27.2.09

Petizione contro il nuovo disegno di legge sulla caccia

Riceviamo e pubblichiamo,
OA

Anche voi potete contribuire ad una campagna di divulgazione e di protesta contro il disegno di legge dell'on. Orsi sulla caccia; si tratta di una revisione integrale della legge sulla caccia del 1992 con grandi stravolgimenti e innovazioni che vanno a vantaggio esclusivo dei cacciatori (750000 in tutta Italia).
Di fatto verranno:
- estesi i periodi di caccia;
- estesi i territori aperti alla caccia;
- portata a 16 anni l'età per la licenza;
- autorizzata la rosata a pallettoni per la caccia al cinghiale,
- liberalizzato il nomadismo per la caccia ai migranti;
- autorizzato l'utilizzo dei cani da traccia per la caccia agli ungulati e bovidi, e altre cosette simili.
Nell'interesse di tutti i boschi, le montagne, i prati, gli argini dei fiumi, i parchi ecc. non possono diventare esclusiva di una minoranza.
Se qualcuno vuole esprimere il proprio dissenso può scrivere agli onorevoli senatori della commissione Territorio/Ambiente del Senato; firmare la petizione su www.baseverde.org/petizioni/petizione-bozza-legge-orsi-caccia/ e/o iscriversi a Facebook amici della pagina "No caccia selvaggia".
Comunque vi chiediamo di diffondere ai vostri contatti.

Grazie dell'attenzione Laura

22.2.09

Acciaierie, analisi fuori provincia

Il Comitato Barbieri Sleali cerca sostanze

BORGO VALSUGANA. Il Comitato Barbieri Sleali organizzerà una manifestazione di piazza a Borgo, per sensibilizzare la gente ma soprattutto per raccogliere fondi che serviranno per far compiere delle analisi su terreni limitrofi alle acciaierie di Borgo, per l’identificazione di eventuali inquinanti pericolosi per la salute. Un altro esempio, ormai, di come la popolazione, non fidandosi più dei controlli pubblici (quelli dell’Appa) abbia deciso di prendere in mano la situazione, in difesa dell’ambiente e della salute pubblica.
Abbiamo incontrato tre rappresentanti del Comitato, il dottor Roberto Cappelletti, chirurgo all’ospedale di Borgo, Rosa Finotto e Saverio Giongo. Il perché del nome del Comitato è presto detto. Si dice che Francesco Giuseppe volesse che il suo barbiere fosse sempre di Valsugana: perché i valsuganotti erano i più fedeli tra i suoi sudditi, quindi non gli avrebbero tagliato la gola e non avrebbero fatto circolare notizie relative alle attività del monarca. Loro, quelli del Comitato, invece, vogliono che le notizie circolino, specie sulla salute dell’ambiente in valle, negli ultimi anni messa a dura prova per vari aspetti. “Siamo una trentina di persone, di tutta la Bassa Valsugana e ci siamo costituiti in comitato da un anno. Siamo partiti con il problema dell’acciaieria anche se il nostro interesse riguarda l’ambiente in generale e la salute pubblica”.
Ora scenderanno in piazza. “Lanceremo una sottoscrizione attraverso una manifestazione di piazza a Borgo. I nostri referenti, in quel caso e successivamente, raccoglieranno offerte e sottoscrizioni che ci permetteranno di far svolgere, autonomamente, delle analisi sui terreni vicini alle acciaierie. Per definire se e in che misura, si riscontrerà presenza di cromo esavalente e altre componenti tossiche”. La data sarà comunicata a breve e seguirà di poco quella delle elezioni comunali a Borgo e Strigno. “Speriamo di poter far muovere la cittadinanza di Borgo. Ad esempio quelle mamme che si erano mobilitate per il parcheggio sotto l’asilo. Poi la raccolta fondi verrà organizzata in vari paesi”.
Il Comitato vanta adesioni da Novaledo a Tezze. È collegato con L’Osservatorio di Grigno-Tezze, il comitato di Fonzaso che ha bloccato l’insediamento nella piana di Arte di un’acciaieria, col Comitato Marter, con l’Antipuzza di Campiello, l’Antibonifica di Villa Agnedo e il Comitato discarica Sulizzano di Carzano.
“Ciò che ci preoccupa – dice il dottor Cappelletti – è che la letteratura conferma che attorno ad ogni acciaieria o inceneritore, si verifica un aumento della mortalità. Non solo per tumori ma anche per malattie cardiovascolari e polmonari. Le acciaierie a Borgo sono in pratica nel paese, in una vallata senza riciclo dell’aria, attraversata da una via che porta 40.000 passaggi di mezzi a motore al giorno. A Borgo poi, si sono registrate concentrazioni di polveri sottili tra le più alte in Italia. Siamo seriamente preoccupati”.
Sono anche altri i timori che muovono il Comitato. Si vocifera di immissione di rottami provenienti dall’Estnel processo di lavorazione a Borgo e anche di una possibile cessione ad azienda estera, poco controllabile, dello stabilimento. C’è dell’altro: “Noi sappiamo di cinque tumori che sono stati diagnosticati in 20 anni a dipendenti dello stabilimento. Ma poi ci sono le recenti indagini della magistratura, quei rifiuti dell’acciaieria non proprio in regola”.
I Barbieri Sleali vogliono analisi fatte in un laboratorio accreditato di fuori provincia. Il comitato scientifico, interno al gruppo e formato oltreché dal dottor Cappelletti anche dall’ex docente universitario Giorgio Jobstraibizer e dalla biologa Fabiola Paterno, ha definito una mappatura della zona e una metodologia dei prelievi. Si parla di 2.500-3.000 euro per un solo elemento da individuare. Il cromo, certo, ma anche le diossine (900-1.000 euro a campione). Le analisi verranno fatte verso aprile, col disgelo.
Parlavate di tumori? I dati sull’incidenza del male dell’Osservatorio epidemiologico dell’Azienda Sanitaria direbbero che tutto è normale. “I dati sono interpretabili – dicono al Comitato -. In Inghilterra certe ricerche avevano stabilito lo stesso ma poi, cercando nei luoghi di ricaduta dei fumi, le cose sono cambiate”. Tra l’altro, quella indagine dimostra proprio che qui e là, gli uomini rispetto alle donne, in quel paese rispetto a un altro, ci sono casi di incidenza maggiore alla media trentina dei tumori.

Renzo M. Grosselli

l’Adige, 18 febbraio 2009

21.2.09

Frutto avvelenato?

Pubblichiamo un articolo uscito su QuestoTrentino di febbraio a firma di Marco Niro sulla questione dei fitofarmaci per le mele in Val di Non.

Per ulteriori informazioni è possibile vedere il sito internet del Comitato per il diritto alla salute della Val di Non.


Sempre più residenti in Val di Non manifestano il loro disagio: “I fitofarmaci usati per le mele ci tolgono la libertà di vivere”. Di fronte a documenti che provano le irregolarità e gli eccessi nell’uso delle sostanze chimiche, gli amministratori rispondono timidamente. E i produttori fanno spallucce.

Le origini del loro legame si perdono indietro nei secoli. Fatte l’una per l’altra. La mela e la Val di Non. Un territorio che, grazie a una ideale combinazione di caratteristiche fisico-chimiche e climatiche, offre ai suoi abitanti la possibilità di produrre mele di gran pregio. E loro, gli abitanti, questa possibilità non se la sono lasciata sfuggire. Tutt’altro.

Oggi in Val di Non, su poco meno di 40 mila residenti (l’8% della popolazione trentina), oltre 2700 sono i coltivatori iscritti all’albo provinciale delle imprese agricole (il 31% degli iscritti trentini). Uno ogni 14 abitanti. Un dato senza paragoni rispetto al resto del Trentino, dove la media è di uno ogni 58. E di quei 2700, il 90% coltiva mele.

Il binomio tra mela e valle è forte, fortissimo, pressoché indissolubile all’apparenza.

All’apparenza. Già, perché da un certo momento di questa storia, diciamo all’incirca dagli anni Settanta, qualcosa si è rotto, nell’idillio tra le mele e gli abitanti della valle. O almeno alcuni di loro.

Proprio quando la coltivazione della mela iniziava a soppiantare progressivamente tutte le altre, un problema cominciava a causare disagio. Un disagio che a tratti si acutizzava, per poi tornare a covare sotto la cenere. Un disagio che proprio oggi è tornato a farsi più forte che mai. Perché, da quando si è presentato, il problema che lo causa non è mai stato risolto.

Quel problema si chiama fitofarmaci.


Prigionieri in casa


“Faccio credere ai miei figli che sia un gioco: quando passeggio con loro e ci imbattiamo in un agricoltore che irrora, dico ai bambini di chiudere la bocca e di correr via da lì”. Francesca è insegnante e vive a Tuenno, in una delle tante abitazioni del paese a stretto contatto coi campi di mele. Avverte il problema soprattutto da quando è diventata mamma. “Prima il disagio era minore. Ma ora, con due bambini, è dura accettare di dover starsene chiusi in casa. A volte mi sento prigioniera. Ho timore persino di stendere i panni sul poggiolo”.

“Spesso d’estate, mentre mangiamo fuori in veranda, ci tocca tornarcene dentro di corsa, col piatto in mano, perché arriva il coltivatore di turno a spargere veleni con l’atomizzatore. In primavera arrivo ad averne attorno a casa anche otto contemporaneamente…”. Raffaella non ha figli, ma il disagio lo avverte lo stesso. “Ci stanno togliendo la libertà in casa nostra. Viviamo con l’incubo che arrivi la primavera. È assurdo”.

Campi. Mele. Veleni. Disagio. Una sequenza da incubo che negli ultimi tempi ha cominciato a interessare un numero sempre maggiore di abitanti della bassa Val di Non. Come spesso capita in certe situazioni, è bastato un passo affondato con più decisione degli altri a provocare la valanga.

“Per molto tempo – confida Raffaella – io e mio marito abbiamo avuto la sensazione di essere gli unici a provare disagio. Ci chiedevamo come mai nessuno parlasse, nessuno facesse niente. Poi ho visto quella lettera, e ho tirato un sospiro di sollievo”.

“La lettera al Sindaco ho deciso di scriverla dopo l’ennesimo caso in cui, denunciata l’infrazione al Comune, la denuncia non aveva il seguito che doveva”. L’autrice della lettera è Francesca, il Comune quello di Tuenno. “Ho subito trovato una, due, tre, fino a 30 persone che hanno deciso di firmarla”.

È l’aprile 2007. Nella lettera i firmatari chiedono al Sindaco di far rispettare l’ordinanza comunale che regola l’uso dei fitofarmaci, soprattutto riguardo al divieto di usare gli atomizzatori a meno di 50 metri da case, orti, giardini.

Nel giro di pochi mesi, quelle 30 persone diventano 700. E firmano una nuova lettera, in cui questa volta manifestano preoccupazioni e rimostranze direttamente al Presidente della Provincia e agli Assessori provinciali competenti.

È il settembre 2007: nasce così il Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non. Per battersi contro l’uso irregolare ed eccessivo dei fitofarmaci, visti come una fonte di rischio per la salute, da limitare o eliminare in nome del “principio di precauzione” (vedi sotto “Precauzione, principio calpestato”).

Il Comitato non si limita a inviare lettere, ma inizia anche a produrre documentazione. Viene avviata dagli aderenti un’estesa azione di monitoraggio sull’uso dei fitofarmaci da parte degli agricoltori nonesi. In pochi giorni vengono fotografate centinaia di infrazioni alle varie ordinanze comunali (ne pubblichiamo alcune in queste pagine). Al tempo stesso si rileva, in apposito dossier prodotto nell’ottobre 2007, l’inefficacia dei controlli spettanti ai Comuni.

L’infrazione che più preoccupa – chiaramente documentata dalle fotografie – è il mancato rispetto della distanza minima dalle abitazioni a cui irrorare con l’atomizzatore. La paura è che, a causa del cosiddetto “effetto-deriva”, le varie sostanze chimiche usate dagli agricoltori finiscano negli orti, nei giardini, sui poggioli. Forse anche dentro le case.

Per levarsi ogni dubbio in proposito, il Comitato commissiona analisi chimiche a laboratori accreditati. Le indagini più significative sono due. Una viene condotta su una abitazione di Tres nell’arco di un anno, da settembre 2007 a settembre 2008. L’altra viene condotta in più comuni della valle nell’arco di un solo giorno, il 24 giugno 2008.

Nell’abitazione di Tres vengono riscontrati residui di prodotti fitosanitari prelevati fino anche a 70 metri di distanza dai campi: nell’erba del giardino, sulla verdura dell’orto, nella polvere dei poggioli. Persino in sala da pranzo. Per chi abita in quella casa, non c’è libertà di vivere senza venire a contatto con le sostanze chimiche usate dagli agricoltori.

Ancor più rilevanti sono i risultati della seconda indagine. La giornata del 24 giugno 2008 arriva dopo giorni di pioggia prolungata, che ha dilavato suolo e vegetali e ha impedito l’effettuazione dei trattamenti fitosanitari: gli ultimi sono avvenuti una ventina di giorni prima. Qualcuno del Comitato propone di rinviare i prelievi, ma alla fine si decide di rischiare. Spormaggiore, Flavon, Tuenno, Tassullo, Cles, Tres e Sfruz. Giardini, finestre, davanzali, poggioli, orti. Non solo abitazioni private: si fanno prelievi anche dalla siepe del parco di una scuola materna a Tassullo e dall’erba di un parco confinante con un asilo nido a Cles. Il risultato lascia increduli i committenti delle analisi: dei 12 campioni analizzati, sono ben 10 quelli che risultano contaminati dai principi attivi dei fitofarmaci.


Richieste precise, risposte timide


Ciò che segue è storia recente. Sulla scorta di quanto documentato, il Comitato ha chiesto a voce ancor più alta che al problema si trovi finalmente un rimedio. Gli amministratori a vario titolo coinvolti non hanno più potuto ignorare la questione.

Promosso dal Distretto Sanitario Val di Non, è stato costituito nel 2008 un gruppo di lavoro interistituzionale incaricato di affrontare il problema tenendo conto del punto di vista di tutti i soggetti coinvolti. L’obiettivo principale è quello di arrivare alla definizione di un regolamento comprensoriale sull’uso dei fitofarmaci che sappia uniformare le regole, ora sparpagliate nelle numerose ordinanze dei singoli Comuni (una ventina), spesso anche molto diverse tra loro nei contenuti.

Le richieste del Comitato sono precise. La più incisiva prevede di vietare l’uso dell’atomizzatore a meno di 100 metri da abitazioni e campi adibiti a biologico. Sul lato dei controlli, il Comitato propone di renderli più sistematici e severi, e chiede che ne vengano svolti a campione almeno 10 per ogni trattamento. Si richiede inoltre di inasprire le sanzioni ai trasgressori, rilevando come il coltivatore rischi 3.000 € di multa se non usa i fitofarmaci quando vengono prescritti dal quaderno di campagna, e solo 500 €, nel peggiore dei casi, se li usa contravvenendo alle ordinanze comunali. In Val di Non, osserva il Comitato, un melo vale oggi più di una persona.

Queste richieste verranno accolte? Abbiamo interpellato in proposito alcuni degli amministratori coinvolti: i Sindaci di Tuenno e Nanno, l’Assessore all’ambiente di Cles e il Presidente del Comprensorio. Nessuno di loro ha potuto negare che vengano commesse infrazioni alle ordinanze, ma tutti le imputano a una esigua minoranza di coltivatori. Ci è sembrato che per gli amministratori siano già sufficienti le regole contenute oggi nelle varie ordinanze, e che non sia necessario renderle tanto più stringenti: i 100 metri di distanza chiesti dal Comitato sono considerati eccessivi. E in ogni caso, ci è stato detto, non si può ridurre tutto a una questione di metri. Piuttosto, si deve puntare a rafforzare i controlli. Ma nemmeno in tal caso si concorda con le indicazioni del Comitato: chi si è sbilanciato ci ha detto di puntare a un controllo al mese. Segno che oggi non si arriva nemmeno a quello. E le sanzioni? Sono considerate l’extrema ratio: “Meglio puntare sull’educazione e la sensibilizzazione degli agricoltori”. Che però, evidentemente, fino ad ora non sono bastate.

Il Comitato, poi, non si limita alle richieste di interventi immediati alle amministrazioni locali. Si rivolge anche alla Provincia, per interventi di medio periodo. La petizione inviata a Dellai nel settembre 2007 – nel frattempo re-inviatagli sottoscritta da altre 300 persone – chiede uno studio aggiornato sullo stato dell’ambiente in Val di Non, con riferimento agli impatti dei fitofarmaci; uno studio aggiornato sullo stato di salute della popolazione nonesa esposta, con riferimento alle patologie legate all’uso dei fitofarmaci, soprattutto quelle che colpiscono i bambini; una distribuzione dei finanziamenti che premi, ben più di quanto accada oggi, le aziende agricole che non impiegano sostanze chimiche.

La Provincia ha parzialmente risposto alle richieste di monitoraggio ambientale e sanitario con la Delibera di Giunta 1154 del 2008, che ha definito un piano di controllo pubblico sugli usi e gli impatti dei fitofarmaci nelle zone di maggior uso. È stato poi affidato di recente all’Azienda Sanitaria uno studio sanitario specifico per la Val di Non, del quale però il Comitato ha già messo in discussione l’impostazione (vedi sotto “Precauzione, principio calpestato”). Di maggiori incentivi all’agricoltura biologica, invece, per ora non se ne parla.


“I residui nelle case? Accettabili…”


Sembra in ogni caso evidente che l’azione amministrativa, da sola, non possa bastare a risolvere il problema. Servirebbe la collaborazione da parte degli agricoltori. E agricoltori, in Val di Non, significa Melinda.

Costituito nel 1989, il consorzio Melinda associa 16 cooperative, per un totale di 5200 soci coltivatori. La produzione annua è pari a circa 300.000 tonnellate di mele: il 60% della produzione trentina, il 10% di quella nazionale e il 5% di quella europea. Con un fatturato 2007 di oltre 187 milioni di € (ossia 73 centesimi per ogni kg prodotto), Melinda conferma di essere una potenza del settore. Per la quale ora un piccolo Comitato di cittadini rischia di diventare un problema serio, come nella storia di Davide contro Golia.

Abbiamo provato a interpellare il direttore generale di Melinda, Luca Granata, che però ha declinato l’intervista “girandoci” al direttore di APOT – l’associazione dei produttori ortofrutticoli trentini della quale Melinda fa parte – “persona ben più qualificata di me a rilasciare interviste su un tema di così elevata specificità tecnica”. Granata ha voluto comunque puntualizzare: “Il regolamento del nostro consorzio prevede sanzioni anche molto pesanti in caso di mancato rispetto del protocollo disciplinare per la produzione integrata”.

Come si legge sul sito web di Melinda, “le tecniche di produzione integrata sono finalizzate alla drastica riduzione dei trattamenti chimici e alla sostituzione di questi con ritmi biologici naturali”. Peccato che anche riguardo al protocollo per la lotta integrata il Comitato non abbia mancato di rilevare e documentare, come per le ordinanze comunali, numerose infrazioni: scarsa salvaguardia di muri a secco, arbusti e cespugli; raro impiego di varietà resistenti alla ticchiolatura (una delle più gravi malattie del melo) e del metodo della confusione sessuale (tecnica naturale di difesa dagli insetti); uso non conforme degli erbicidi.

Abbiamo seguito il suggerimento di Granata, interpellando in proposito il direttore di APOT, Alessandro Dalpiaz. Il quale rispedisce al mittente le accuse che riguardano il mancato rispetto del disciplinare per la lotta integrata, sostenendo che le regole previste dal disciplinare sono osservate dalla stragrande maggioranza degli agricoltori.

Nonostante la lotta integrata, però, i residui dei principi attivi arrivano fin dentro le case, come rilevato dalle analisi commissionate dal Comitato.

“La deriva è un fenomeno gestibile ma ineliminabile. Prove condotte scientificamente da istituzioni specializzate dimostrano che i trattamenti eseguiti correttamente in condizioni normali consentono di ridurre di un 80% la deriva anche a soli 20 metri”.

Sì, ma i residui trovati dalle analisi del Comitato non sono un’invenzione.

“Il residuo eventualmente rilevato, quando entro i limiti di legge, è da ritenere più che accettabile per la popolazione. Il residuo massimo ammesso è infatti un limite legale che, anche se superato, non determina rischi particolari per la salute”.

Su questo la comunità scientifica non è affatto concorde: ci sono medici che, in nome del principio di precauzione, chiedono di non usare affatto sostanze che contengono determinati principi attivi, tra cui alcuni di quelli trovati dalle analisi del Comitato.

“Le sostanze attive impiegate dagli agricoltori in Val di Non sono quelle autorizzate dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, dalla Direzione Generale del Consumatore della Commissione Europea e dal Ministero per la Salute italiano. APOT non può che ritenere corrette le valutazioni fatte dalle istituzioni preposte”.

Le posizioni delle parti in campo, come si vede, sono parecchio distanti. Come ci ha detto il dottor Livio Dolzani, medico di base in Val di Non e membro del Comitato per il Diritto alla Salute, “da parte non solo degli agricoltori ma addirittura delle istituzioni sanitarie il problema legato all’impatto dei fitofarmaci sui residenti è tuttora negato. Fino a che ci sarà questo atteggiamento, sarà difficile uscire dall’impasse”.

E fino a che non si uscirà dall’impasse, Francesca, Raffaella e centinaia di altre persone come loro continueranno a scegliere di restare chiuse in casa, a convivere col loro disagio. E questo, al di là di ogni altra considerazione, non è certo un gran risultato. Per nessuno.


Precauzione, principio calpestato


“Se è ancora valido il principio di precauzione certi fitofarmaci andrebbero banditi senza perdere altro tempo”. Lo sostiene Livio Dolzani, medico di base della Val di Non e membro del Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non.

Il principio di precauzione, adottato dall’Unione Europea, prevede l’eliminazione della fonte del rischio nei casi in cui si evidenzino effetti negativi sull'ambiente o sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante, ma i dati disponibili non consentano una valutazione completa del rischio stesso. Il rischio legato all’esposizione ad alcuni principi attivi contenuti nei fitofarmaci di sintesi rientra in questa tipologia di situazione. Per fare solo l’esempio più eclatante, il clorpirifos, principio attivo trovato in 3 dei 12 campioni fatti analizzare dal Comitato con l’indagine del 24 giugno 2008, è messo da alcuni studi in correlazione con casi di microcefalia o di malformazioni dell’apparato genitale, soprattutto nei bambini.

“Per determinati principi attivi come il clorpirifos – aggiunge Roberto Cappelletti dell’Associazione Medici per l’Ambiente – ci sono già tutti i presupposti di applicabilità del principio di precauzione. La posizione di APOT in proposito è quella degli struzzi”.

L’Azienda Sanitaria ha avviato quest’anno uno studio sull’esposizione dei residenti nonesi proprio al clorpirifos. Verranno effettuate analisi su campioni prelevati all’interno delle abitazioni e sui campioni d’urina di 25 persone tra i 20 e i 60 anni residenti nei comuni di Cles, Tuenno, Nanno e Tassullo. I risultati si conosceranno a giugno. “Uno studio epidemiologico già effettuato lo scorso anno dall’Azienda Sanitaria su scala provinciale – ci dice l’Assessore Provinciale alla Salute Ugo Rossi – non ha evidenziato particolari problemi di salute connessi con il vivere in aree agricole, Val di Non inclusa. Ciononostante, con questo nuovo studio specifico vogliamo dare un segnale di attenzione alle richieste espresse dal Comitato”.

Che però ha già provveduto a criticare l’impostazione dello studio: “Ci si concentra – osserva Dolzani – su una sola sostanza, senza tener conto che è il multiresiduo ad essere indiziato come causa dei danni maggiori. E soprattutto non si includono i bambini, ovvero la fascia potenzialmente più esposta. Non mi stupirei se alla fine l’esito porterà a concludere che non c’è nulla di cui preoccuparsi”.


Fitofarmaci in Trentino


In Trentino, nel 2006, sono stati venduti 54,96 kg di sostanze attive contenute nei fitofarmaci (+ 6.79% sul 2005), gran parte delle quali di sintesi chimica. Il dato è inferiore solo a quello del Sudtirolo (58,81). La terza regione, la Liguria, segue con ampio distacco (20,87). La media nazionale è di 9,14 kg.

Sempre nel 2006, l’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente ha cercato sostanze attive su 77 campioni di frutta e verdura (41 di origine trentina). Solo 29 sono stati trovati privi di residui. Tra i campioni trentini, solo 13 su 41. Per un solo campione, tuttavia, il residuo superava il limite di legge. Dei 24 campioni di mele analizzati (tutti di origine trentina), solo 5 sono risultati privi di residui. Anche se in nessun caso sopra i limiti di legge, in 4 campioni sono state rilevate 3 sostanze, in 6 2, negli altri 9 una.

Situazione migliore per quanto riguarda le analisi delle acque: su 259 campioni analizzati nel 2006, solo 9 recavano tracce di residui, il 3,5% (contro una media nazionale del 20,4%).


“La chimica in agricoltura? Una follia termodinamica”


“Una follia termodinamica”. Lo dice a proposito della chimica in agricoltura Enzo Tiezzi, professore ordinario di Chimica fisica all’Università di Siena, autore di una ventina di libri tradotti in numerose lingue (l’ultimo è “La soglia della sostenibilità”, Donzelli 2007). “I fitofarmaci sono come la droga: più ne uso, più me ne servono. E il terreno coltivato in maniera intensiva si impoverisce sempre di più”.

Con la sua équipe, il professore ha calcolato, con uno studio all’avanguardia, quanti ettari di terreno servono per produrre una bottiglia di vino tradizionale e quanti per una di vino biologico: 14 nel primo caso, metà nel secondo. Quegli ettari si chiamano “impronta ecologica”. “Possiamo calcolarla anche per le mele – spiega il professore – e se qualcuno, magari la Provincia di Trento, mettesse a disposizione i fondi, lo faremmo ben volentieri. Il risultato non sarebbe tanto diverso da quanto rilevato per il vino. L’agricoltura biologica, al contrario di quello che si pensa, dà prodotti meno costosi, perché nel complesso utilizza meno risorse. Solo che la mentalità industrialista affermatasi in agricoltura e la scarsa cultura del consumatore medio fanno sì che i prezzi dei prodotti sullo scaffale non riflettano affatto questa situazione, ma anzi la ribaltino”.

Sul punto la posizione di APOT è chiara, e molto diversa: “APOT – c’informa il suo direttore – non condivide le iniziative tendenti ad incoraggiare il passaggio al biologico come tecnica risolutiva dei problemi ambientali e di salubrità del prodotto”.

I produttori di mele bio, in Trentino e in particolare in Val di Non, restano così una esigua minoranza. Ma poco più a nord, in Sudtirolo, i “grandi” della produzione di mele si comportano in tutt’altro modo: Bio Südtirol produce ogni anno 20mila tonnellate di mele, e anche Bio Val Venosta nel 2008 è arrivata alla stessa quota (+21% sul 2007). A quando il salto anche per Melinda?


marco.niro@questotrentino.it


Questotrentino n° 2, febbraio 2009

www.questotrentino.it

7.2.09

Report di "Coltivare condividendo"

Una serata molto partecipata, intensa e propositiva quella che si è tenuta martedì 3 febbraio presso il centro giovani a Farra di Feltre.
Una cinquantina di persone giunta da diverse parti del bellunese, del feltrino, del primiero e perfino da Trento e Folgaria per proseguire quel cammino (iniziato circa 1 mese fa) di condivisione di conoscenze, saperi, pratiche... per dar vita a momenti di dialogo, proposta e confronto.
Molta la “carne al fuoco” (e mi scuseranno i vegetariani per questa frase) anche se sin da subito la discussione si è concentrata sulla situazione di Cesiomaggiore dove sta procedendo a ritmi serrati l’impianto di 20 ettari a meleto intensivo.
L’arrivo di questo tipo di “agricoltura industriale” marchiata “Val di Non” (un'agricoltura che richiede massicci trattamenti chimici e favorisce la monocultura) è l’antitesi della tipica agricoltura che in questi ultimi anni ha avuto un notevole sviluppo a Cesiomaggiore ma anche in molti altri comuni bellunesi.
Un'agricoltura caratterizzata da varietà autoctone, dal biologico, dal basso impatto ambientale, dalle autoproduzioni. Sin da subito si è deciso che una delle priorità è di diffondere conoscenza e soprattutto la consapevolezza che il bellunese non è una zona depressa che ha bisogno di essere “sviluppata” da questo devastante tipo di agricoltura industriale. Ma che è anche molto importante mantenere viva la rete di collegamento tra diverse realtà che ha costruito la risposta comune data al presidente della Coldiretti Trentina Calliari.
Una rete che partendo da Cesiomaggiore e passando per Fonzaso, la Valsugana e Trento giunge in Val di Non, ma che puo’ (anzi deve) estendersi anche oltre.
Si è pertanto deciso di continuare questa collaborazione sinergica sia per organizzare una serie di serate pubbliche che oltre a Cesiomaggiore toccheranno (grazie alla collaborazione di gruppi locali) anche Fonzaso, Lentiai, Trento, e sia per costruire dei documenti, dei dossier su come è attualmente la situazione nel feltrino e come è in Val di Non. I
Inviteremo anche studenti, ricercatori, esperti alla stesura di questi documenti-dossier, convinti che troveranno ampio spazio in network nazionali e internazionali che hanno già manifestato notevole interesse per la questione. A ciò non mancheremo di aggiungere anche altre voci che parleranno di alimentazione, di sostenibilità, di potenzialità del territorio e dell’agricoltura bellunese. Un coro fatto di tante conoscenze, saperi, esperienze di cui è ricchissimo questa vasto territorio alpino.
Ci si è soffermati a lungo anche sulla questione autoproduzione. Autoproduzione è condivisione di tecniche di coltivazione, di sementi (vero patrimonio spesso ignorato), di contatti e metodologie. Ma è anche il riuscire ad autoprodurre dossier, il fare (tutti assieme) vere e reali “valutazioni di impatto ambientale e sociale” di certi “ecomostri” che vengono (o vorrebbero essere) imposti al territorio che ci ospita e a noi tutti.
Sbugiardando tecnici, burocrati, funzionari che reputano non impattanti impianti di risalita che sfregiano paesaggi, parchi naturali e riserve integrali. Molto interessante il lavoro fatto da Officina Ambiente e dai comitati trentini sulla V.I.A. (valutazione d'impatto ambientale) in quella provincia che noi bellunesi pensiamo sia l’eden mentre è ben altro.
La serata ha palesato la volontà di molti di mettersi in gioco, di offrire le loro conoscenze, competenze, contatti per costruire tanti spazi di discussione, informazione, progettualità, capaci di toccare le tematiche più svariate ma inevitabilmente legate le une alle altre.
Un discutere e proporre a più “livelli”, per parlare di “fasol bonel de fondaso”, di “distretto del biologico”, di “V.I.A.”, di sovescio, di creazione di una rete di condivisione e commercializzazione di semi autoctoni, di orti scolastici, di pannelli solari, di aree industriali, di cave e di tanto altro ancora, il tutto senza avere la pretesa di avere la verità o la soluzione migliore in tasca, ma con l’umiltà di chi vuole conoscere a fondo e di offrire le sue conoscenze agli altri, convinti che non ci interessa vincere ma piuttosto convincere, che non ci interessa inseguire l’autoreferenzialità né porre (imporre) marchi, visioni o sigle ma crear sempre più legami tra conoscenze e sensibilità consentendo loro di esprimersi al meglio.
Nuovo appuntamento fra 15 giorni, stessa ora e stesso posto con già “quasi pronto” il programma delle serate di marzo e l’auspicio che sempre nuove voci, sensibilità, colori si aggiungano a questo cammino che solcando bellunese e trentino ci fa sentire parte dell’immensa, stupenda regione alpina.

Tiziano - Comitato Prà Gras Fonzaso
www.pragras.blogspot.com

Appello del Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non

A tutti i Comitati,

Mi chiamo Rossi Virgilio e faccio parte del Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non.
Probabilmente qualcuno di Voi mi ha già conosciuto; chi telematicamente, visto il continuo scambio di mail sui temi più svariati che ognuno di noi, come Comitato, sta portando avanti; chi di persona in occasione dei vari incontri su tematiche ambientali-salutistiche e conosce la tematica del nostro Comitato.
Il nostro Comitato è nato quasi due anni fa in Val di Non nella provincia di Trento. Il nostro obiettivo consiste nell’informare la cittadinanza (convegni a tema) delle conseguenze negative dei fitofarmaci, usati nell’agricoltura frutticola intensiva della valle, sulla salute dei cittadini e sollecitare le Istituzioni pubbliche (Comuni, Provincia) ad adottare tutti i necessari strumenti atti a tutelarla.
Fondamentale supporto per la nostra attività è la ricerca, il monitoraggio delle sostanze nocive, ma soprattutto il rilevamento della contaminazione sulla proprietà privata e pubblica (abitazioni, giardini, orti...ecc) e nel corpo umano.
Per ottenere ciò necessitano analisi specifiche di tipo ambientale (polvere) e biologiche (urina, sangue umano) che pur avendo un costo unitario relativamente basso, diventano cifre importanti (qualche migliaia di Euro) nel caso di campionamenti rappresentativi di generale contaminazione.
Finora abbiamo svolto delle analisi ambientali dalle quali è emerso in modo chiaro e incontestabile la contaminazione da pesticidi delle zone “non bersaglio” (frutteti).
La Provincia di Trento ed in particolare i Sindaci, rimanendo impassibili alla conoscenza dei risultati, non hanno in pratica adottato nessun concreto provvedimento, ed addirittura è stato chiesto all’ Azienda Sanitaria di Trento di effettuare analisi su matrice biologica.
Ovviamente si vuole perdere tempo, ma soprattutto quello che ci preoccupa è che i forti interessi
economici locali siano privilegiati, rispetto alla salute pubblica, con qualsiasi “mezzo”. Il rischio è che dalle analisi emerga una situazione assolutamente non preoccupante per la salute pubblica chiudendo così in bellezza la problematica all’occhio dell’opinione pubblica (giornali, media..ecc).
Inoltre essendo questi studi-analisi documento di riferimento per eventuali future analoghe situazioni costituirebbero un importante precedente a favore della “non verità”. Esempi di tale esito, sicuramente non mancano in Italia.
L’unico modo per evitare ciò, consiste nell’effettuare anche noi le medesime analisi, ma che riflettano la reale situazione. Il problema è il costo. Abbiamo contattato diversi specifici Laboratori ottenendo preventivi che variano dai 10.000 ai 15.000 euro. I
Il Comitato è comunque intenzionato a procedere, sarebbe assurdo mollare proprio adesso. Purtroppo le nostre risorse finanziarie sono modeste e pur auto-finanziandoci non arriveremo mai a tali cifre, ci siamo anche rivolti alle locali banche i cui consigli di amministrazione sono però rappresentati da operatori agricoli o amministratori delle lobbies agricoli.
Abbiamo pensato alle medesime realtà che hanno pressoché i nostri problemi; che lottano ogni giorno per ottenere quello che dovrebbe essere un diritto: il diritto alla salute, al mantenimento di un ambiente salubre e vivibile; che potrebbero indirettamente beneficiare positivamente dell’esito di queste analisi anche per la loro zona, per la loro gente.
Abbiamo pensato a Voi ad un vostro aiuto economico.
A questo punto mi fermo in quanto preferisco contattarVi nei prossimi giorni. Allo scopo Vi chiedo di comunicarmi un vostro recapito telefonico con cortese sollecitudine.
RingraziandoVi per aver letto questa lettera.
Un caloroso saluto a Tutti ed a risentirci.

Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non

Info:
rossi.virgilio@alice.it
non-pesticidi.blogspot.com/

3.2.09

Prodotti trentini contro la crisi?

di Milo Tamanini, Officina Ambiente

Consumate prodotti trentini contro la crisi, ci dice Lorenzo Dellai, proprio lui.

La filiera corta è effettivamente una cosa seria, a guadagnarci sarebbero sia i consumatori, ma sopratutto i contadini e gli allevatori. In più sono da considerare anche tutti i benefici per l'ambiente di cui si può dire tanto. Ma il punto non è questo.

Quelli che il Presidente chiama "prodotti trentini" sono proprio ciò che ci sta portando alla crisi.

Sono la "tipica" (?) mozzarella di Fiavè ed il latte che probabilmente diverrà un sottoprodotto del liquame. Prodotto trentino è quello di una cooperativa come Melinda che, come è stato dimostrato, fà arrivare i pesticidi direttamente nelle nostre case e nei parchi dove giocano i bambini. Lo sono anche le fragole di Sant'Orsola che arrivano nei sacchi col terreno direttamente dall'Olanda e col Trentino hanno poco a che vedere se non il solo contatto con l'aria. Per non parlare della fonte dell'acqua Pejo svenduta ad una multinazionale mostruosa qual'è la Nestlè.

Questi prodotti industriali hanno gli stessi standard che si possono trovare in qualunque altra industria del mondo.

Altra cosa è parlare in termini veri (o innovativi per Dellai?) di filiera corta, c'è lo splendido mercato contadino del sabato in Piazza Dante; e vera filiera corta è quella del latte crudo che è anche un vero motivo di orgoglio per le montagne trentine.

Per nostra fortuna, nonostante la crisi, ci sono spunti interessanti: poche settimane fa un comitato ragionava sui vecchi Caseifici turnari in chiave moderna, oppure possiamo apprezzare l'iniziativa del sindaco di Feltre che ha messo a disposizione terreni comunali per le auto-produzioni biologiche. A quando proposte serie da Dellai?

Il fondo di A22 per la nuova ferrovia ad alta capacità del Brennero. Soldi incerti per un'opera inutile.

di Claudio Campedelli e Gianfranco Poliandri


Dopo due mesi dal riemergere della questione, tenuta anche troppo riservata dai vertici provinciali, da metà gennaio la stampa locale e nazionale [1] ha cominciato a riportare: I) le perplessità del Ministero delle Infrastrutture sull'impiego del fondo accantonato dalla Società A22, con circa il 50% degli utili dal 1998 al 2008 (quasi 400 milioni), per contribuire a finanziare la galleria di base del Brennero; II) le risposte critiche delle Province autonome di Bolzano e Trento.

Ma non si è occupata del problema centrale che c'è dietro questo niente affatto imprevisto incidente di percorso.

Qualche dato, prima di tutto, per riassumere la questione di partenza.

Secondo il Ministero:

a) la Società Autobrennero in quanto SpA mista con azionariato pubblico-privato, non potrebbe entrare nel capitale della Società BBT-Se incaricata di realizzare la galleria [2] (attraverso la TFB Holding, Tunnel Ferroviario del Brennero Società Finanziaria di partecipazione, che oggi ne detiene il 50% di parte italiana [3]);

b) nonostante una previsione della legge finanziaria n. 449/1997 (articolo 55, comma 13 [4]), la A22 non potrebbe neppure finanziare direttamente la galleria con il fondo di cui si tratta (da versare nel momento opportuno), sia perché è mancato l'accordo preventivo di tutti i soci di A22 sia perché il fondo continua ad avere natura privatistica. Del resto il piano economico finanziario della A22, del 22.6.1998, che prevedeva il finanziamento trasversale ma pretendeva contemporaneamente la proroga della concessione senza gara fino al 2060 non è stato mai approvato - come invece prescriveva la legge n. 449/1997 - a causa sia del contrasto con le norme europee che vietano l'accantonamento di utili alle società concessionarie autostradali sia del contrasto con la Direttiva interministeriale Lavori Pubblici e Tesoro del 20.10.1998, n. 283;

c) il fondo accantonato potrebbe essere dunque annullato con una norma apposita ed il relativo ammontare, dopo il pagamento della tassa IRES per la revoca dell'esenzione fiscale, essere distribuito tra tutti gli azionisti in proporzione delle rispettive quote. Ai soli soci pubblici interessati per territorio resterebbe (dopo un accordo di programma) la facoltà di reinvestire nell'opera le vecchie quote e i futuri dividendi, ed eventualmente di acquisire una partecipazione maggioritaria in BBT-Se;

d) in alternativa, il fondo potrebbe essere scorporato dal capitale sociale di A22 e costituire il capitale di una nuova società solo pubblica che dovrebbe rimborsare le quote degli azionisti privati e potrebbe entrare nel capitale sociale della BBT-Se sempre attraverso TFB Holding.

Le Province di Bolzano e Trento confermano però l'appoggio all'ipotesi del finanziamento trasversale [5]. Bolzano non pare respingere totalmente la prima delle soluzioni suggerite dal Ministero, mentre resta contraria alla seconda. Trento, invece, continua a pensare che l’A22 possa finanziare direttamente l’opera.

Non ci dilunghiamo sulle motivazioni politiche o sui conflitti di interesse sottesi dall'intervento ministeriale, né sulla "sorpresa" degli organi provinciali davanti a una questione già nota in tutti i suoi aspetti da almeno 8 anni [6]. Né pensiamo che il Ministero voglia proporre qualche maggiore cautela su un programma di opere che sono in moltissimi a considerare devastante per l'ambiente, costosissimo e soprattutto fuori linea con l'obiettivo propagandato, che sarebbe l'eliminazione o la forte riduzione del traffico pesante sulla A22. Non abbiamo quindi troppi dubbi sul fatto che una soluzione sarà trovata [7] e che l'Autobrennero in un modo o nell'altro potrà impegnarsi per finanziare la parte italiana della nuova linea fino a un totale di circa 3 miliardi di Euro.

Vorremmo portare ora l'attenzione su alcuni aspetti fondamentali che stanno dietro le questioni sollevate dalla nota ministeriale.

L'affanno con cui le Province autonome e l'Autobrennero dichiarano superabili tutti i problemi nasconde preoccupazioni molto serie sull'incertezza del quadro economico-finanziario complessivo del progetto. Preoccupazioni che, con significato opposto, chi è contrario nutre già da tempo.

Si tratta prima di tutto di capire quali sono le risorse effettivamente disponibili. Queste oggi non ammontano per l'Italia a più del 7%, circa la metà provenienti dalla UE a condizioni molto vincolanti, mentre il restante 93% sono impegni vaghi [8]: e ciò a fronte di costi totali che, sempre per l'Italia, sono stimati (tunnel di base e tratte da Verona a Fortezza, a prezzi 2007) dai promotori intorno ai 12 miliardi di Euro e da esperti indipendenti in almeno 25 miliardi di Euro per le sole infrastrutture.

Si tratta anche di capire qual'è la reale composizione dei costi indicati dai promotori: non si capisce se veramente comprendono tutti gli oneri finanziari (secondo la Corte dei Conti austriaca la risposta è no), se computano i costi generali di gestione, le opere compensative e derivate, i nuovi materiali rotabili necessari, ecc. E' evidente che se fossero stime per le sole infrastrutture a terra ed aeree i costi finali sarebbero molto maggiori.

Si tratta infine di valutare le conseguenze dell'attuale indeterminatezza del modello generale di ripartizione degli oneri di finanziamento [9]. Per quello che è dato conoscere (le informazioni su questo aspetto sono tenute pervicacemente nascoste): a) le tratte di accesso Sud sarebbero a completo carico dell'Italia (salvo un modestissimo contributo UE per la progettazione); b) il tunnel di base sarebbe per un 30% a carico UE [10], per 40% a carico di ciascuno dei due Stati in parti uguali, per un 30% a carico di privati (10% da società autostradali e 20% da capitali di rischio). Ma come insegna l'esperienza di tutte le realizzazioni TAV in Italia, il c.d. capitale privato di rischio o è apparenza e deve essere sostituito da risorse pubbliche oppure se si impegna pretende solide garanzie ancora a spese pubbliche. La questione ha non poco rilievo sugli esiti finali del progetto e sulla quantità di soldi che - se qualcosa andasse come al solito - sarebbero come sempre richiesti ai contribuenti italiani.

Ancora in tema di finanziamenti, la A22 in dieci anni ha accantonato poco meno di 400 milioni. Alle stesse condizioni (non sono ipotizzabili accelerazioni dell'accantonamento, soprattutto ora che si profila una diminuzione del traffico merci) ci vorranno 65 anni per mettere insieme gli altri 2,6 miliardi garantiti. Ma non si dovevano finire il tunnel di base intorno al 2025 e le tratte di accesso Sud tra il 2030 e il 2040? Queste opere non termineranno mai oppure mancheranno fondi essenziali oppure bisognerà acquisirli sul mercato finanziario, e con quali oneri aggiuntivi e a carico di chi?

Facciamo queste critiche non perché teniamo ad una valida pianificazione finanziaria dell'opera ma perché ci importa sottolineare quanto è forte la volontà dei promotori nel procedere subito il più in fretta possibile anche in assenza di certezze credibili sui finanziamenti per il medio-lungo periodo e, di conseguenza, anche scontando la possibilità che i lavori non saranno effettivamente conclusi: con tanti saluti alla pretesa utilità e razionalità di un progetto che in ogni occasione viene proposto come un insieme di parti inseparabili (tunnel di base, tratte di accesso austriache e italiane).

Si può infine toccare la contraddizione principale di tutta l'opera. Si sa che una delle più gravi emergenze delle valli dell'Adige e dell'Isarco sono le minacce alla salute dei residenti portate dal traffico pesante sulla A22. Questo flusso potrebbe essere immediatamente ridotto in modo significativo con tariffe disincentivanti e con politiche gestionali efficaci per la gomma e la rotaia, imponendogli anche di distribuirsi più ragionevolmente su tutti i valichi transalpini senza deviare per profittare dei prezzi bassi praticati sulla nostra autostrada. Ma se Autobrennero SpA deve finanziare la nuova linea ferroviaria con parte dei propri utili di esercizio come si potrà favorire fin d'ora il contenimento e lo spostamento di un traffico pesante che è circa il 35% del traffico totale della A22 e che contribuisce in modo assai significativo alla formazione proprio di quegli utili? Ci assicurano che la nuova linea ferroviaria del Brennero risolverà in futuro il problema attuale del traffico merci sulla A22; un problema che quindi non viene affrontato ora ma giustifica il progetto della nuova linea ed anzi costituisce una base per finanziarlo. Che quest'opera prescinda in buona parte dalla finalità dichiarata e l'A22 debba restare per sempre una macchina da soldi?


Claudio Campedelli, Gianfranco Poliandri, 2.2.2009



[1] Cfr. "Corriere dell'Alto Adige", 15.1.2009, Traforo, il tesoretto di A22 torni ai soci; "l'Adige", 17.1.2009, Il governo: l'A22 resti fuori dal tunnel; "l'Adige", 17.1.2009, Ma la società può chiedere i danni; "Trentino", 17.1.2009, Vogliamo gestire il tunnel del nostro futuro. Il ministero: A22 non può finanziare BBT. Trento e Bolzano difendono la competenza; "l'Adige", 18.1.2009, Nuova ferrovia, a rischio 500 milioni; "Alto Adige", 19.1.2009, Fondi A22 per l’Eurotunnel. Vertice Matteoli-van Miert sul finanziamento del Bbt; "l'Adige", 19.1.2009, Brennero. I senatori trentini Santini e Divina si schierano con il Ministro sul «tesoretto». A22, il centrodestra con Matteoli; "l'Adige", 20.1.2009, Infracis, il n. 2 degli azionisti: priorità tunnel; "Corriere dell'Alto Adige", 20.1.2009, I fondi A22. Eurotunnel SOS Regione; "Corriere dell'Alto Adige", 21.1.2009, Tesoretto A22, giuristi in campo; "Corriere dell'Alto Adige" e "Corriere del Trentino", 21.1.2009, lettera di Dellai, Il tunnel è strategico. Ma ognuno adesso faccia la sua parte; "l'Adige", 22.1.2009, Durni: uniti su energia e tunnel; "Il Sole 24 Ore", 23.1.2009, L'Autobrennero congela il tesoretto di 550 milioni; "Corriere dell'Alto Adige", 23.1.2009, Bbt, parla Schmid, a Roma all'epoca della legge sull'accantonamento. «Tunnel, non capisco il ministero»; "l'Adige", 24.1.2009, Traffico -8%. Gramm: più treni; "Corriere dell'Alto Adige", 25.1.2009, Facchin: tunnel, si faccia chiarezza.

[2] Questa posizione sarebbe avallata dalla stessa BBT-Se, che sembrerebbe volere soltanto soci pubblici.

[3] La TFB Holding è poi controllata da RFI (83%), dalle Province di Bolzano e Trento (ciascuna con il 6%) e dalla Provincia di Verona (5%).

[4] Che ha sviluppato e attualizzato la norma preparatoria contenuta nella legge n. 662/1996 (articolo 2, comma 193).

[5] Contro gli argomenti del Ministero starebbe che: 1) il problema degli accantonamenti sarebbe stato troppo semplificato trascurando che quelli successivi al 2014 servirebbero a finanziare anche le tratte di accesso Sud alla galleria di base; 2) una convenzione tra A22 e ANAS in cui era prevista la scadenza della concessione al 31.12.2005 ha anticipato il piano 50ennale non approvato ed ha previsto il diritto di A22 a partecipare alla società incaricata di realizzare e gestire la galleria.

[6] Alcuni documenti fanno capire che le odierne perplessità del Ministero non dovrebbero affatto costituire una novità per la classe politica regionale. Cfr. per esempio Camera dei Deputati, Resoconto stenografico dell'Assemblea, Seduta n. 581 del 14/9/1999 e Seduta n. 679 del 23/2/2000, Interventi infrastrutturali per il valico del Brennero; da quest'ultima (camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed679/s190r.htm) risulta espressamente che "la notevole portata di tutte le problematiche" non ha consentito al Governo "di procedere nei termini previsti dalla legge n. 449 del 1997". Il problema peraltro era stato sollevato di nuovo nel dicembre 2008 anche dagli organi della A22, per rinnovare la proposta di uno scambio tra il contributo all'opera e la proroga della concessione dal 2015 al 2065, con relativo ingresso nella futura società che gestirebbe il tunnel incassando i pedaggi; cfr. "Corriere dell'Alto Adige", 10.12.2008, A22 non obbligata a dare soldi.

[7] Se così però non fosse, va ben compreso che, una volta entrati nelle casse degli azionisti, un bel po' dei fondi prima teoricamente destinati alla galleria del Brennero prenderebbero tutt'altra strada: la Provincia e il Comune di Verona, le Province, i Comuni e le Camere di Commercio di Emilia-Romagna e Lombardia, l'Autostrada BS-PD, per fermarci agli azionisti importanti, avrebbero altro da fare che finanziare la nuova galleria del Brennero. A farlo resterebbero soprattutto la Regione Trentino Alto Adige e le Province di Bolzano e Trento e - se proprio costretti - i Comuni di Bolzano e Trento, le due Camere di Commercio e infine Tecnofin Trentina SpA: meno del 58% dell'azionariato e quindi meno del 58% del c.d. tesoretto di A22, che allora si ridurrebbe a circa 232 milioni (importo di fine 2008).

[8] Così ha sentenziato anche la Corte dei Conti respingendo per due volte nel corso del 2008 le delibere del CIPE con l'approvazione dei progetti preliminari per i lotti 1 e 2 (Fortezza - Ponte Gardena e 2 Circonvallazione di Bolzano da Prato Isarco a Bronzolo); cfr. Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, Delibere n. 3/2008/P del 13.2.2008 e n. 19/2008/P del 13.11.2008. La risposta governativa - ovviamente ispirata da motivi che prescindono da questi progetti - è nel disegno di legge n. 847, "Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico", dove tra l'altro si prevedono molti mezzi per aumentare i condizionamenti sui magistrati contabili (cfr. "Corriere dell'Alto Adige, 30.1.2009, E i controllori del Governo finirono sotto controllo).

[9] Lo stesso Presidente Dellai nella citata lettera del 21.1.2009 dice chiaramente che anche tutti gli accantonamenti globali della A22 "non saranno comunque sufficienti a coprire il costo totale dell'opera" e si lamenta che "a tutt'oggi il governo non ha ancora deciso come coprire la sua quota per la realizzazione del tunnel di base" e scrive che "non esistono molte realtà, soprattutto private, in grado di assumersi il rischio di un investimento così a lungo termine - il tunnel sarà terminato nel 2025 - a meno che esse non siano motivate appunto da un obiettivo di lungo periodo".

[10] In realtà questa percentuale si è già ridotta di almeno tre punti nello stanziamento effettivo UE deciso nel 2007-2008 e che dovrebbe essere erogato in tranches ad iniziare dal 2009.