21.6.08

Officina Ambiente rilancia il documento per dire NO all'ampliamento delle aree sciabili in Trentino

PER UNA RINUNCIA DEFINITIVA AGLI INTERVENTI DI POTENZIAMENTO DELLE AREE SCIABILI NELLA PROVINCIA DI TRENTO

Di fronte ai segnali evidenti di una costante stagnazione, se non di declino, dell’industria del turismo invernale basato sulla monocultura dello sci nel versante Sud delle Alpi, la Provincia di Trento continua inspiegabilmente a sostenere nel proprio territorio un modello di sviluppo ormai insostenibile e un settore economico capace di proporre soltanto l’incremento della propria offerta.
Non c’è in Trentino la volontà politica di riflettere sui cambiamenti climatici in corso, sulla costante diminuzione dei ricavi di impianti di risalita e strutture ricettive, sui costi crescenti delle aree sciabili in termini di risorse ambientali consumate e finanziamenti pubblici assorbiti per sopravvivere. Di questa mancanza sono prova i continui stanziamenti di Trentino Sviluppo (centinaia di milioni di Euro e 75,7 solo nel triennio 2008/2010) per la realizzazione di nuove infrastrutture di risalita, in qualche caso anche in aperto conflitto con la volontà delle popolazioni locali. E altro spreco di risorse pubbliche si annuncia con le recenti ipotesi che la Provincia acquisti gli impianti in difficoltà lasciandone ai privati la sola gestione.
Il sistema trentino dello sci dovrebbe essere guidato in un processo di riconversione già di per sé difficile e non lasciato ad insistere su meccanismi destinati a una crisi che potrebbe conoscere accelerazioni repentine.
In attesa dell’avvio urgente di un confronto ampio e pubblico su tutte le questioni aperte del turismo invernale in Trentino è comunque necessario che in Provincia di Trento siano decisi con effetto immediato e definitivo:
  • il blocco degli interventi di realizzazione di nuove piste da sci e di ampliamento delle piste da sci esistenti;
  • il blocco dei progetti per la realizzazione di nuovi impianti di risalita e per il potenziamento degli impianti di risalita esistenti;
  • il blocco della realizzazione o del potenziamento degli impianti per l’innevamento artificiale, compresi i bacini dedicati di raccolta delle acque;
  • la revisione critica dell’assenso a tutti gli interventi di infrastrutturazione apparentemente rivolti all’incremento della mobilità alternativa ma sostanzialmente finalizzati al servizio di aree sciabili;
  • l’estensione dei blocchi a tutti gli interventi approvati e finanziati, anche se in corso di esecuzione;
  • l’inserimento delle direttive appena indicate in una variante immediata dei documenti finali del PUP adottato con DGP n. 1959/2007 lo scorso 8 maggio 2008 e nei piani territoriali subordinati.

Ignorando queste richieste la Provincia si assumerebbe la responsabilità di procedere ciecamente su un percorso senza vie d’uscita.

E con queste stesse richieste vogliamo aprire da oggi in Trentino - con tutti quelli che ne condividono gli obiettivi - una vertenza i cui punti di forza sono la consapevolezza e l’opposizione crescenti nelle popolazioni dei territori che cominciano a subire il degrado ambientale e socio-economico indotto dalla monocultura dello sci alpino nelle aree investite da nuove proposte di "sviluppo" del settore.
A tutti i Comitati e i Gruppi che sul territorio del Trentino si battono contro la crescita senza limiti delle aree sciabili domandiamo un'adesione a queste richieste.

Officina Ambiente - TRENTO, 10.5.2008


Pochi dati esemplificativi per capire come l'esercizio delle aree sciabili in Trentino (e non solo) sprechi grandi quantità di risorse naturali ed energetiche (senza pagarne interamente i costi e addossandoli in gran parte alla collettività) e non sia neppure economicamente in pareggio.

UN MODELLO ECONOMICO DI SETTORE IN COSTANTE DECLINO

Lo stato di «maturità» dell'offerta sciistica nella montagna invernale è ormai riconosciuto da tutti gli addetti ai lavori e confermato da una stagnazione della domanda che, pur oggetto di variazioni congiunturali legate ai cicli economici, alle condizioni climatiche e alla crisi della risorsa neve, indica chiaramente le tendenze del mercato.
Molte sono le ragioni di tale stagnazione:
  • la forte intercambiabilità tra modi di fruizione della montagna produce una competitività crescente fra le località di sport invernali e rende marginali quelle meno capaci di offrire caroselli molto estesi a quote elevate;
  • questa condizione è aggravata anche dalla concorrenza tra tipologie di vacanze differenti, con i soggiorni esotici e nelle città d'arte (più accessibili grazie alla diffusione dei voli low cost) che sostituiscono le settimane bianche [1];
  • con l’«effetto Tomba e Compagnoni» lo sci era diventato il prodotto trainante del turismo alpino nazionale, generando effetti di imitazione soprattutto tra i giovani, ma la diminuzione di quei successi, dell’interesse mediatico e quindi degli sciatori ha messo a dura prova il settore con un calo del 24% dal 1997 al 2004;
  • è in continuo aumento il numero dei turisti (48% del totale) che frequentano località alpine pur non praticando gli sport invernali tradizionali [2].
Ma non si tratta di un problema circoscritto all’Italia o al continente europeo. Negli Stati Uniti nell’ultimo ventennio il numero di stazioni sciistiche si è ridotto da circa 800 a meno di 500, con un decremento attorno al 40%. A livello globale la diminuzione delle vendite di sci negli anni 1990 è di circa il 30%.

CAMBIAMENTI CLIMATICI

Molte stazioni sciistiche alpine sono in pericolo a causa del cambiamento climatico. Secondo recenti analisi in futuro tra il 37% e il 56% delle stazioni sciistiche alpine potrebbe avere un innevamento talmente scarso da allontanare i turisti.
Uno studio del WWF
[3] ha esaminato l’andamento delle precipitazioni nevose nel periodo 1982-2003 in 35 stazioni sciistiche italiane. Il trend dominante : il decremento dei contributi nevosi negli ultimi decenni, con poche eccezioni, ha colpito l’intero settore meridionale delle Alpi, senza particolari distinzioni geografiche; il valore riscontrato di una diminuzione media del 18,7% è un ordine di grandezza indicativo per larga parte di questo settore tra i 1000 e i 2500 metri di quota, fascia entro cui si trova la maggior parte delle stazioni sciistiche invernali.
Lo stesso studio contiene anche un’analisi specifica dell’andamento delle precipitazioni nevose in provincia di Trento, limitata all’ultimo venticinquennio e permette di rilevare fenomeni analoghi. In particolare, le sette stazioni trentine selezionate per l'indagine registrano forte diminuzione dei contributi nevosi a partire dal 1986/87 nel settore occidentale della provincia (stazioni di Pejo, Rabbi e Pinzolo) e dal 1987/88 in quello orientale. Il confronto tra i decenni 1982-92 e 1993-2003 restituisce un valore di decremento della nevosità notevolissimo, pari al 26,6% (ma con picchi superiori al 34%) nelle stazioni di Pinzolo (1530 m) e Rabbi (1310 m); ed un trend undecennale ancora più sfavorevole per le stazioni di bassa quota, confermato dal dato -29,2%, relativo a Passo Sommo (1360 m). Strettamente connessi a queste dinamiche risultano i trend di riduzione degli spessori massimi di neve al suolo registrati ogni anno: la contrazione misurata appare anche in questo caso gravare maggiormente sulle località di bassa quota. Il costante rialzo delle temperature, particolarmente evidente nell’ultimo trentennio, è la causa principale di questa tendenza.

INNEVAMENTO ARTIFICIALE

Lo sviluppo di aree sciabili a quote basse con insostenibili condizioni nivometerologiche e la carenza media di neve su tutto l’arco alpino dalla metà degli anni 1980 hanno messo in crisi il sistema economico di intere vallate ormai totalmente dipendenti dalla monocultura dello sci alpino.
Per cercare di arginare il problema si è ricorso in modo sempre più intenso alla produzione di neve artificiale. Questa soluzione si è consolidata ed evoluta nel tempo tanto da diventare uno standard indipendente dalle condizioni nivologiche stagionali, utilizzato sistematicamente per la preparazione delle piste ed anche per favorire nuovi modi di sciare consumistici ed aggressivi (le statistiche degli incidenti parlano da sole). Proprio mentre il mutamento climatico in atto nelle Alpi dovrebbe disincentivare lo sviluppo del turismo della neve, si registra una frenetica «corsa al cannone»: ogni anno, anche nei comprensori di dimensioni più modeste, compaiono nuovi impianti per l’innevamento artificiale. Per esempio, tra il 1997 ed il 2002 la superficie innevabile artificialmente: in Francia è aumentata intorno al 60%; in Svizzera è raddoppiata; in Baviera ha avuto un incremento di circa il 140%;
La potenza installata degli impianti di innevamento continua ad aumentare e, nel contempo, gli impianti sono in funzione con sempre maggiore frequenza. Sempre per esempio, un'inchiesta svoltasi in alcuni comprensori sciistici francesi mostra che la durata media di impiego degli impianti di innevamento è passata dalle 544 ore della stagione 2000/01 alle 760 ore della stagione 2001/02.
La superficie delle piste innevabili artificialmente oggi presenti nelle Alpi (attrezzate con oltre 600 sistemi di innevamento artificiale) è di circa 24.000 ettari e corrisponde a oltre un quarto dell’area totale delle aree sciabili. In Italia le piste con impianti di innevamento artificiale occupano 9.000 ha (che corrispondono al il 60% dei 4.963 km di piste sulle Alpi e sugli Appennini). In provincia di Trento tale superficie è pari al 70% della superficie sciabile e corrisponde a 1.050 ha.

I CONSUMI DEGLI IMPIANTI PER LA NEVE ARTIFICIALE

Siamo purtroppo abituati a valutare i soli consumi di esercizio e i soli danni emergenti delle infrastrutture (quindi anche degli impianti di risalita), ma il loro vero impatto energetico/ambientale - che oggi non è minimamente studiato - dovrebbe calcolare anche i consumi e i costi di risorse che servono per realizzarle. L'impiego di una tonnellata di acciaio, per esempio, ha dietro di sé il consumo di circa 1,85 tonnellate equivalenti di petrolio, pari a circa 5,55 tonnellate di anidride carbonica e circa 1,20 tonnellate di polveri immesse in atmosfera.

Il consumo idrico
L’innevamento programmato esige un’enorme disponibilità di una risorsa che si va facendo sempre più scarsa, l’acqua. Per produrre 2-2,5 metri cubi di neve ne servono 1.000 litri. Più precisamente, per circa 30 cm di innevamento base in un ettaro di pista occorrono almeno un milione di litri di acqua, pari a 1.000 metri cubi; mentre gli innevamenti successivi ne richiedono quantità nettamente superiori (mediamente, per un ettaro di pista circa 4.000 metri cubi). In tutte le Alpi, per i circa 24.000 ettari di piste dotate di impianti di innevamento artificiale, servono quindi 95 milioni di metri cubi d’acqua, pari al consumo domestico annuale di 1,5 milioni di italiani, , mentre per la provincia di Trento tale dato corrisponde a 2,5 milioni di metri cubi d’acqua, pari al quantitativo necessario per l’irrigazione di 420 ettari di superficie agricola.
L’acqua richiesta per la produzione di neve artificiale viene prelevata da laghi, torrenti e bacini artificiali. Ma nessuno sa quanta se ne prelevi illegalmente vista la totale assenza di controlli (i primi scandali esistono anche in Trentino, per es. al Passo del Tonale). Quando poi l'acqua in natura scarseggia o manca (il fenomeno è in aumento) si passa direttamente ad usare gli acquedotti per il consumo potabile. Tutto questo a costi di concessione che non è azzardato definire amichevoli: per esempio, secondo i canoni di concessione richiesti dalla Regione Lombardia il costo relativo al consumo di acqua per 1 ettaro di pista si attesta sui 10,7 € all’anno. Ammesso che si trattasse di un impiego accettabile, normalmente il rientro economico delle comunità per l’utilizzo di questa preziosa risorsa pubblica è infinitesimo rispetto agli elevatissimi costi di fornitura.

Il consumo energetico

Oltre all’acqua, nella produzione di neve artificiale è indispensabile una notevole quantità di energia elettrica con conseguente emissione nell’atmosfera di gas serra. Qualche dato esemplificativo:
  • in Francia nella stagione 2001-2002 la produzione di un metro cubo di neve artificiale ha richiesto in media 3,48 kWh e l'innevamento di un ettaro di pista 25.426 kWh;
  • per innevare artificialmente i circa 24.000 ettari di piste delle Alpi ci vogliono circa 600 milioni di kWh, che corrispondono al consumo annuo di energia elettrica di 130.000 famiglie di 4 persone [4];
  • per sollevare di 300 metri di dislivello 100.000 metri cubi di acqua verso un bacino di raccolta in quota per l'innevamento artificiale ci vogliono 101.600 kWh.
Impatti sull’ambiente e la vegetazione
Un metro cubo di neve artificiale pesa 350 kg contro i 70-100 kg di un metro cubo di neve naturale, in quanto i cristalli che lo compongono sono più compatti e l’acqua è presente in maggiori quantità. Ne consegue che il suolo è sottoposto ad una pressione anomala ed è meno isolato termicamente. Inoltre, l’acqua utilizzata per l’innevamento - prelevata da laghi, fiumi superficiali e sotterranei - contiene minerali e altri composti chimici che rimangono direttamente disponibili nel suolo in quantità maggiori rispetto all’innevamento naturale e per un periodo più lungo a causa della maggiore lentezza nello scioglimento della neve (lo scioglimento è prolungato di circa quattro settimane in primavera).
La preparazione e la gestione delle piste artificialmente innevate influisce negativamente sulla produttività e sulla biodiversità della vegetazione, causando l’alterazione del tipico assetto vegetazionale e ambientale alpino, sopprimendo alcune specie dominanti e quindi facilitando la sopravvivenza di specie altrimenti non in grado di colonizzare stabilmente l’area considerata.
Per produrre poi neve artificiale in condizioni di temperatura sfavorevoli per il congelamento dell'acqua, sempre più spesso vengono impiegati additivi, alcuni dei quali consentirebbero anche un minor consumo di acqua ed energia. I sostenitori li definiscono compatibili con l’ambiente, senza però disporre di studi di lungo periodo sui reali possibili effetti.

I costi

Secondo i calcoli effettuati da uno studio del 2004 [5] il costo per metro cubo di neve artificiale prodotta nelle Alpi (compresi ammortamenti, costi energetici, costi del personale) va dai 3 ai 5 €. Quindi per ogni ettaro di superficie si spendono in media globalmente in una stagione circa 136.000 €. E si può calcolare che per l'innevamento artificiale nell'intero arco alpino ciò corrisponde a oltre 3 miliardi di €.

FUNZIONAMENTO DELLE AREE SCIABILI IN TRENTINO, COSTI PUBBLICI E "FATTORI DI SVILUPPO ECONOMICO"

In Trentino sono vigenti molte norme di settore che prevedono contributi e incentivi pubblici di vario tipo e finalità erogati dalla Provincia di Trento e da suoi organi specializzati a tutto il sistema gravitante intorno al turismo invernale (partecipazioni di capitale, realizzazioni di impianti di risalita, di produzione di neve artificiale e piste, opere accessorie, sistemi gestionali, sostegni all'esercizio stagionale, aiuti in situazioni critiche come quelle di scarso innevamento; circa 75 milioni solo per il triennio 2008-2010). Tutto ciò con la logica degli interventi a pioggia senza riorientare il settore verso maggiore compatibilità e verso il mantenimento dell'equilibrio economico. Nella puntata della trasmissione di Radio 1 "La radio ne parla" del 10.3.2008 la direttrice del marketing del comprensorio Monterosaski (Valle d'Aosta e Piemonte) ha dichiarato che se si dovesse riversare il costo dello sci sugli sciatori il prezzo dello skipass giornaliero dovrebbe quadruplicare. Siccome non è pensabile che una società di gestione di aree sciabili operi con perdite così vistose questo dato mostra - approssimativamente - quanto pesino i contributi pubblici nel mantenere sul mercato attività che altrimenti cesserebbero subito. Il problema non è quello di mettere in discussione l’intervento pubblico in quanto tale ma di valutare se esso sia effettivamente finalizzato a favorire lo sviluppo turistico compatibile di una data località nel medio e lungo termine. Ma quali siano oggi le condizioni perché una stazione turistica (in particolare una stazione sciistica) sia in grado di restare sul mercato senza produrre sprechi di risorse pubbliche e devastazioni ambientali è tema mai seriamente affrontato, con l'effetto che le decisioni sugli investimenti sono totalmente dipendenti da pressioni non solo locali e producono una pressoché certa nuova domanda di finanziamenti a breve termine. Non si nega, in astratto, che la disponibilità di aree sciabili possa costituire un volano per altre attività economiche legate alla ricettività. Mancano però totalmente quadri di riferimento e regole per valutare costi e benefici globali della presenza di aree sciabili in un territorio montano, mentre le scelte politiche e i bilanci pubblici le sostengono acriticamente come fossero opportunità in quanto tali. Secondo l'amministrazione provinciale in Trentino l'industria dello sci di discesa e il relativo indotto, il c.d. "fatturato turistico invernale" (nel 2005 circa 8,3% del PIL provinciale), costituiscono un sistema economico che non può essere messo in crisi. Questo è vero nel breve periodo ed infatti la proposta di Officina Ambiente di Trento non prevede affatto l'abbandono del settore. Ma la monocultura turistica dello sci alpino ha creato rigidità enormi in un sistema incapace di reagire in modo alternativo ai segnali di allarme (mutamenti climatici, stagnazione della domanda), teso alla propria espansione illimitata senza considerarne i costi crescenti in termini di devastazioni ambientali irreversibili, consumi energetici e relativi inquinamenti, distorsioni economico-produttive, squilibri sociali: costi che le statistiche dimenticano (perché non stimano benefici e svantaggi complessivi) e che direttamente e indirettamente la collettività deve invece pagare a fronte di profitti privati sempre importanti.


Note:

[1] In provincia di Trento l'utilizzo medio degli esercizi alberghieri nel 2006 è stato il 32,6%.

[2] Secondo la Prof.ssa M. Frank (relazione alla conferenza "Quale turismo nelle Alpi?", Trento, 12.3.200) nelle stagioni invernali degli ultimi anni in tutto l'arco alpino si registra una riduzione permanente media degli utenti dello sci alpino, e solo il 50% dei turisti presenti pratica sci di discesa o snowboard; un 30% circa degli utenti è orientato verso pratiche di turismo eco-responsabile e si divide in un 20% di utenti tendenzialmente disponibili e un 10% di utenti già convinti.

[3] WWF Italia, Alpi e turismo: trovare il punto di equilibrio, Collana Ecoregione Alpi, n. 1, dicembre 2006.

[4] Per un confronto, il fabbisogno annuo di una famiglia 4 persone in Italia è di circa 3.000 kWh. In Italia le famiglie pagano 23,39 centesimi per un kW (a fronte di una media europea di 15,38 centesimi) mentre le imprese pagano 15,00 centesimi per lo tesso kW (a fronte di una media europea di 10,00 centesimi).

[5] Felix Hahn, “Innevamento artificiale nelle Alpi”, CIPRA International, 2004.