amministrativa, anche quella preposta alla tutela, sia incorsa nei gravi vizi di falsità e di sviamento». Eccesso di potere Manica prefigura tutta una serie di violazioni e di false applicazioni di una serie di leggi e normative, di eccesso di potere per «difetto assoluto di istruttoria» e per «motivazione contraddittoria, illogica e irragionevole», di travisamento dei fatti e di violazione dei principi generali in materia di procedimento amministrativo».

L'Adige, 12/12/2008

Giù le mani dal latte crudo!

Pubblichiamo una bella lettera che, motivatamente, difende il latte crudo, un alimento sano, in queste settimane aggredito da più parti e bollato come pericolosissimo a causa della non-pastorizzazione. Una battaglia giusta: in difesa della filiera corta, della dignità del produttore, ma anche della qualità del prodotto stesso e quindi della salute dei cittadini.

Vorrei contribuire al dibattito sollevato in questi giorni sulle problematiche dei distributori di latte crudo. Non mi pare che la proposta di Sergio Paoli, direttore di Latte Trento, di pastorizzare il latte prima di immetterlo nei distributori abbia qualche senso. Sicuramente il maggior costo della pastorizzazione unito a quello del trasporto renderebbe antieconomico il distributore.
Ma soprattutto si tende a dimenticare che il latte è un alimento che nasce già perfetto e che ogni tentativo di trattamento da parte dell'uomo non può che peggiorarlo. A fronte di qualche piccolo rischio derivante dal latte crudo, con la pastorizzazione invece si perderebbero importanti proprietà utili alla nostra salute.
Quali sarebbero i rischi del latte crudo? Premettendo che l'attenzione ai problemi igienici da parte del produttore non deve mai abbassarsi, alcuni germi potrebbero effettivamente contaminare il latte e causare problemi nell'uomo: il principale è lo Stafilococco aureo che potrebbe derivare da mastiti non curate. Solo questo rappresenta un potenziale pericolo per il consumatore; è in grado di produrre una serie di enterotossine che determinano, se presenti in quantità sufficiente, un'intossicazione caratterizzata da nausea, vomito e diarrea, che viene superata in genere senza intervento medico in 2-3 giorni. Altri germi come la Listeria Monocytogenes possono dare delle infezioni gravi, ma quasi esclusivamente nei soggetti immunocompromessi. Sono teoricamente possibili infezioni da Salmonella o Campylobacter, ma solo se il latte è contaminato con le feci. Da una ricerca è comunque emerso che il latte crudo venduto nei distributori è in media qualitativamente migliore degli altri latti. A chi pensa che il latte pastorizzato sia sicuro al 100% ricordo che ci sono state importanti epidemie di salmonellosi derivate dal latte pastorizzato. La pastorizzazione non elimina i germi, ma ne riduce la quantità. In più vengono alterate le capacità di autodifesa del latte (denaturazione della lattoferrina) e quindi in condizioni particolari i germi cattivi si svilupperebbero più facilmente.
A fronte del limitato rischio derivante dal latte crudo, vediamo ora i vantaggi. Viviamo nel mezzo di un'epidemia di cancri; sicuramente molti tumori sono dovuti all'eccesso di sostanze cancerogene nell'ambiente, ma anche alla scarsità di sostanze protettive nell'alimentazione. Proprio la pastorizzazione del latte è un esempio di impoverimento di proprietà antitumorali, negli alimenti. Ci sono infatti alcune proteine del latte, specie le proteine del siero del latte (quello che resta dopo aver tolto le caseine), che possiedono importanti proprietà antitumorali, detossificanti e antiallergeniche, ma che vengono denaturate con il calore della pastorizzazione. Si sa, ad esempio, che i neonati alimentati con latti artificiali hanno più allergie e tumori degli omologhi allattati al seno. Ebbene questo avviene proprio perché le proteine dei latti artificiali vengono pastorizzate e perdono importanti proprietà. Oggi si inizia a comprendere che la sostanza responsabile delle proprietà antitumorali, detossificanti e antiallergeniche del latte potrebbe essere il glutatione. Il glutatione, un tripeptide (costituito da tre amminoacidi) è una molecola chiave per il funzionamento cellulare. Non solo contrasta l'effetto nocivo dei radicali liberi, ma è anche la molecola importante per la detossificazione dell'organismo. Tutti i processi immunitari ed energetici necessitano del glutatione. Le proteine del siero del latte sono molto ricche di un precursore del glutatione (glutamil cisteina). Queste sostanze però si denaturano con il calore a 60 gradi (la pastorizzazione supera i 70 gradi per 15-20 secondi).
Col calore si inattiva anche la vitamina C: all'inizio del secolo scorso dopo l'introduzione della pastorizzazione del latte ci fu un aumento dei casi di scorbuto (malattia da carenza di vitamina C). Nonostante queste evidenze gli scienziati di allora, sull'onda delle teorie che vedevano i microrganismi responsabili della maggior parte delle malattie, continuarono a raccomandare la pastorizzazione o la bollitura.
Un altro esempio di problemi generati dalla pastorizzazione è l'assorbimento del calcio. Questo è molto minore nel latte pastorizzato rispetto al latte crudo. Ricordo che oggi l'osteoporosi è una condizione molto diffusa con una notevole morbilità dovuta alle fratture nell'anziano.
Prima degli anni '70 dovunque nei caseifici di paese si vendeva latte crudo. Una legge ingiusta, voluta dagli industriali del latte, ne ha vietato la vendita e questo ha portato nel recente passato alla chiusura di numerosi caseifici in Trentino ed alla crisi del settore zootecnico con la chiusura di molte stalle, parallelamente alla creazione di monopoli caseari.
In passato molti medici spesso consigliavano di soggiornare in montagna per rinforzare il fisico. Oggi abbiamo numerose evidenze che molte delle virtù salutari delle vacanze in montagna potrebbero derivare proprio dal latte e dai prodotti derivati che oggi non è più possibile acquistare nei caselli di paese. È difficile immaginare un paesaggio alpino senza zootecnia, senza alpeggi e malghe. Ed è connaturata con questa attività la possibilità di vendere il prodotto in loco al consumatore. Chiunque vuole mettere vincoli e limiti a questa attività (a favore dell'industria) uccide la montagna. Con ricadute sicuramente negative sul turismo.
In conclusione, oggi con i frigoriferi si può conservare il latte non pastorizzato per diversi giorni. Si può inoltre aumentare la sicurezza con frequenti controlli sul latte (che sarebbe auspicabile facesse l'ufficio Igiene). Consiglierei però la bollitura solo in presenza di una immunodeficienza grave. La mia famiglia consuma latte crudo ormai da un decennio senza che si sia mai verificato un problema. Personalmente consiglio di visitare la stalla di provenienza e verificare l'igiene e l'alimentazione degli animali.
Acquistare il latte crudo (non pastorizzato) è un diritto alla salute che non può essere negato. Inoltre poter vendere latte crudo è un aiuto al settore zootecnico di qualità, con sicure ricadute positive sul turismo.

Dr. Roberto Cappelletti
È componente del Comitato scientifico della Libera associazione Malghesi e pastori del Lagorai

L'Adige
, 9 dicembre 2008

Ecomafia in provincia di Trento?

Pubblichiamo un'interessante riflessione uscita su L'Adige a proposito dello scandalo dei rifiuti pericolosi provenienti da tutto il nord Italia stoccati abusivamente in una ex cava (ora discarica di inerti) a Roncegno, in Valsugana. L'episodio ha sollevato nuovi dubbi sulla credibilità nella nostra provincia delle autorità cui è affidata la tutela dell'ambiente e, di conseguenza, la salute dei cittadini.

La Valsugana non è la pattumiera del Nord

Così la Provincia si fa male, oltre a fare del male alla comunità. Molti sospettano, da tempo, soprattutto in Valsugana, che i controlli dell'Appa sugli inquinanti non siano credibili. Molti pensano che siano pochi, ridicolmente pochi i controlli sui fumi delle acciaierie di Borgo. Proprio quell'impianto che crea tanti dubbi, timori anche, in una parte non secondaria della popolazione. E cosa dire di quell'impianto di biocompostaggio di Novaledo, e di quel «bolo» che venne di fatto seminato nelle campagne di Valsugana? Ma lasciamo la Valsugana: sono sufficientemente calibrati i controlli sui veleni sparsi nei meleti e la loro presenza in parchi pubblici, case private, tra la gente insomma, in val di Non? Molti non si fidano più dell'Appa (agenzia provinciale protezione ambiente ndr.) e di tutte le autorità di controllo e, di conseguenza, viene meno anche la fiducia nella difesa che la Provincia fa della salute pubblica. Ora la storia della discarica di Monte Zaccon. Solo l'ultimo anello. Sappiamo molto bene che la nostra società dei consumi, quella che stiamo vivendo qui e ora, quella ricca e trentina, porta alla produzione di molti veleni: che finiscono nell'acqua e nell'aria, che vanno a finire negli impianti di compostaggio o nelle discariche. Sappiamo anche che sempre meno è possibile (oltre che eticamente costituire una cosa ingiusta) spedire quei rifiuti in Campania o in Calabria. E sempre più difficile è mandarli anche in Africa, mentre se li mandiamo in Germania questa si fa pagare tantissimo. Poi, certi rifiuti, come quelli che finiscono nell'aria, immessivi dai camini delle fabbriche, non possiamo nemmeno spedirli a nessuno. E allora, la nostra società produce, necessariamente, delle schifezze che dobbiamo pensare di distruggere a casa nostra o, comunque, di limitare al massimo nei loro effetti nocivi per la salute umana e quella della Natura. Ma nessuno vuole i veleni: noi viviamo in una società in cui il senso civico, il bene della comunità che talvolta esige anche la condivisione dei problemi, è sempre meno sviluppato. E allora? L'impressione (ma le prove sono continue e successive) è che i politici e la politica abbiano deciso, per il bene della comunità (e lo diciamo senza sottintesi e ironie) che le cose vadano fatte anche senza che la comunità lo sappia. Per questo, probabilmente, l'Appa è portata a fare cose che anche la politica conosce. Ma finge di non conoscere. Noi tutti sappiamo che, ancora più in questo momento di crisi epocale del capitalismo, 120 salari e stipendi, quanti sono quelli pagati dalle Acciaierie di Borgo, sono importantissimi. Che lo spostamento della fabbrica fuori dal Trentino sarebbe per la Valsugana l'ennesima botta. E allora ecco che i controlli sulle emissioni di fumi vengono fatti una volta all'anno, di giorno e (lo ha dichiarato al nostro giornale un operaio che ha lavorato lì per anni e si occupava proprio di questo) all'interno della fabbrica si conosce la data dell'arrivo dei tecnici in anticipo. Ma tutti, proprio tutti a Roncegno e Borgo sospettano da sempre, e molti lo hanno pubblicamente dichiarato, che le emissioni «malefiche» avvengono la notte e in certe ore soprattutto. E cosa dire del biocompostaggio di Novaledo che avrebbe tutte le carte in regola, che rispetterebbe tutte le leggi.... ma che verrà comunque spostato perché qualcosa che non va, lo hanno capito tutti, c'è comunque? Nei giorni in cui sui terreni di Novaledo e Roncegno veniva sparso quell'enorme «bolo» che intasava lo stabilimento, avemmo modo di parlarne con i dirigenti dell'Appa. E li trovammo assolutamente tesi, nervosi, in ansia. E lo scrivemmo. Si doveva mettere da qualche parte quel materiale, era certo, per permettere alla nostra comunità di continuare ad avere un luogo dove poter lavorare ed elaborare l'umido delle immondizie e certi fanghi... Vero, ma forse non era proprio affondandolo in una campagna molto coltivata ancora il modo migliore. Ma dove allora? direbbe il politico, se tutti vogliamo il meglio di questa società dei consumi e nessuno vuole le sue schifezze, che però sono i nostri rifiuti? Certo, dopo la scoperta delle schifezze che stanno finendo in una ex cava di Monte Zaccon, nel Comune turistico di Roncegno, viene il pensiero che la Valsugana sia privilegiata in qualità di sfogatoio di quanto i trentini non vogliano. E forse (pensando anche che, a sinistra soprattutto, la PiRuBi non la vuole nessuno in Vallagarina ma la superstrada trafficatissima, cento volte i bisogni della valle, è sopportata in Valsugana dove, tra l'altro, ha travolto e tagliato a metà due paesi) il pensiero che questa valle non sia difesa al meglio dai suoi politici è più di un sospetto. Ma il discorso va oltre. Pensiamo allora ai veleni nei meleti e alle denunce del Comitato noneso che da qualche anno si sta battendo sul problema. Ultimamente questa gente coraggiosa si è pagata, 3.000 euro, le analisi che hanno dimostrato l'esistenza di residui di veleni nelle case e nei parchi giochi. Ma quelle analisi ha dovuto farle fare fuori dal Trentino. Perché in Trentino (terra dell'Istituto Agrario ma anche terra che dispone di un'ottima Azienda sanitaria) le statistiche dicono che tutto è nella norma, che le forme tumorali non sono più numerose che altrove e nemmeno le bronchiti. E, di certo, qui da noi nessun ente pubblico si sogna di far analizzare le polveri delle case o l'erba dei parchi. Perché le mele sono la grandissima ricchezza della valle di Non, l'Acciaieria è necessaria alla manodopera valsuganotta e perché qualcuno deve pure beccarsi le porcherie che i trentini producono (o prendere quelle degli altri per esportare in parte le nostre). E così i controlli dell'Appa troppo spesso sono formali o eseguiti in tempi non congrui. E molte volte anche le analisi di S. Michele e le indagini dell'Azienda Sanitaria sono portate più a rassicurare i cittadini che ad allertarli sulla situazione reale. Ma così facendo la politica si fa male, la Provincia si fa male. Non si può continuare a dire che il nostro formaggio è il massimo del mondo perché le vacche mangiano il fieno della montagna trentina quando molti di quegli animali, l'erba delle Dolomiti non la vedono quasi mai. Così sempre più gente guarda con sfiducia alle nostre autorità, anzi con rabbia. Così la Farfalla appassisce e il Trentino si omologa e alle elezione è tutto un gridare... «al negro». È ora di parlare con la gente, di informarla, di essere franchi: le nostre sporcizie ce le dobbiamo riciclare, e dobbiamo produrne meno, e i prodotti che mettiamo in tavola devono essere controllati, così come il nostro territorio. Per evitare, tanto per concludere, che un Comune turistico, che ha una grande e importante storia termale, si porti in casa una schifezza grande come quella, dicono gli investigatori, che stava arrivando a Roncegno.

L'Adige, 14/12/2008

8.12.08

9.10.11 dicembre, Piazza Lodron: Tenda NoWAR / Contro la base militare di Mattarello

Tre giorni in piazza contro la base militare di Mattarello, per portare al centro della città il NO alla guerra che spesso è dimenticato e troppe volte è subordinato al "ma" e al "se".
Riflessioni e dibattiti, azioni e manifestazioni che vogliono spiegare, per l’ennesima volta, che la costruzione di una nuova cittadella militare significa sostenere le guerre globali che vedono implicato anche l’esercito italiano; significa un esborso di spesa a carico della Provincia (400 milioni di Euro - metà della manovra anti-crisi del confermato presidente della Provincia Dellai) in un momento di crisi economica che toccherà anche il Trentino; significa distruzione ambientale, paesaggistica e urbanistica...
Tre giorni che sapranno parlare alla città e che vorranno coinvolgere il movimento trentino che scenderà in piazza il 12 dicembre per lo sciopero generale, dalle scuole ai comitati che lottano per un Trentino migliore.

Scarica la locandina

9.10.11 dicembre Tenda NoWAR / Contro la base militare di Mattarello @ piazza Lodron - Trento

Martedì 9 dicembre:

ore 16.30: Conferenza stampa / presentazione della tenda

ore 17.00: Assemblea di movimento verso la manifestazione del 12 dicembre: La vostra crisi non la paghiamo noi!

ore 20.30: Presentazione musicale del libro "I dimenticati della Grande guerra", ed. Il Margine.
Sarà presente l’autore Quinto Antonelli [ vedi ]

Mercoledì 10 dicembre:

ore 14.30: Assemblea studenti medi verso la manifestazione del 12 dicembre

ore 17.30: Iniziative/azioni

ore 20.30: c/o Barycentro piazza Venezia, 38 - Carta Est Nord presenta: [ vedi ]
Noi la crisi non la paghiamo, la crisi economica e il modello nordest: risposte e resistenze possibili
ne parliamo con:
Mario Simoni, Trentino Arcobaleno
Federico Zappini, Centro Sociale Bruno
Maddalena Di Tolla, Legambiente
Marco Niro, Questo Trentino
Luigi Casanova, Mountain Wilderness
Paolo Tonelli, Federazione trentina della cooperazione
coordina Gianni Belloni, Carta Estnord

Giovedì 11 dicembre:

ore 17.00: Presentazione della petizione popolare contro la base militare di Mattarello

ore 17.30: Appello per una reale obiezione di coscienza. Chi è realmente contro la costruzione della base militare?

Approfondimenti:
Il contro-pieghevole sulle nuove caserme

TAV: la musica non cancella la verità

di Ezio Casagranda e Gianfranco Poliandri

DVD ben confezionati e convegni brezneviani non riusciranno a nascondere i disastri della TAV

Sulla stampa di questi giorni abbiamo potuto leggere due notizie riguardanti la TAV del Brennero.
La prima riguarda la scelta di vivacizzare con una bella colonna sonora il DVD che la Provincia di Trento prepara sul progetto preliminare della porzione trentina della linea ferroviaria ad alta capacità Verona-Innsbruck (”l’Adige”, 4.12.2008, Traforo in musica - Kuzminac consulente). Ma sarà difficile che la qualità dell’accompagnamento musicale distragga i destinatari dal porsi qualche domanda spinosa.
La seconda riguarda l’incontro istituzionale di Verona del 5.12.2008, dove sono stati confermati i finanziamenti UE per il tunnel di base del Brennero che qualcuno continua a chiamare un’opera eco compatibile. E neppure 195 chilometri di gallerie lungo l’asse dell’Adige dal confine di Stato a Verona e 30 anni cantieri nelle valli dell’Adige e dell’Isarco ci sembrano molto compatibili con l’ambiente.
Sull’opera contemporaneamente più inutile, costosa, devastante e meno condivisa che abbia mai interessato il Trentino si producono DVD ma ci si guarda bene dall’avviare una discussione pubblica, aperta e trasparente sui costi sociali ed ambientali. Una discussione che è totalmente mancata in Trentino, come è mancata in Alto Adige sul tunnel di base e sulle tratte di accesso Sud.
Da quel confronto sarebbe emerso quello che già in parecchi hanno capito e che la propaganda dei promotori nasconde con cura.
Ci dicono che la nuova linea servirebbe per trasferire finalmente (quando, nel 2030-2040?) il grande flusso merci dalla A22 alla ferrovia e risolverebbe anche l’imminente saturazione della linea storica del Brennero. Pretesti, per non intervenire oggi. Il traffico pesante e il terribile inquinamento sull’autostrada potrebbero diminuire subito di circa due terzi: a) con scelte non subalterne agli interessi dell’autotrasporto e della società Autobrennero, con pedaggi equivalenti a quelli di Austria e Svizzera e regolamentazioni/controlli all’altezza di un paese civile; b) impiegando la ferrovia attuale (dalle ampie capacità residue anche dopo il recente potenziamento) secondo criteri di razionalità ed efficienza, cercando di avvicinarsi almeno un po’ agli standard di gestione internazionali.
Sulle devastazioni ambientali annunciate dal programma di opere si cerca già di glissare e comunque si racconta che la valutazione di impatto ambientale si incaricherà di controllare, mitigare, riparare. Fantasie. Le procedure di VIA in Italia, e in Trentino, sono costruite sostanzialmente per avallare decisioni già prese al livello politico-economico. Ci aspettano invece disastri pesanti. Solo per fare due esempi: danni enormi dai cantieri diffusi per decenni in tutta la valle dell’Adige, con più traffico, inquinamenti diffusi e consumo irreversibile di quel territorio libero che qui diventa sempre più scarso (in Trentino si calcolano quasi 500 ettari da sacrificare, più quelli per le discariche); impatti gravi sulle risorse idriche superficiali e sotterranee, in misura che nessuno studio preliminare - come è noto - è capace di prevedere.
E quanto costerebbe questa bella impresa, solo in Trentino? Le stime ufficiali parlano di almeno 3 miliardi, ma quelle indipendenti arrivano a più del doppio; sempre a costi 2007-2008, come se i lavori finissero domani. Ma da molti segnali anche nel nostro caso si potrebbero ripresentare gli sprechi e gli aumenti di spesa che i meccanismi contrattuali e finanziari dei programmi TAV hanno prodotto in Italia, con un incremento medio di costi totali tra il 1991 e il 2007 pari a circa 6,9 volte. A quanti servizi sociali dovremmo rinunciare per soddisfare appetiti che non hanno molto a che vedere con un sistema ragionevole di trasporti?
Siamo stati sbrigativi, ma sempre meno dei promotori. Un dibattito pubblico approfondito sarebbe urgente, e diventa sempre meno probabile. Chi si oppone a questo progetto non pensa però di accontentarsi della buona musica.

Ezio Casagranda
Gianfranco Poliandri

Approfondimenti:
Dossier Treno alta velocità Verona-Brennero-Monaco

3.12.08

I parchi naturali: ancora irrisolte troppe criticità.

Un commento di Luigi Casanova vicepresidente di CIPRA Italia

Si sono appena conclusi i lavori di un interessante ed intenso convegno organizzato dal Servizio Conservazione della Provincia Autonoma di Trento, un convegno che ha raccolto e messo a confronto le esperienze di vent’anni di gestione delle aree protette nel Trentino.
L’appuntamento poteva risultare utile per riprendere un dialogo fra sensibilità ambientaliste e protezioniste della Provincia interrotto nella conferenza farsa organizzata nel luglio del 2005 al Museo di Scienze Naturali: così non è stato perché l’associazionismo non è stato chiamato a collaborare nella strutturazione del convegno. Tanto che contemporaneamente nel vicino palazzo della Regione tutte le associazioni unite denunciavano l’irrisolto scandalo delle cave di Val Genova.
Abbiamo così seguito un evento importante, che ha condiviso le basi culturali necessarie per un lavoro strategico di lungo periodo, ma impedito riflessioni dei limiti dell’esperienza passata. Sugli ambientalisti che con dignità e attenzione hanno ricordato alcuni di questi limiti è subito piovuta loro addosso l’accusa di essere aristocratici, poco attenti al contesto sociale e ambientale, si è dovuta riascoltare la solita buffonata dei poveri di argomentazione sul partito del NO.
Alle associazioni ambientaliste trentine preme invece, più che ai politici, riprendere il filo del confronto, della proposta. Ma per fare questo devono essere mature e risolte almeno tre considerazioni tutte tenute esterne al convegno:
a) L’attenzione politica. Nessun politico era presente ai lavori del convegno, nemmeno il nuovo assessore all’ambiente Alberto Pacher ha degnato l’appuntamento di attenzione. Una occasione perduta.
b) L’ammissione della presenza di criticità importanti e irrisolte che sono: le cave in Val Genova, la questione venatoria specie verso i tetraoni, i collegamenti sciistici Pinzolo - Campiglio e San Martino - Passo Rolle. Queste due ultime questioni sono fondamentali perché rappresentano un falso in comunicazione (non si tratta di operazioni di rilancio, non si tratta di mobilità alternativa ma di banale salvataggio, come per Alitalia, di società votate al fallimento). In ambedue i casi si va ad incidere in ambienti unici e simbolo dei due parchi naturali come del resto emerso dai lavori del convegno.
c) Costruzione di cittadinanza attiva, cioè la reale possibilità offerta a cittadini ed associazioni di partecipare, costruire, condividere e controllare la pianificazione, le scelte sul futuro del parco, con pari dignità di altri soggetti. In questi territori invece sembra abbiano diritto di ascolto solo i cavatori, il mondo venatorio e i poteri forti degli impianti di sci. Non è più concepibile che le associazioni vengano raggirate e umiliate dai politici come avvenuto con Dolomiti Monumento del Mondo, con il progetto Marmolada, la questione Folgaria o Tremalzo.
Accettate queste criticità ci si può, io dico si dovrà, mettersi attorno ad un tavolo e riprendere il filo del confronto che si è rotto con Val Jumela e che ha trovato espressione severa e giustificata nella conferenza del 2005.
L’associazionismo ambientalista delle Alpi intere ormai lavora con questo metodo aperto assieme al mondo imprenditoriale e alle istituzioni pubbliche. Ci si chiede perché in Trentino si debba trovare un muro di ostacoli tanto forte e arrogante, supportato dalle forze politiche, un muro che è arrivato perfino ad escludere i Verdi dalla presenza amministrativa della nostra Provincia, un muro che non ci aiuta a costruire né distretti culturali, né percorsi innovativi, tantomeno ad offrire ai parchi il ruolo di soggetti di sperimentazione anche sociale. Vogliamo ripartire dal convegno appena concluso per ricostruire un percorso di fiducia e confronto, per ritornare, tutti insieme, a costruire un futuro condiviso e di qualità del nostro territorio, per ritornare a dare ai parchi naturali l’originalità della loro funzione, senza isole, senza campane, ma anche in assenza di evidenti speculazioni economiche e aggressioni alla biodiversità e al paesaggio. Risolvendo le criticità qui espresse.