21.12.08

Latte etico?

OK il latte fresco, ma se cominciassimo anche a parlare, oltre che di igiene, anche di qualità di quello che mangia la mucca e di quanto latte fa la mucca? Può un latte etico essere fatto con soia OGM o insilato di mais da monocoltura?

La strumentale campagna contro la vendita diretta del latte crudo fa leva sulle proprietà igieniche del latte. Gli stolidi detrattori del latte crudo sostengono che la "moda" del suo consumo porta indietro di un secolo il "progresso". Ma questi signori vivono ancora con la testa nel mondo industriale (o paleo-industriale) dove la principale determinante della qualità era, appunto, quella igienica. Tempi in cui le mucche erano in larga misura affette da TBC e in cui tifo e colera imperversavano ancora. Allora era comprensibile. Non si parlava ancora di vitamine, tanto meno di loro labilità e biodisponibilità, figuriamoci se qualcuno poteva pensare alle "proprietà nutraceutiche".
Ma di strada ne è stata fatta tanta. All'industria e al suo ampio novero di sostenitori, però, fa comodo concentrarsi riduzionisticamente sugli aspetti igienici. Quello che essa (non sempre) garantisce attraverso i trattamenti termici, il packaging, le "catene del freddo" (tutti elementi di un'enorme spreco energetico necessario a sostenere l'allungamento delle filiere e la standardizzazione dei prodotti) è, appunto, un prodotto di qualità "igienica".
In realtà non è neppure vero che i trattamenti industriali garantiscano l'igiene microbiologica. Negli Stati Uniti si sono registrati dalla fine degli anni '90 numerosi casi di intossicazione da Salmonella typhimurium, dei ceppi resistenti a più antibiotici e pertanto pericolosi.
La pastorizzazione del latte non ci mette al riparo dai rischi (anzi, a volte i rischi dei prodotti pastorizzati sono molto gravi, come dimostra anche la frequente presenza di Listeria nei formaggi a latte pastorizzato con casi anche recentissimi anche in Italia). In compenso è noto da tempo che i trattamenti termici danneggiano enzimi e peptidi ad importante attività biologica (viene spesso citato il fattore di Wulzen che protegge dall'artrite degenerativa) e diminuiscono la disponibilità di vitamine e aminoacidi.
D'accordo, ma vogliamo fare un passo avanti. Per consolidare e aumentare il consenso della gente al latte crudo e alla sua filiera corta di distribuzione vogliamo estendere la dimensione della qualità del latte ad una qualità totale ad una qualità etica? Cosa mangia la mucca, come è allevata, quanto latte fa, in che stato di benessere vive?
Guardate che sono tutti aspetti correlati. Se l'animale è stressato ha meno difese immunitarie e necessita più trattamenti con farmaci. Se la mucca è "spinta" dal punto di vista produttivo tutti gli equilibri fisiologici sono compromessi e gli effetti dello stress, di traumi sono amplificati. I problemi digestivi aumentano con la forzatura alimentare e ciò comporta la produzione di tossine che acuiscono i problemi di organi e tessuti già sollecitati. L'apparato scheletrico (minato dalla demineralizzazione per "esportare" enormi quantità di calcio nel latte), l'apparato digestivo, l'apparato cardiocircolatorio, i piedi sono tutti "sotto pressione". Non parliamo della mammella.
La mucca dovrebbe avere diritto a camminare se non su un pascolo almeno su uno spiazzo erboso, a non subire lo stress delle sale di mungitura dove è sospinta dalle scosse elettriche spesso in una situazione di confusione, urla. Soprattutto non dovrebbe essere una povera "forzata del latte" rottamata a 4 anni di età, spesso senza riuscire a partorire nemmeno due volte nella vita.
Un limite alla produzione dovrebbe essere il primo elemento di un patto etico tra l'allevatore e i consumatori del suo latte crudo, ovvero del latte sano, ovvero di un latte buono e pulito.
Non produrre più di 4-5.000 kg di latte per lattazione in montagna e non più di 7-8.000 in pianura . Spingere di più comporta utilizzare le razioni "spinte" a base di soia OGM e di insilato di mais (rispettivamene una "bomba" proteica e una energetica). Usare la soia oltre che consolidare il potere della Monsanto significa incentivare la deforestazione dell'Amazzonia, usare l'insilato di mais significa incantivare una monocoltura con elevati usi di pesticidi (in aumento secondo l'Istat), elevatissime concimazioni (con rischi di inquinamento nitrati delle falde).
Ma c'è di più. Tornare all'alimentazione tradizionale con altri tipi di erbai, alle leguminose "nostrane" e alle rotazioni non solo migliorerebbe la fertilità e la salute del terreno, ma ridurrebbe drasticamente l'impiego di pesticidi.
La qualità del latte, e qui veniamo ad un punto decisivo, ne avrebbe enormi benefici. L'uso di foraggi freschi (molto impegnativo - è vero - ma l'innovazione tecnologica si è impegnata su questo fronte?) fa come - è ormai noto - aumentare notevolmente le proprietà nutrizionali e, soprattutto, nutraceutiche del latte. Aumentano gli acidi grassi essenziali Omega-3 e il CLA (acido linoleico coniugato) fattori importanti di prevenzione di gravi malattie cardiocircolatorie e tumorali e diminuisce i grassi saturi (noti fattori di rischio cardiocircolatorio). Non si chiede a tutti i produttori di latte crudo di convertirsi al biologico e di basare l'alimentazione sul pascolo (sarebbe impossibile), ma di praticare il pascolamento quando possibile (anche nella pianura padana in autunno il pascolo era normale), di tornare gradualmente all'alimentazione invernale a base di fieno, di utilizzare erbai diversi dal silomais dando spazio il più possibile a leguminose (che riducono la dipendenza dalla soia) e ai prati. Soprattutto si chiede di limitare la produzione perchè è la rincorsa insensata alle megaproduzioni che, a catena, comporta una spirale perversa di dipendenza dell'allevatore di mezzi tecnici, consulenze, intrugli.
E poi, tutto quell'insilato (compresi i balloni di fieno-silo con i pericoli di rifermentazioni) siamo sicuri che faccia bene alla qualità del latte alimentare? Ci si preoccupa tanto della relazione tra insilato e presenza di microbi anticaseari nel latte, ma relativamente al latte da consumo fresco cosa comporta l'utilizzo di insilati mal conservati (a parte il problema aflatossine?).
Cari produttori voi avete un grande vantaggio: ci mettete la faccia. Tutto quello che farete per il benessere delle mucche, per non "spingerle", per voltare le spalle a una genetica che peggiora il bestiame, per coltivare foraggi in modo pulito, i vostri consumatori possono verificarlo. Altro che marchi e certificazioni (che ingrassano un altro segmento degli ormai interminabili anelli delle "filiere"). Coraggio. Già oggi la gente vi sostiene. Lo farà ancora più convinta se si realizzeranno i patti per un latte etico.

Michele Corti

L'Adige, 10.12.08

16.12.08

Ricorso al Tar su Tremalzo

Continua da parte delle associazioni ambientaliste e del comitato di cittadini la battaglia contro la cementificazione della delicata conca di Tremalzo.

Il no degli ambientalisti all'albergo da 390 posti


VAL DI LEDRO - Wwf Italia e comitato Sos Tremalzo hanno fatto ricorso al tribunale regionale di giustizia amministrativa (Tar) contro l'«operazione Leali», che prevede la costruzione di un enorme albergo-benessere (390 posti letto) nella Conca di Tremalzo, località montana della val di Ledro; in particolare contro la delibera provinciale che approva la variante al Piano regolatore di Tiarno di Sopra, provvedimento che spalanca le porte all'intervento edilizio orchestrato dall'imprenditore bresciano Alcide Leali assieme ai cinque Comuni ledrensi (Concei esculso), Tiarno di Sopra in testa.
Gestione disastrosa Le due associazioni ecologiste hanno inviato al Tar un ricorso pesantissimo (48 pagine, più tutti gli allegati) sia contro il Comune sia contro la Provincia e la società Irvat (Impianti valorizzazione risalita Tremalzo srl.). In base alla «gestione disastrosa di tutta la procedura relativa alla variante», a causa della «subordinazione dell'amministrazione municipale agli interessi del privato Domenico Alcide Leali», a motivo delle «osservazioni e opposizioni ai provvedimenti e alle delibere municipali che non sono stati presi in esame», a causa della sottovalutazione dell'antica istituzione dell'«uso civico» e per il contrasto della variante al Piano sia con il Piano urbanistico provinciale sia con la legge provinciale 16, Wwf Italia e comitato Sos Tremalzo chiedono ai giudici del Tar di dichiarare nulla la variante stessa in modo che, una volta accolte le loro istanze, sia rispedito al mittente tutto il progetto. Ecco solo alcuni dei punti salienti del ricorso notificato nei giorni scorsi alle controparti e che sarà depositato oggi dall'avvocato Sandro Manica.
Comune appiattito su Leali «A seguito di complessi procedimenti ai quali hanno partecipato anche gli organi pubblici deputati alla tutela dei valori ambientali e paesistici, si è giunti a consentire un intervento edilizio di abnorme aggressività, quasi pari a quello prospettato in prima adozione (prima proposta di variante ndr.) dal Comune di Tiarno di Sopra, del tutto appiattita sull'iniziativa imprenditoriale privata, che aveva in parallelo seguito, sin dall'inizio, il procedimento. Cosicché, all'esito dell'approvazione, dei 67.000 metri cubi originari(amente previsti da Alcide Leali e Vito Oliari), ben 48.000 di nuova volumetria sono stati acconsentiti».
La Tutela che non tutela
Questa enorme cubatura in zona naturalistica di pregio è stata resa possibile, dicono gli ambientalisti, «anche grazie agli inattesi "suggerimenti" forniti dagli stessi Uffici pubblici, che avrebbero dovuto ergersi a tutela dei beni ambientali. È stata, pertanto, palesemente elusa la previsione dell'area di Tremalzo come Sito (naturalistico ndr.) di Interesse Comunitario (europeo ndr.), ed è stata completamente falsata l'applicazione della relativa disciplina di tutela. Del tutto illegittimamente, gli organi preposti alla tutela hanno, da una parte, espresso rilievi sull'incompatibilità della proposta oggetto di prima adozione (prima proposta di variante ndr.); e poi, del tutto contraddittoriamente, assumendo un'iniziativa, non prevista dalla legge, hanno indicato, essi, una soluzione alternativa altrettanto impattante, di dimensioni pressoché identiche. E ciò, quando i medesimi organi tutori avevano pure espressamente evidenziato che gli interventi edilizi in zona avrebbero dovuto limitarsi al "recupero degli edifici tradizionali" o al "restauro dei volumi esistenti". Da qui, pure il sospetto che la funzione amministrativa, anche quella preposta alla tutela, sia incorsa nei gravi vizi di falsità e di sviamento». Eccesso di potere Manica prefigura tutta una serie di violazioni e di false applicazioni di una serie di leggi e normative, di eccesso di potere per «difetto assoluto di istruttoria» e per «motivazione contraddittoria, illogica e irragionevole», di travisamento dei fatti e di violazione dei principi generali in materia di procedimento amministrativo».

L'Adige, 12/12/2008

Giù le mani dal latte crudo!

Pubblichiamo una bella lettera che, motivatamente, difende il latte crudo, un alimento sano, in queste settimane aggredito da più parti e bollato come pericolosissimo a causa della non-pastorizzazione. Una battaglia giusta: in difesa della filiera corta, della dignità del produttore, ma anche della qualità del prodotto stesso e quindi della salute dei cittadini.

Vorrei contribuire al dibattito sollevato in questi giorni sulle problematiche dei distributori di latte crudo. Non mi pare che la proposta di Sergio Paoli, direttore di Latte Trento, di pastorizzare il latte prima di immetterlo nei distributori abbia qualche senso. Sicuramente il maggior costo della pastorizzazione unito a quello del trasporto renderebbe antieconomico il distributore.
Ma soprattutto si tende a dimenticare che il latte è un alimento che nasce già perfetto e che ogni tentativo di trattamento da parte dell'uomo non può che peggiorarlo. A fronte di qualche piccolo rischio derivante dal latte crudo, con la pastorizzazione invece si perderebbero importanti proprietà utili alla nostra salute.
Quali sarebbero i rischi del latte crudo? Premettendo che l'attenzione ai problemi igienici da parte del produttore non deve mai abbassarsi, alcuni germi potrebbero effettivamente contaminare il latte e causare problemi nell'uomo: il principale è lo Stafilococco aureo che potrebbe derivare da mastiti non curate. Solo questo rappresenta un potenziale pericolo per il consumatore; è in grado di produrre una serie di enterotossine che determinano, se presenti in quantità sufficiente, un'intossicazione caratterizzata da nausea, vomito e diarrea, che viene superata in genere senza intervento medico in 2-3 giorni. Altri germi come la Listeria Monocytogenes possono dare delle infezioni gravi, ma quasi esclusivamente nei soggetti immunocompromessi. Sono teoricamente possibili infezioni da Salmonella o Campylobacter, ma solo se il latte è contaminato con le feci. Da una ricerca è comunque emerso che il latte crudo venduto nei distributori è in media qualitativamente migliore degli altri latti. A chi pensa che il latte pastorizzato sia sicuro al 100% ricordo che ci sono state importanti epidemie di salmonellosi derivate dal latte pastorizzato. La pastorizzazione non elimina i germi, ma ne riduce la quantità. In più vengono alterate le capacità di autodifesa del latte (denaturazione della lattoferrina) e quindi in condizioni particolari i germi cattivi si svilupperebbero più facilmente.
A fronte del limitato rischio derivante dal latte crudo, vediamo ora i vantaggi. Viviamo nel mezzo di un'epidemia di cancri; sicuramente molti tumori sono dovuti all'eccesso di sostanze cancerogene nell'ambiente, ma anche alla scarsità di sostanze protettive nell'alimentazione. Proprio la pastorizzazione del latte è un esempio di impoverimento di proprietà antitumorali, negli alimenti. Ci sono infatti alcune proteine del latte, specie le proteine del siero del latte (quello che resta dopo aver tolto le caseine), che possiedono importanti proprietà antitumorali, detossificanti e antiallergeniche, ma che vengono denaturate con il calore della pastorizzazione. Si sa, ad esempio, che i neonati alimentati con latti artificiali hanno più allergie e tumori degli omologhi allattati al seno. Ebbene questo avviene proprio perché le proteine dei latti artificiali vengono pastorizzate e perdono importanti proprietà. Oggi si inizia a comprendere che la sostanza responsabile delle proprietà antitumorali, detossificanti e antiallergeniche del latte potrebbe essere il glutatione. Il glutatione, un tripeptide (costituito da tre amminoacidi) è una molecola chiave per il funzionamento cellulare. Non solo contrasta l'effetto nocivo dei radicali liberi, ma è anche la molecola importante per la detossificazione dell'organismo. Tutti i processi immunitari ed energetici necessitano del glutatione. Le proteine del siero del latte sono molto ricche di un precursore del glutatione (glutamil cisteina). Queste sostanze però si denaturano con il calore a 60 gradi (la pastorizzazione supera i 70 gradi per 15-20 secondi).
Col calore si inattiva anche la vitamina C: all'inizio del secolo scorso dopo l'introduzione della pastorizzazione del latte ci fu un aumento dei casi di scorbuto (malattia da carenza di vitamina C). Nonostante queste evidenze gli scienziati di allora, sull'onda delle teorie che vedevano i microrganismi responsabili della maggior parte delle malattie, continuarono a raccomandare la pastorizzazione o la bollitura.
Un altro esempio di problemi generati dalla pastorizzazione è l'assorbimento del calcio. Questo è molto minore nel latte pastorizzato rispetto al latte crudo. Ricordo che oggi l'osteoporosi è una condizione molto diffusa con una notevole morbilità dovuta alle fratture nell'anziano.
Prima degli anni '70 dovunque nei caseifici di paese si vendeva latte crudo. Una legge ingiusta, voluta dagli industriali del latte, ne ha vietato la vendita e questo ha portato nel recente passato alla chiusura di numerosi caseifici in Trentino ed alla crisi del settore zootecnico con la chiusura di molte stalle, parallelamente alla creazione di monopoli caseari.
In passato molti medici spesso consigliavano di soggiornare in montagna per rinforzare il fisico. Oggi abbiamo numerose evidenze che molte delle virtù salutari delle vacanze in montagna potrebbero derivare proprio dal latte e dai prodotti derivati che oggi non è più possibile acquistare nei caselli di paese. È difficile immaginare un paesaggio alpino senza zootecnia, senza alpeggi e malghe. Ed è connaturata con questa attività la possibilità di vendere il prodotto in loco al consumatore. Chiunque vuole mettere vincoli e limiti a questa attività (a favore dell'industria) uccide la montagna. Con ricadute sicuramente negative sul turismo.
In conclusione, oggi con i frigoriferi si può conservare il latte non pastorizzato per diversi giorni. Si può inoltre aumentare la sicurezza con frequenti controlli sul latte (che sarebbe auspicabile facesse l'ufficio Igiene). Consiglierei però la bollitura solo in presenza di una immunodeficienza grave. La mia famiglia consuma latte crudo ormai da un decennio senza che si sia mai verificato un problema. Personalmente consiglio di visitare la stalla di provenienza e verificare l'igiene e l'alimentazione degli animali.
Acquistare il latte crudo (non pastorizzato) è un diritto alla salute che non può essere negato. Inoltre poter vendere latte crudo è un aiuto al settore zootecnico di qualità, con sicure ricadute positive sul turismo.

Dr. Roberto Cappelletti
È componente del Comitato scientifico della Libera associazione Malghesi e pastori del Lagorai

L'Adige
, 9 dicembre 2008

Ecomafia in provincia di Trento?

Pubblichiamo un'interessante riflessione uscita su L'Adige a proposito dello scandalo dei rifiuti pericolosi provenienti da tutto il nord Italia stoccati abusivamente in una ex cava (ora discarica di inerti) a Roncegno, in Valsugana. L'episodio ha sollevato nuovi dubbi sulla credibilità nella nostra provincia delle autorità cui è affidata la tutela dell'ambiente e, di conseguenza, la salute dei cittadini.

La Valsugana non è la pattumiera del Nord

Così la Provincia si fa male, oltre a fare del male alla comunità. Molti sospettano, da tempo, soprattutto in Valsugana, che i controlli dell'Appa sugli inquinanti non siano credibili. Molti pensano che siano pochi, ridicolmente pochi i controlli sui fumi delle acciaierie di Borgo. Proprio quell'impianto che crea tanti dubbi, timori anche, in una parte non secondaria della popolazione. E cosa dire di quell'impianto di biocompostaggio di Novaledo, e di quel «bolo» che venne di fatto seminato nelle campagne di Valsugana? Ma lasciamo la Valsugana: sono sufficientemente calibrati i controlli sui veleni sparsi nei meleti e la loro presenza in parchi pubblici, case private, tra la gente insomma, in val di Non? Molti non si fidano più dell'Appa (agenzia provinciale protezione ambiente ndr.) e di tutte le autorità di controllo e, di conseguenza, viene meno anche la fiducia nella difesa che la Provincia fa della salute pubblica. Ora la storia della discarica di Monte Zaccon. Solo l'ultimo anello. Sappiamo molto bene che la nostra società dei consumi, quella che stiamo vivendo qui e ora, quella ricca e trentina, porta alla produzione di molti veleni: che finiscono nell'acqua e nell'aria, che vanno a finire negli impianti di compostaggio o nelle discariche. Sappiamo anche che sempre meno è possibile (oltre che eticamente costituire una cosa ingiusta) spedire quei rifiuti in Campania o in Calabria. E sempre più difficile è mandarli anche in Africa, mentre se li mandiamo in Germania questa si fa pagare tantissimo. Poi, certi rifiuti, come quelli che finiscono nell'aria, immessivi dai camini delle fabbriche, non possiamo nemmeno spedirli a nessuno. E allora, la nostra società produce, necessariamente, delle schifezze che dobbiamo pensare di distruggere a casa nostra o, comunque, di limitare al massimo nei loro effetti nocivi per la salute umana e quella della Natura. Ma nessuno vuole i veleni: noi viviamo in una società in cui il senso civico, il bene della comunità che talvolta esige anche la condivisione dei problemi, è sempre meno sviluppato. E allora? L'impressione (ma le prove sono continue e successive) è che i politici e la politica abbiano deciso, per il bene della comunità (e lo diciamo senza sottintesi e ironie) che le cose vadano fatte anche senza che la comunità lo sappia. Per questo, probabilmente, l'Appa è portata a fare cose che anche la politica conosce. Ma finge di non conoscere. Noi tutti sappiamo che, ancora più in questo momento di crisi epocale del capitalismo, 120 salari e stipendi, quanti sono quelli pagati dalle Acciaierie di Borgo, sono importantissimi. Che lo spostamento della fabbrica fuori dal Trentino sarebbe per la Valsugana l'ennesima botta. E allora ecco che i controlli sulle emissioni di fumi vengono fatti una volta all'anno, di giorno e (lo ha dichiarato al nostro giornale un operaio che ha lavorato lì per anni e si occupava proprio di questo) all'interno della fabbrica si conosce la data dell'arrivo dei tecnici in anticipo. Ma tutti, proprio tutti a Roncegno e Borgo sospettano da sempre, e molti lo hanno pubblicamente dichiarato, che le emissioni «malefiche» avvengono la notte e in certe ore soprattutto. E cosa dire del biocompostaggio di Novaledo che avrebbe tutte le carte in regola, che rispetterebbe tutte le leggi.... ma che verrà comunque spostato perché qualcosa che non va, lo hanno capito tutti, c'è comunque? Nei giorni in cui sui terreni di Novaledo e Roncegno veniva sparso quell'enorme «bolo» che intasava lo stabilimento, avemmo modo di parlarne con i dirigenti dell'Appa. E li trovammo assolutamente tesi, nervosi, in ansia. E lo scrivemmo. Si doveva mettere da qualche parte quel materiale, era certo, per permettere alla nostra comunità di continuare ad avere un luogo dove poter lavorare ed elaborare l'umido delle immondizie e certi fanghi... Vero, ma forse non era proprio affondandolo in una campagna molto coltivata ancora il modo migliore. Ma dove allora? direbbe il politico, se tutti vogliamo il meglio di questa società dei consumi e nessuno vuole le sue schifezze, che però sono i nostri rifiuti? Certo, dopo la scoperta delle schifezze che stanno finendo in una ex cava di Monte Zaccon, nel Comune turistico di Roncegno, viene il pensiero che la Valsugana sia privilegiata in qualità di sfogatoio di quanto i trentini non vogliano. E forse (pensando anche che, a sinistra soprattutto, la PiRuBi non la vuole nessuno in Vallagarina ma la superstrada trafficatissima, cento volte i bisogni della valle, è sopportata in Valsugana dove, tra l'altro, ha travolto e tagliato a metà due paesi) il pensiero che questa valle non sia difesa al meglio dai suoi politici è più di un sospetto. Ma il discorso va oltre. Pensiamo allora ai veleni nei meleti e alle denunce del Comitato noneso che da qualche anno si sta battendo sul problema. Ultimamente questa gente coraggiosa si è pagata, 3.000 euro, le analisi che hanno dimostrato l'esistenza di residui di veleni nelle case e nei parchi giochi. Ma quelle analisi ha dovuto farle fare fuori dal Trentino. Perché in Trentino (terra dell'Istituto Agrario ma anche terra che dispone di un'ottima Azienda sanitaria) le statistiche dicono che tutto è nella norma, che le forme tumorali non sono più numerose che altrove e nemmeno le bronchiti. E, di certo, qui da noi nessun ente pubblico si sogna di far analizzare le polveri delle case o l'erba dei parchi. Perché le mele sono la grandissima ricchezza della valle di Non, l'Acciaieria è necessaria alla manodopera valsuganotta e perché qualcuno deve pure beccarsi le porcherie che i trentini producono (o prendere quelle degli altri per esportare in parte le nostre). E così i controlli dell'Appa troppo spesso sono formali o eseguiti in tempi non congrui. E molte volte anche le analisi di S. Michele e le indagini dell'Azienda Sanitaria sono portate più a rassicurare i cittadini che ad allertarli sulla situazione reale. Ma così facendo la politica si fa male, la Provincia si fa male. Non si può continuare a dire che il nostro formaggio è il massimo del mondo perché le vacche mangiano il fieno della montagna trentina quando molti di quegli animali, l'erba delle Dolomiti non la vedono quasi mai. Così sempre più gente guarda con sfiducia alle nostre autorità, anzi con rabbia. Così la Farfalla appassisce e il Trentino si omologa e alle elezione è tutto un gridare... «al negro». È ora di parlare con la gente, di informarla, di essere franchi: le nostre sporcizie ce le dobbiamo riciclare, e dobbiamo produrne meno, e i prodotti che mettiamo in tavola devono essere controllati, così come il nostro territorio. Per evitare, tanto per concludere, che un Comune turistico, che ha una grande e importante storia termale, si porti in casa una schifezza grande come quella, dicono gli investigatori, che stava arrivando a Roncegno.

L'Adige, 14/12/2008

8.12.08

9.10.11 dicembre, Piazza Lodron: Tenda NoWAR / Contro la base militare di Mattarello

Tre giorni in piazza contro la base militare di Mattarello, per portare al centro della città il NO alla guerra che spesso è dimenticato e troppe volte è subordinato al "ma" e al "se".
Riflessioni e dibattiti, azioni e manifestazioni che vogliono spiegare, per l’ennesima volta, che la costruzione di una nuova cittadella militare significa sostenere le guerre globali che vedono implicato anche l’esercito italiano; significa un esborso di spesa a carico della Provincia (400 milioni di Euro - metà della manovra anti-crisi del confermato presidente della Provincia Dellai) in un momento di crisi economica che toccherà anche il Trentino; significa distruzione ambientale, paesaggistica e urbanistica...
Tre giorni che sapranno parlare alla città e che vorranno coinvolgere il movimento trentino che scenderà in piazza il 12 dicembre per lo sciopero generale, dalle scuole ai comitati che lottano per un Trentino migliore.

Scarica la locandina

9.10.11 dicembre Tenda NoWAR / Contro la base militare di Mattarello @ piazza Lodron - Trento

Martedì 9 dicembre:

ore 16.30: Conferenza stampa / presentazione della tenda

ore 17.00: Assemblea di movimento verso la manifestazione del 12 dicembre: La vostra crisi non la paghiamo noi!

ore 20.30: Presentazione musicale del libro "I dimenticati della Grande guerra", ed. Il Margine.
Sarà presente l’autore Quinto Antonelli [ vedi ]

Mercoledì 10 dicembre:

ore 14.30: Assemblea studenti medi verso la manifestazione del 12 dicembre

ore 17.30: Iniziative/azioni

ore 20.30: c/o Barycentro piazza Venezia, 38 - Carta Est Nord presenta: [ vedi ]
Noi la crisi non la paghiamo, la crisi economica e il modello nordest: risposte e resistenze possibili
ne parliamo con:
Mario Simoni, Trentino Arcobaleno
Federico Zappini, Centro Sociale Bruno
Maddalena Di Tolla, Legambiente
Marco Niro, Questo Trentino
Luigi Casanova, Mountain Wilderness
Paolo Tonelli, Federazione trentina della cooperazione
coordina Gianni Belloni, Carta Estnord

Giovedì 11 dicembre:

ore 17.00: Presentazione della petizione popolare contro la base militare di Mattarello

ore 17.30: Appello per una reale obiezione di coscienza. Chi è realmente contro la costruzione della base militare?

Approfondimenti:
Il contro-pieghevole sulle nuove caserme

TAV: la musica non cancella la verità

di Ezio Casagranda e Gianfranco Poliandri

DVD ben confezionati e convegni brezneviani non riusciranno a nascondere i disastri della TAV

Sulla stampa di questi giorni abbiamo potuto leggere due notizie riguardanti la TAV del Brennero.
La prima riguarda la scelta di vivacizzare con una bella colonna sonora il DVD che la Provincia di Trento prepara sul progetto preliminare della porzione trentina della linea ferroviaria ad alta capacità Verona-Innsbruck (”l’Adige”, 4.12.2008, Traforo in musica - Kuzminac consulente). Ma sarà difficile che la qualità dell’accompagnamento musicale distragga i destinatari dal porsi qualche domanda spinosa.
La seconda riguarda l’incontro istituzionale di Verona del 5.12.2008, dove sono stati confermati i finanziamenti UE per il tunnel di base del Brennero che qualcuno continua a chiamare un’opera eco compatibile. E neppure 195 chilometri di gallerie lungo l’asse dell’Adige dal confine di Stato a Verona e 30 anni cantieri nelle valli dell’Adige e dell’Isarco ci sembrano molto compatibili con l’ambiente.
Sull’opera contemporaneamente più inutile, costosa, devastante e meno condivisa che abbia mai interessato il Trentino si producono DVD ma ci si guarda bene dall’avviare una discussione pubblica, aperta e trasparente sui costi sociali ed ambientali. Una discussione che è totalmente mancata in Trentino, come è mancata in Alto Adige sul tunnel di base e sulle tratte di accesso Sud.
Da quel confronto sarebbe emerso quello che già in parecchi hanno capito e che la propaganda dei promotori nasconde con cura.
Ci dicono che la nuova linea servirebbe per trasferire finalmente (quando, nel 2030-2040?) il grande flusso merci dalla A22 alla ferrovia e risolverebbe anche l’imminente saturazione della linea storica del Brennero. Pretesti, per non intervenire oggi. Il traffico pesante e il terribile inquinamento sull’autostrada potrebbero diminuire subito di circa due terzi: a) con scelte non subalterne agli interessi dell’autotrasporto e della società Autobrennero, con pedaggi equivalenti a quelli di Austria e Svizzera e regolamentazioni/controlli all’altezza di un paese civile; b) impiegando la ferrovia attuale (dalle ampie capacità residue anche dopo il recente potenziamento) secondo criteri di razionalità ed efficienza, cercando di avvicinarsi almeno un po’ agli standard di gestione internazionali.
Sulle devastazioni ambientali annunciate dal programma di opere si cerca già di glissare e comunque si racconta che la valutazione di impatto ambientale si incaricherà di controllare, mitigare, riparare. Fantasie. Le procedure di VIA in Italia, e in Trentino, sono costruite sostanzialmente per avallare decisioni già prese al livello politico-economico. Ci aspettano invece disastri pesanti. Solo per fare due esempi: danni enormi dai cantieri diffusi per decenni in tutta la valle dell’Adige, con più traffico, inquinamenti diffusi e consumo irreversibile di quel territorio libero che qui diventa sempre più scarso (in Trentino si calcolano quasi 500 ettari da sacrificare, più quelli per le discariche); impatti gravi sulle risorse idriche superficiali e sotterranee, in misura che nessuno studio preliminare - come è noto - è capace di prevedere.
E quanto costerebbe questa bella impresa, solo in Trentino? Le stime ufficiali parlano di almeno 3 miliardi, ma quelle indipendenti arrivano a più del doppio; sempre a costi 2007-2008, come se i lavori finissero domani. Ma da molti segnali anche nel nostro caso si potrebbero ripresentare gli sprechi e gli aumenti di spesa che i meccanismi contrattuali e finanziari dei programmi TAV hanno prodotto in Italia, con un incremento medio di costi totali tra il 1991 e il 2007 pari a circa 6,9 volte. A quanti servizi sociali dovremmo rinunciare per soddisfare appetiti che non hanno molto a che vedere con un sistema ragionevole di trasporti?
Siamo stati sbrigativi, ma sempre meno dei promotori. Un dibattito pubblico approfondito sarebbe urgente, e diventa sempre meno probabile. Chi si oppone a questo progetto non pensa però di accontentarsi della buona musica.

Ezio Casagranda
Gianfranco Poliandri

Approfondimenti:
Dossier Treno alta velocità Verona-Brennero-Monaco

3.12.08

I parchi naturali: ancora irrisolte troppe criticità.

Un commento di Luigi Casanova vicepresidente di CIPRA Italia

Si sono appena conclusi i lavori di un interessante ed intenso convegno organizzato dal Servizio Conservazione della Provincia Autonoma di Trento, un convegno che ha raccolto e messo a confronto le esperienze di vent’anni di gestione delle aree protette nel Trentino.
L’appuntamento poteva risultare utile per riprendere un dialogo fra sensibilità ambientaliste e protezioniste della Provincia interrotto nella conferenza farsa organizzata nel luglio del 2005 al Museo di Scienze Naturali: così non è stato perché l’associazionismo non è stato chiamato a collaborare nella strutturazione del convegno. Tanto che contemporaneamente nel vicino palazzo della Regione tutte le associazioni unite denunciavano l’irrisolto scandalo delle cave di Val Genova.
Abbiamo così seguito un evento importante, che ha condiviso le basi culturali necessarie per un lavoro strategico di lungo periodo, ma impedito riflessioni dei limiti dell’esperienza passata. Sugli ambientalisti che con dignità e attenzione hanno ricordato alcuni di questi limiti è subito piovuta loro addosso l’accusa di essere aristocratici, poco attenti al contesto sociale e ambientale, si è dovuta riascoltare la solita buffonata dei poveri di argomentazione sul partito del NO.
Alle associazioni ambientaliste trentine preme invece, più che ai politici, riprendere il filo del confronto, della proposta. Ma per fare questo devono essere mature e risolte almeno tre considerazioni tutte tenute esterne al convegno:
a) L’attenzione politica. Nessun politico era presente ai lavori del convegno, nemmeno il nuovo assessore all’ambiente Alberto Pacher ha degnato l’appuntamento di attenzione. Una occasione perduta.
b) L’ammissione della presenza di criticità importanti e irrisolte che sono: le cave in Val Genova, la questione venatoria specie verso i tetraoni, i collegamenti sciistici Pinzolo - Campiglio e San Martino - Passo Rolle. Queste due ultime questioni sono fondamentali perché rappresentano un falso in comunicazione (non si tratta di operazioni di rilancio, non si tratta di mobilità alternativa ma di banale salvataggio, come per Alitalia, di società votate al fallimento). In ambedue i casi si va ad incidere in ambienti unici e simbolo dei due parchi naturali come del resto emerso dai lavori del convegno.
c) Costruzione di cittadinanza attiva, cioè la reale possibilità offerta a cittadini ed associazioni di partecipare, costruire, condividere e controllare la pianificazione, le scelte sul futuro del parco, con pari dignità di altri soggetti. In questi territori invece sembra abbiano diritto di ascolto solo i cavatori, il mondo venatorio e i poteri forti degli impianti di sci. Non è più concepibile che le associazioni vengano raggirate e umiliate dai politici come avvenuto con Dolomiti Monumento del Mondo, con il progetto Marmolada, la questione Folgaria o Tremalzo.
Accettate queste criticità ci si può, io dico si dovrà, mettersi attorno ad un tavolo e riprendere il filo del confronto che si è rotto con Val Jumela e che ha trovato espressione severa e giustificata nella conferenza del 2005.
L’associazionismo ambientalista delle Alpi intere ormai lavora con questo metodo aperto assieme al mondo imprenditoriale e alle istituzioni pubbliche. Ci si chiede perché in Trentino si debba trovare un muro di ostacoli tanto forte e arrogante, supportato dalle forze politiche, un muro che è arrivato perfino ad escludere i Verdi dalla presenza amministrativa della nostra Provincia, un muro che non ci aiuta a costruire né distretti culturali, né percorsi innovativi, tantomeno ad offrire ai parchi il ruolo di soggetti di sperimentazione anche sociale. Vogliamo ripartire dal convegno appena concluso per ricostruire un percorso di fiducia e confronto, per ritornare, tutti insieme, a costruire un futuro condiviso e di qualità del nostro territorio, per ritornare a dare ai parchi naturali l’originalità della loro funzione, senza isole, senza campane, ma anche in assenza di evidenti speculazioni economiche e aggressioni alla biodiversità e al paesaggio. Risolvendo le criticità qui espresse.

22.11.08

Fitofarmaci, c'è preoccupazione

TASSULLO - Non solo cittadini preoccupati per gli effetti sulla salute degli antiparassitari, ma anche tanti agricoltori, che quei prodotti li usano. Ad attirare i circa 150 convenuti a Tassullo, per la serata organizzata dal Comitato per la salute in Val di Non, nomi come quello del dottor Giorgio Bianchini , e di Luisa Mattedi dell'Istituto agrario di San Michele. «Mille firme sono state raccolte in Val di Non per chiedere alla Provincia studi aggiornati su suolo, aria ed acqua della valle, ed uno studio epidemiologico sulla salute degli abitanti. I dati statistici dell'Azienda sanitaria secondo i quali la nostra valle sarebbe nella media italiana e provinciale per incidenza di tumori, non ci convincono, perché non escludono quel 30% della popolazione non esposta ad agrofarmaci», ha illustrato Sergio Deromedis del Comitato. L'invito è di pretendere che nelle fasce di rispetto previste dalle ordinanze comunali i trattamenti vengano effettuati a mano e con il getto rivolto verso il campo: «Secondo uno studio scientifico del 1993, fino a 100 metri dal punto di trattamento con atomizzatore il rischio per la popolazione è elevato anche in assenza di vento». Secondo il dottor Bianchini, tra dieci anni una persona su due contrarrà il cancro, e poiché gli studi sulla pericolosità dei prodotti fitosanitari sono spesso commissionati dalle aziende produttrici, «è necessario considerare potenzialmente a rischio qualsiasi sostanza, ed aumentare la partecipazione pubblica nel processo decisionale». Luisa Mattedi ha parlato di convivenza armoniosa fra contadini, ambiente e popolazione: «L'ambiente è un bene di tutti, non una proprietà privata, ma chi non vive di agricoltura deve sapere che le piante vanno aiutate, o si rischia di perdere la produzione». L'agronoma ha sottolineato la possibilità di diminuire ulteriormente il numero di interventi e di «promuovere iniziative di agricoltura biologica attraverso le fasce di protezione attorno ai paesi». È seguita la testimonianza di Marco Osti , agricoltore della Bassa valle che ha intrapreso il metodo di coltivazione biologico. Nel dibattito, tra gli altri ha preso la parola il direttore di Assomela (l'associazione che riunisce le principali Op italiane di mele) Alessandro Dalpiaz : «Il mondo agricolo e frutticolo si chiede come muoversi ormai da tempo, ed il biologico non è la soluzione al problema. Non si può dire che lo scenario non evolva e che la frutticoltura trentina sia passiva: ogni anno si spendono tra i 400 ed i 500 mila euro in analisi ed interventi per migliorarne la compatibilità con l'ambiente. Il Trentino è l'unica realtà dove per l'acquisto e l'uso dei fitofarmaci è obbligatorio un patentino conseguito dopo il superamento di un esame al termine di uno specifico corso». Per Dalpiaz i residui nella frutta nostrana sono ben al di sotto della soglia di pericolo, e «l'effetto deriva si riduce dell'80% già ad una distanza di 30 metri». Applauso degli agricoltori. «Noi rivendichiamo il diritto alla salute del residente. Vivendo in Val di Non non possiamo scegliere di stare a contatto o meno con i pesticidi, mentre i consumatori possono decidere di mangiare una mela bio o trattata», ha ribattuto Deromedis. Applauso dei non agricoltori.

L'Adige, 22.11.2008

21.11.08

La montagna che vogliamo

Ieri pomeriggio si è svolto un happening pubblico sotto la Provincia Autonoma di Trento autoconvocato per cominciare ad immaginare un nuovo modello di sviluppo turistico per il Trentino.
L’iniziativa è stata promossa come una delle risposte alla ventilata ipotesi di acquistare, da parte della provincia, gli impianti di risalita presenti in Trentino. Un settore quello del turismo invernale dello sci, come hanno ribadito gli interventi che si sono alternati al microfono, già ampiamente sostenuto e, nonostante questo, fortemente in crisi. Sono infatti 50 milioni di euro i finanziamenti pubblici già decisi dalla Provincia per sostenere nei prossimi due anni impianti di risalita ad altitudini con scarse precipitazioni nevose.
Il tentativo della giornata, come si può leggere nel comunicato di Officina Ambiente, è stato quello di delineare un ragionamento complessivo, capace di tracciare delle linee di prospettiva, che parli del futuro delle montagne alla luce di questa crisi ma soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici che coinvolgono l’intero pianeta.

Ascolta alcuni interventi dal presidio:
Francesca Manzini, Officina Ambiente | audio
Luigi Casanova, CIPRA | audio
Stefano Bleggi, Cs Bruno | audio
Walter Nicoletti, giornalista | audio
Antonio Marchi, Officina Ambiente | audio
Ezio Casagranda, Filcams del Trentino | audio


Approfondimenti:

Officina Ambiente - aree sciabili
Ambiente e devastazione: la prima giornata di Costruire Autonomia
Dossier "No all'ampliamento delle aree sciabili in Trentino"

Link:
La montagna che vogliamo

19.11.08

Ripensare l'economia di montagna

Le ventilate ipotesi dell'acquisto, da parte della Provincia, degli impianti di risalita hanno suscitato un dibattito molto partecipato al quale hanno contribuito economisti ed industriali, conoscitori della montagna e qualche ambientalista. Ci si è soffermati sulla questione "etica", valutando la correttezza di un esborso di soldi da parte dell'Ente pubblico ad un settore – quello dello sci – che da molti anni è già lautamente finanziato; si è discussa la modalità dell'acquisto, se attraverso public company o secondo una valutazione caso per caso; c'è stato chi ha letto nell'intenzione di acquisto una tattica anti-congiunturale, una mossa per arginare una crisi finanziaria che non sappiamo come e quanto si tradurrà nell'economia reale dei nostri territori.

Ma nessuno è riuscito a delineare un ragionamento complessivo che sia capace di tracciare delle linee di prospettiva, che si interroghi sul futuro del sistema turistico invernale, che parli del futuro delle montagne alla luce di questa crisi ma soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici che coinvolgono l'intero pianeta. Per essere più chiari: un intervento pubblico così strutturato, si pone il problema della riconversione industriale del turismo invernale trentino o continuerà nella politica cocciuta e fallimentare dell'innevamento forzato delle piste sciabili ad altitudini dove ormai crescono le palme? Crediamo che qui stia il punto, non tanto nel metodo di "salvataggio" di aziende che hanno sempre e solo pensato al profitto, ma nella capacità di intervento pianificato per disegnare un nuovo modello di gestione del turismo di montagna.

La superficialità con cui si è affrontato il tema dell'acquisto degli impianti di risalita è, infatti, la cartina di tornasole che definisce la cifra dell'inconsistenza delle politiche trentine sul sistema alpino. E' anche la prova che né la lobby degli impiantisti, ma nemmeno l'amministrazione provinciale di questi ultimi decenni, si pongono il problema di gestire una trasformazione strutturale dell'economia di montagna, chiudendo gradualmente tutte le stazioni sciistiche sotto i 1800 metri di altitudine e finanziando contestualmente un nuovo modello che valorizzi il territorio secondo le sue specificità locali e spalmi l'offerta turistica nell'arco dell'anno e non soltanto nei pochi mesi sciabili.

Sarebbe grave che con la scusa del "salvataggio" delle aziende in crisi si perpetuasse la politica scellerata di finanziamento a nuovi impianti, a nuovi innevamenti artificiali, a ulteriore impiego di risorse idriche ed energetiche per sfamare la voracità dei cannoni da neve e si lasciasse a margine l'occasione per ripensare ad un nuovo turismo, ad una nuova economia di montagna.

Le associazioni ambientaliste, ma anche e soprattutto i comitati che costellano ogni valle del Trentino, devono riuscire nell'intento di pretendere che ogni azione che riguarda gli impianti di risalita sia inserita nel dibattito sul futuro della montagna, cercando gli spazi politici e partecipativi per determinare le scelte e per contribuire nella definizione di un nuovo sistema Alpino.

Le linee su cui ci muoviamo sono semplici ma chiare, tengono conto del domani e non intendono schiacciarsi sulle soluzioni tampone che crediamo inutili e dannose: per un progetto di riconversione dell'offerta turistica invernale del Trentino – che abbandoni la monocultura dello sci alpino – è necessario non dimenticare che entro poco tempo le stazioni invernali di media e bassa quota non avranno quasi più innevamento naturale, e non è più possibile sostituire l'innevamento naturale con grandi investimenti per la neve artificiale; per avviare un serio e graduale passaggio, gestito politicamente e in modo condiviso, è impensabile qualsiasi intervento di potenziamento e ampliamento nei comprensori sciistici. Detto questo, cosa ormai suffragata da studi e ricerche internazionali sia in campo climatologico che economico, intendiamo contrastare le proposte della Provincia – e le "aperture" di Dellai ai desideri degli impiantisti – se esse saranno (come oggi appaiono) una conferma della situazione esistente e cioè spreco di risorse pubbliche e un altro regalo alla lobby degli impiantisti.

OFFICINA AMBIENTE

15.11.08

No skilift di Stato!

Vogliamo decidere noi del futuro delle nostre montagne.
Giovedì 20 novembre ore 17.00 - Tutti in Piazza Dante, sotto il Palazzo della Provincia

Da settimane ormai si discute del futuro del modello turistico invernale trentino. Se ne discuteva prima della scadenza elettorale del 9 novembre, quando da più parti giungevano i segnali di una crisi ormai evidente che colpisce il mondo dello sci. Se ne discute oggi, a pochi giorni dalla rielezione di Lorenzo Dellai, con la proposta - comparsa sulle pagine dei quotidiani locali - dell'acquisto da parte della Provincia degli impianti di risalita delle società in crisi. Come dice bene Pierangelo Giovannetti nel suo editoriale si mette in pratica il vecchio metodo, sperimentato con Alitalia, che consiste nel pubblicizzare le perdite e privatizzare i profitti.
Non possiamo accettare una tale semplificazione rispetto ad un argomento che non coinvolge semplicemente i bilanci delle società degli impiantisti, ma soprattutto il futuro delle nostre montagne, delle nostre valli, del nostro territorio.
Crediamo che decisioni di questo tipo non si possano prendere semplicemente da un punto di vista finanziario, senza tenere in considerazione la prospettiva di un modello futuro di sviluppo diverso da quello che prevede la "monocultura dello sci" come unica risorsa per il Trentino.
Alla proposta d'acquisto della Provincia dobbiamo opporre la forza di un nuovo progetto, che ponga al centro la difesa di un territorio già troppe volte martoriato da investimenti scellerati per la costruzione di nuovi impianti, un progetto che immagina uno sviluppo turistico condiviso con la popolazione e non imposto dalla crisi economica.

Autoconvochiamoci giovedì 20 novembre alle ore 17.00 sotto il Palazzo della Provincia Autonoma di Trento per cominciare ad immaginare un nuovo modello di economia turistica per il Trentino.

Dellai, partenza con il piede sbagliato

La nuova giunta provinciale non è stata ancora fatta, e già sul tavolo di Lorenzo Dellai vi è il primo progetto: provincializzare gli impianti di risalita del Trentino. Non bastano i 50 milioni di finanziamenti pubblici già decisi dalla Provincia per sostenere nei prossimi due anni funivie anche dove la mancanza di neve e di sciatori non lo consentono. Adesso si va oltre: se le società che gestiscono gli impianti hanno i conti in rosso, non solo ci deve pensare il contribuente a sanare a pie' di lista il deficit che ogni anno creano. Di più: i contribuenti adesso sono chiamati anche a finanziare l'acquisto degli impianti, la loro manutenzione, il loro continuo rinnovamento.
Così che le società private possano dedicarsi «solo» alla gestione (a questo punto in attivo) e alla riscossione degli utili. Insomma, la vecchia filosofia tornata di recente in auge con Alitalia: pubblicizzare le perdite, privatizzare i guadagni. Appena sarà legge il piano (che gli uffici provinciali assicurano in avanzata elaborazione, pronto per essere approvato dalla nuova giunta dopo l'insediamento), avremo gli ski lift di Stato. Come nei Paesi del socialismo reale. Con la differenza che lì la decenza (e i soldi) si fermavano ai tram e ai treni di Stato. Qui da noi, invece, terra di socialismo reale un po' più godereccio, le tasse pagate dai cittadini non dovranno servire per finanziare asili nido e case di riposo, ma luccicanti impianti di risalita per l'industria (?) delle società funiviarie.
Ora questo mostruoso progetto annulla in un colpo solo la libertà di mercato, la concorrenza, l'oculatezza della gestione dei bilanci (a che serve, se tanto paga la Provincia?) e, soprattutto, la valutazione oggettiva se vale la pena gettare risorse in un settore che nei prossimi anni sarà obbligatoriamente ridimensionato per la mancanza di neve sotto una certa quota. mutamenti climatici in atto da tempo, come confermano tutti gli studi di settore, vedranno l'aumento di due gradi della temperatura entro i prossimi decenni. Questo ridurrà le aree sciistiche in quota, limitandole al di sopra di 1.800-2.000 metri. Stime del Centro Euro Mediterraneo prevedono che entro una generazione solo il 18% delle stazioni invernali di risalita presenti nel versante italiano delle Alpi potrà essere considerato affidabile, cioé in grado di garantire almeno 30 centimetri di neve per cento giorni l'anno. Ciò vuol dire, tra le varie cose, che i soldi pubblici che si destineranno agli ski lift di Stato, saranno tutti soldi buttati dalla finestra. Non un investimento per il futuro, ma un scialacquare per l'oggi, con la certezza che non avranno alcun valore per il domani. Invece di pensare ad impostare un nuovo modello turistico per il Trentino e per le Alpi italiane, che valorizzi la montagna per l'ambiente e la bellezza che offre, e che non si appiattisca sulla monocultura dello sci, si arriva addirittura a scaricare tutti i costi di questa follia irresponsabile sul contribuente trentino.
Ma se gli impiantisti credono in questo modello, perché non lo pagano loro? Perché deve essere la Provincia a pagarlo? Tra il resto, il «salvataggio pubblico» delle società impiantiste più in difficoltà è una palese violazione della concorrenza, che danneggia le società sane del settore, che vengono così messe fuori mercato. Lo affermano chiaramente gli operatori del settore più seri (vedi cronache all'interno del giornale). Perché, se la Provincia acquista gli impianti della società con i bilanci in rosso, che senso ha diventar matti a far quadrare i conti e a mettere in piedi economie di scala, e a introdurre innovazioni di mercato? Qui si premia chi fa debiti e perdite, non chi ha i bilanci in regola. Può reggere un mercato sano tutto questo? Nemmeno la giustificazione che si tratta di «mezzi pubblici» sta in piedi. Infatti, un conto è garantire l'autobus che arrivi in ogni paese, e un altro alimentare artificialmente stazioni in bassa quota che da nessuna altra parte al mondo avrebbe senso mantenere. Le ovovie non sono un servizio pubblico da finanziare con le tasse dei cittadini. Al limite, lo possono essere con l'autofinanziamento degli operatori turistici che traggono vantaggio diretto dalla presenza degli sciatori. Forse è giunto il momento di porre un freno deciso alla collettivizzazione forzata in atto da tempo in questa terra. Perché a questo punto ne va della sopravvivenza del Trentino stesso, già economia assistita, che rischia di diventare una provincia priva di economia, perché tutta collettivizzata. L'acquisto per 50 milioni dei capannoni della Whirlpool ne sono purtroppo uno degli infiniti esempi.

Pierangelo Goivanetti, direttore de L'Adige

14.11.08

Società impianti in provincia di Trento: bilanci in rosso per il 90%

L’Allarme. Su 62 pochissimi in utile secondo l’Anef. Ipotesi salvataggio pubblico

Su 62 società funiviarie in provincia, solo alcune, il 10% circa, sarebbero in utile mentre tutte le altre farebbero segnare rossi nell'ultimo bilancio. A dirlo, in un'intervista rilasciata al Sole 24 Ore Nordest qualche giorno fa, Alberto Pedrotti presidente dell'Anef, l'associazione nazionale delle imprese del settore funiviario. Ma per il comparto arriveranno nuovi aiuti da parte del settore pubblico. Trentino Sviluppo ha messo in cantiere un nuovo ingente intervento che dovrebbe consentire un rilancio e un rinnovamento delle infrastrutture funiviarie al servizio dei comprensori sciistici della provincia. Secondo una prima stima la cifra a disposizione, che potrebbe anche aumentare nei prossimi anni, sarebbe pari a 30 milioni di euro entro il 2010. Successivamente, da più parti era arrivata la proposta di chiedere alla Provincia di applicare il cosiddetto modello valle d'Aosta con la possibilità di un intervento diretto di Piazza Dante nelle infrastrutture funiviarie. Una scelta che si era fatta strada proprio a partire dai problemi, ancora irrisolti, che riguardano le Funivie Folgarida, società a monte della Trento Funivie, e che erano esplosi con i problemi della controllata Aeroterminal Venezia. Prima che le Casse Rurali realizzassero un prestito ponte di alcuni milioni di euro in grado di dare alle Funivie Folgarida la liquidità necessaria per saldare alcuni urgenti capitoli di debito e il tempo per far ripartire gli impianti, ecco che in Provincia si era pensato anche alla possibilità di acquistare i piloni delle funivie in cambio di risorse. La questione da verificare con attenzione è se tale intervento possa infrangere le norme europee sugli aiuti di Stato e in che modo dare corpo alla scelta di acquistare un bene che, a differenza del capannone o del terreno industriale, ha un valore costantemente in calo durante la sua vita.

L’Adige 14/11/2008

Il Bondone come l’Alitalia

Bertoli: alla Provincia impianti e investimenti, a noi la gestione

Solo l'intervento della Provincia, con soldi pubblici freschi, può garantire la nuova fase di rilancio del Bondone, che prevede investimenti per 9 milioni di euro. Parola di Andrea Bertoli (foto), presidente di Trento Funivie, ascoltato ieri dalla commissione ambiente del Comune di Trento. Bertoli ha caldeggiato l'acquisto, da parte della Provincia, degli impianti di risalita: l'ente pubblico dovrebbe così provvedere agli investimenti e ai costi di manutenzione, mentre alle Funivie spetterebbe la gestione. Perché con i ricavi da skipass, ha spiegato Bertoli, si possono coprire solo i costi di gestione, non gli ammortamenti e il rientro dei debiti. Una sorta di modello Alitalia per il Bondone.
Nella grande partita che si sta per aprire sul futuro degli impianti sciistici in Trentino, Andrea Bertoli, presidente di Trento Funivie, tifa Provincia. E ieri sera, in commissione ambiente a palazzo Thun, lo stesso Bertoli ha ribadito che solo il denaro fresco della Pat potrà sbloccare la terza e ultima tranche di investimenti - per circa 9 milioni di euro - indispensabili alla riqualificazione degli impianti di risalita e quindi al rilancio turistico del Bondone. Ma come si attuerà il nuovo intervento provinciale auspicato dagli impiantisti? «E' stata avanzata l'ipotesi di una "pubblicizzazione" delle funivie trentine» ha ricordato Bertoli alla commissione riunita per un aggiornamento sul piano di rilancio del Bondone. «In questo momento non ci sono altre proposte in campo. Ma ora attendiamo il varo della nuova giunta per capire l'orientamento della Provincia». Parole esplicite quelle di Bertoli che con il padre Ernesto è titolare dell'«impero» Folgarida-Marilleva. Parole che pesano, sebbene oggi la società solandra non navighi in buone acque dopo il disastroso investimento immobiliare nella zona aeroportuale di Venezia. Quella degli impianti a fune sarà allora una delle prime patate bollenti che il rieletto presidente Dellai si troverà tra le mani. Un nodo difficile da sciogliere, ma che in Val d'Aosta e Friuli è stato scaricato sull'ente pubblico. «Nelle due regioni autonome - ha ricordato Bertoli - i governi locali hanno acquisito la proprietà degli impianti tramite due società pubbliche, Finaosta e Promotur, e ora li gestiscono accollandosi le spese di investimento e manutenzione». Sono proprio questi costi a preoccupare gli imprenditori trentini della neve. «Oggi - ha continuato riferendosi al caso Trento Funivie - facciamo fatica a rientrare delle spese di investimento, sempre più alte per il loro costante riammodernamento. Con i ricavi degli skipass facciamo fronte ai costi di gestione, ma non agli ammortamenti e al rientro dei debiti». La questione interesserebbe molti operatori tanto che nelle settimane scorse il presidente di Trentino Sviluppo Paolo Mazzalai, prima, e l'ex assessore all'industria Marco Benedetti, poi, avevano lanciato l'ipotesi di una «scatola» pubblica dove metter gli impianti per farli poi gestire a società private. «Noi - ha confermato Bertoli - abbiamo la professionalità e l'esperienza per la gestione». In un sol colpo si potrebbero superare i rigidi vincoli europei al finanziamento pubblico delle imprese, che oggi impediscono l'assegnazione di contributi superiori al 12,5% degli investimenti. Quello del sostegno pubblico è un tema caldo anche per il Bondone. Dopo l'assegno di tre milioni di euro staccato in agosto da Trentino Sviluppo e Comune per coprire parte dei debiti di Trento Funivie, l'ultimo protocollo d'intesa tra proprietà pubblica, il Comune di Trento, e quella privata, Funivie Folgarida Marilleva, prevedeva uno stanziamento di altri tre milioni a fronte dell'avvio dei lavori per la realizzazione dell'impianto Vanezze-Montesel, ultima tranche di investimenti per il rilancio del Bondone. Ma nell'intricato gioco dei vincoli reciproci, Trento Funivie aveva chiesto più contributi provinciali (fino al 30%) garantiti dal passaggio allo status di stazione sciistica locale. Peccato che le norme europee escludano il Bondone in virtù di una percentuale di skipass plurigiornalieri superiore al 15% del totale. Ecco che allora anche il futuro del turismo in Bondone - una stazione di «slow ski» dalle buone potenzialità come ha detto ieri Bertoli - dipendono da una partita più grande che si giocherà nei prossimi mesi tra le piste da sci e piazza Dante.

L’Adige 14/11/2008

13.11.08

Può un movimento per l’acqua non riconoscersi nell’Onda?

Siamo donne e uomini da sempre impegnati nei nostri territori e a livello nazionale e internazionale per il riconoscimento dell’acqua come bene comune e diritto umano universale, da sottrarre al mercato e al profitto e da restituire alla gestione partecipativa delle comunità locali.
Insieme abbiamo prodotto e animato decine di conflitti territoriali contro la privatizzazione dell’acqua e per la difesa dei beni comuni.

Insieme abbiamo costituito, nel marzo 2006, il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, una rete che raccoglie più di settanta associazioni ed organizzazioni e più di trecento comitati territoriali.
Insieme abbiamo raccolto più di 400.000 firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per la tutela, il governo e la gestione pubblica dell’acqua.
Insieme abbiamo costruito, il 1 dicembre 2008, la prima manifestazione nazionale per la ripubblicizzazione dell’acqua e per la difesa dei beni comuni, che ha visto più di 40.000 persone sfilare per le strade di Roma.
Vi abbiamo visto inondare le città e le piazze di questo paese chiedendo a gran voce la difesa della scuola pubblica, il diritto all’istruzione, alla conoscenza e al futuro, lottando contro la mercificazione del sapere e della formazione, la precarizzazione della conoscenza e della vita, lo svilimento della scuola primaria, la privatizzazione dell’università.
Vi abbiamo sentito urlare con rabbia ed allegria : “Noi la vostra crisi non la paghiamo” riprendendovi gli spazi delle scuole e delle università e facendole diventare nuove agorà di socialità, conoscenza e incontro fra i movimenti e le lotte di chi vuole cambiare le politiche di questo paese e di chi vuole praticare un altro mondo possibile.
Questo mondo è oggi attraversato dalla più importante crisi economica e finanziaria che la storia ricordi, mentre si è approfondita la crisi alimentare globale e si è definitivamente appalesata la crisi ecologica e resi evidenti i primi effetti permanenti dei cambiamenti climatici planetari.
Un modello di ordine mondiale, fondato sul pensiero unico del mercato, sull’accaparramento predatorio delle risorse naturali, sulla mercificazione dei beni comuni e la loro consegna ai grandi capitali finanziari, sullo svuotamento della democrazia e della partecipazione popolare sta dimostrando il proprio completo fallimento.
Il “crack” globale dell’economia finanziaria rappresenta l’esito di trenta anni di politiche liberiste, basate sull’assioma “privato è bello”, sulla deregolamentazione del lavoro, sulla privatizzazione dei servizi pubblici, sulla espropriazione dei diritti sociali.
Oggi sono i grandi poteri bancari e finanziari ad invocare l’intervento pubblico e il sostegno statale.
Oggi sono i più sfrontati liberisti a dichiarare il fallimento del mercato.
Lo scopo è chiaro: ottenere un nuovo travaso di risorse dalle collettività ai poteri forti per rilanciare i flussi finanziari mondiali e riprendere l’espropriazione di risorse.
Così si chiedono sostegni pubblici alle banche, mentre si approvano normative –come l’art. 23 bis della Legge n. 133/08- che perseguono la definitiva messa sul mercato dei servizi pubblici locali, a partire dall’acqua e dal servizio idrico integrato.
Così si approvano normative per il drastico taglio dei fondi alle scuole di ogni ordine e grado, si inasprisce la precarietà e si attaccano i diritti del lavoro, si militarizzano gli spazi della democrazia e del conflitto sociale.
“Noi la vostra crisi non la paghiamo” avete detto voi per primi, inondando le strade di questo paese e riaffermando un protagonismo diretto, senza deleghe alcune né qualsivoglia rappresentanze.
“Noi la vostra crisi non la paghiamo” diciamo anche noi, reclamando la fine delle politiche liberiste di privatizzazione e ponendo al centro della nostra iniziativa la riappropriazione sociale dell’acqua e dei beni comuni, la loro cura e conservazione per le generazioni future, la loro gestione partecipata dai cittadini, dai lavoratori e dalle comunità locali, come motore di una ricostruzione dei legami sociali, di una riaffermazione dei diritti collettivi, della riproduzione di un’appartenenza sociale aperta e condivisa.
In una parola, di una nuova democrazia e di un altro mondo possibile.

Senza acqua non c’è diritto alla vita.
Senza saperi, formazione e conoscenze c’è solo dominazione del più forte.
Senza spazio pubblico non c’è partecipazione né democrazia.

Per questo ci riconosciamo nella vostra lotta e salutiamo la vostra assemblea nazionale, confermando la nostra piena solidarietà alle vostre mobilitazioni e proponendovi intrecci fra le nostre reciproche esperienze.
Intrecci che possono essere resi ancora più forti e solidi, partendo dalla consapevolezza -che poi è anche la cifra del nostro percorso- di come unità, radicalità, autonomia e inclusione delle differenze costituiscano il carattere fondante dei movimenti sociali.
Il 22-23 novembre prossimi, il movimento per l’acqua terrà ad Aprilia il suo secondo Forum nazionale, per fare il punto delle mobilitazioni attivate e per rilanciare con ancora più forza le ragioni della riappropriazione sociale dell’acqua e della difesa dei beni comuni.
Ci piacerebbe che fra gli interventi di apertura, sabato 22 mattina, ci fosse anche un contributo di una/uno studente che racconti al popolo dell’acqua pubblica l’esperienza del popolo della scuola pubblica.
Ci piacerebbe che, nell’autonomia dei reciproci percorsi, si potessero innescare importanti connessioni, promuovendo iniziative comuni dentro e fuori le Università che facciano incontrare le nostre battaglie per i beni comuni.

Ci piacerebbe ascoltarvi e raccontarvi qualcosa di noi.

Con curiosità, fiducia e determinazione.

Dobbiamo solo cambiare il mondo.

Un caro abbraccio a tutte e tutti.

Forum italiano dei movimenti per l’acqua
www.acquabenecomune.org

12.11.08

Il Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non

presenta

Serata-dibattito
“Da l'autra banda del pomar”
(Dall'altra parte del melo)

20.30 Saluto e introduzione.
A cura del Comitato per il Diritto alla Salute
20.45 L'agricoltura intensiva vista e vissuta da alcuni residenti in Val di Non.
21.15 Dalla negazione del rischio al principio di precauzione.
A cura del dottor Giorgio Bianchini
21.45 Un'agricoltura più rispettosa della vita e dell'ambiente: un'alternativa possibile.
A cura di Luisa Mattedi
22.15 Agricoltura pulita in Val di Non: una tesimonianza concreta.
A cura di Marco Osti

Moderatore: Marco Niro, giornalista di QT

Tassullo (TN) - Sala Centro Anziani
Giovedì 20 novembre '08 - ore 20.30

Scarica la locandina della serata

4.11.08

Folgaria235 propone "improvvisi per menti curiose", tre nuovi appuntamenti per parlare di un vivere la montagna diverso rispetto alle forme di "sviluppo" che si prospettano per il futuro dell'altopiano di Folgaria.

IMPROVVISI PER MENTI CURIOSE
tre occasioni per incontrarsi

GIOVEDI' 6 NOVEMBRE
"Il ritorno all'Alpe, esperienze di recupero di pascoli abbandonati"
Con Luca Bronzini e Maurizio Odasso

VENERDI' 14 NOVEMBRE
Proiezione del film "Il vento fa il suo giro" di Giorgio Diritti

VENERDI' 21 NOVEMBRE
"Nunatak, rivista di storie, culture, lotte della montagna"
Presentazione della rivista con alcuni dei redattori


Folgaria, Casa della Cultura, ore 21.00

  • Scarica la locandina delle tre serate

29.10.08

I nuovi impianti sono uno scempio

Gli ambientalisti non si arrendano e protestano

FOLGARIA - Si alza forte e convinta la voce degli ambientalisti di Folgaria 235, di Mountain Wilderness e Officina Ambiente contro l'allargamento del comprensorio sciistico di Folgaria, verso località Pioverna e di conseguenza verso il Veneto nella straordinaria e suggestiva Val delle Lanze.
Il loro è un diniego secco, senza mezzi termini. «L'allargamento dell'area sciabile in quella direzione rappresenta una decisione impostata dall'alto, presa senza che la popolazione abbia potuto esprimersi liberamente in merito. È causa diretta di nuove speculazioni edilizie, in un territorio già eccessivamente urbanizzato», sostengono gli ambientalisti.
Il nuovo progetto di espansione prevede un arroccamento funiviario all'Alpe di Folgaria/Passo Coe, da questa area l'impianto salirà fin sulla vetta di Pioverna, in territorio trentino, non più come era originariamente progettato a Costa d'Agra terra veneta. Da cima Pioverna scenderà una pista (e non più due) fino all'Alpe. «Gli impianti in questa zona rappresentano uno scempio ambientale inaccettabile ed irreversibile.
I costi di gestione li rendono finanziariamente insostenibili», affermano Folgaria 235 , Mountain Wilderness ed Officina Ambiente. In Trentino i bilanci delle società funiviarie /impiantistiche , ad eccezione di casi sporadici, mostrano i segni rossi, addirittura in questi ultimi mesi la Provincia attraverso la finanziaria Trentino Sviluppo è entrata o sta entrando direttamente nel capitale sociale di alcune società, per portare "ossigeno" e riorganizzare il settore, che molti operatori ritengono indispensabile per poter sviluppare la stagione turistica invernale. «Il sistema impianti e piste divora risorse - acqua ed energia - sempre più preziose e sempre più scarse, non portando alcun specifico beneficio economico per la maggioranza della popolazione, dei residenti , ma solo altri soldi nelle solite tasche.
Molti studi di settore indicano una profonda crisi nell'industria dello sci e sconsigliano grossi investimenti, che rappresentano uno spreco gigantesco di risorse pubbliche che potrebbero essere impiegate diversamente», concludono in una nota le associazioni ambientaliste.

Tiziano Dalprà, l'Adige del 29 ottobre 2008

24.10.08

Comunità autonome e patti territoriali: la terza giornata di Costruire Autonomia

La rassegna di incontri e dibattiti, svoltasi al Centro sociale Bruno e intitolata "Costruire Autonomia", si conclude con la giornata "Comunità autonome e Patti territoriali". Un approfondimento sul territorio e sul movimento che ha visto la partecipazione di molti comitati trentini e delle comunità in lotta di Vicenza e Chiaiano.

Stefano Bleggi, del Centro sociale Bruno, introduce l’assemblea della mattinata "Patti territoriali, nuove reti per la costruzione di lotte comuni".
Nella prima parte dell’incontro ciascuna realtà narrerà brevemente la propria esperienza locale, per poter conoscere i diversi comitati che si sono creati in Trentino. All’assemblea partecipano anche i comitati del bellunese e dell’alto vicentino.
L’intervento di Virgilio Rossi e Marco Osti dalla Val di Non. Il Comitato contro i pesticidi ha svolto molte ricerche scientifiche e approfondite rispetto ai danni causati dai pesticidi alle persone, al terreno, a tutto l’ecosistema.
Il lavoro portato avanti dal Comitato consiste in raccolte firme, mobilitazioni, formazione tecnico-legale, ma è ostacolato dal Consorzio Melinda.
Il Comitato chiede che le regole vengano rispettate: se i pesticidi utilizzati sono velenosi, la Melinda si deve preoccupare che le persone non vengano intossicate.
Tiziano del Comitato Prà Gras di Fonzaso (BL) spiega che il comitato è nato come uno spazio aperto contro l’insediamento di una fonderia nel mezzo delle case, causa di malattie alle vie respiratorie.
Il lavoro fondamentale del comitato consiste nell’informare i cittadini, attraverso volantinaggi porta a porta e attraverso incontri con altri comitati.
Roberto Segalla del comitato di Schio contro l’inceneritore.
Nonostante qui la raccolta differenziata funzioni molto bene, è stato approvato un piano per raddoppiare la portata dei rifiuti da incenerire, il tutto in modo arrogante e senza consultare i cittadini, i quali chiedono che non sia l’incenerimento il metodo utilizzato per smaltire i rifiuti.
Il comitato si riunisce insieme al comitato di vigilanza e ai Genitori Preoccupati per creare una mobilitazione popolare.
Lorenza Erlicher fa parte del comitato contro la base militare di Mattarello, vicino a Trento, e ripercorre le ultime iniziative e mobilitazioni contro la costruzione della base, dalla presentazione di un contropieghevole che spiega le ragioni del no, illustra come la base ospiterà militari professionisti e svela i reali costi molto elevati delle strutture, fino alla recente manifestazione del 4 ottobre nelle strade di Trento.
Daniele Gubert del Primiero: qui è nato un comitato che è riuscito a fermare il progetto della diga in Val Cortela e del campo da golf in Val Canali e attualmente è impegnato a fermare un altro progetto idroelettrico.
Si batte inoltre contro la devastazione della riserva integrale Paneveggio - Pale di San Martino, che vuole essere cancellata per costruire un assurdo sistema di funivie, che deturperebbero il bellissimo paesaggio dei Laghetti di Colbricon.
Rispetto a questo il Comitato PrimieroViva sta preparando un dossier da presentare a Bruxelles.
Arturo e Francesca Manzini di Folgaria spiegano la situazione di questa zona: l’industria dello sci progetta impianti di risalita per 70 milioni di euro, causa di enormi consumi idroelettrici e che andrebbero a devastare l’unica porzione dell’altopiano ancora non invasa da piloni e cemento.
Qui si è creato un movimento di opposizione a queste problematiche, che intende ribellarsi al forte clima di controllo sociale imposto dal Comune e favorevole invece ad uno sviluppo sostenibile del territorio.
La seconda parte della mattinata continua con un giro di voci dei comitati presenti per presentare proposte concrete di mobilitazione e per creare una nuova rete di comitati.
Sono intervenuti: Gianfranco Poliandri del Comitato No Tav del Trentino, Federico Zappini del Centro Sociale Bruno, Maurizio Barrella di Officina Ambiente, Roberto Segalla del Comitato di Schio contro l’inceneritore, Sergio Deromedis del Comitato contro i pesticidi in Val di Non, Tiziano Comitato Prà Gras di Belluno, Antonio Marchi di Officina Ambiente.
Le conclusioni di Stefano Bleggi del Centro sociale Bruno.

“Tre aspetti importanti sono emersi: il primo è una visione comune che il comitato non può bastarsi e divenire così una realtà autoreferenziale, ma deve essere un luogo inclusivo di nuova partecipazione e di lotta;
l’altro aspetto è quello che i comitati non possono essere legati semplicemente a dei “No” ma propensi anche alla definizione e costruzione di proposte alternative;
l’ultimo riguarda la volontà di divenire un’altra istituzione a salvaguardia dei beni comuni.
Da qui la proposta di creare un patto territoriale, una rete di solidarietà per costruire dei percorsi comuni, con la voglia di rivedersi, scambiarsi stimoli e suggestioni e far partecipare altri comitati a questo percorso comune.”

Vedi anche:
Ambiente e devastazione: la prima giornata di Costruire Autonomia

Altipiani di Folgaria e Lavarone: una pioggia di euro per gli impianti

Da qui al 2011 investimenti per 40 milioni

"Le piste di sci e gli impianti di risalita sono determinanti in località che puntano al turismo invernale, ma non bastano se attorno ad essi non cresce una cultura della montagna, delle tradizioni e della qualità dei servizi". Questo sembra essere il concetto dominante per rilanciare gli altipiani, uscito dal recente summit della Carosello Ski. Nel mirino, i due centri dello sci nordico, Malga Millegrobbe per Lavarone e Luserna, e l'Alpe di Folgaria - passo Coe per Folgaria. La vocazione di questi altipiani per lo sport degli sci stretti sembra evidente: distese immense si allungano e s'intrecciano con strade forestali e militari che danno il senso dello spazio e contornano un ambiente meraviglioso. A Lavarone si punterà a far nascere - a Millegrobbe, in terra cimbra - un centro wellness, per la prima volta forse in Trentino si darà spazio ad un progetto che sposi lo sport, il trekking e il relax. Il tutto nel bel mezzo della montagna e delle piste. Sorgerà in quest'area un centro per il benessere fisico e tutto il comparto dello sci nordico dovrebbe trovarne giovamento. L'investimento previsto è di circa 3 milioni di euro. Nuove prospettive per le piste che dovranno anche toccare malga Campo, l'omonimo rifugio e collegare l'isola linguistica di Luserna con il Centro stesso. L'idea era quella di sviluppare i sentieri dello sci, attraverso esperienze di trekking che mettano in relazione tutti gli altipiani compresa l'area di Roana ed Asiago. Chilometri e chilometri di passeggiate nella neve. A Folgaria invece si punterà a dare lustro al Centro Fondo: già l'anno scorso, con la gestione di Dimitri Muraro, il settore ha incrementato le presenze e si è finalmente ridata qualità ed organizzazione alle piste ed al settore. Ora all'Alpe sorgerà un invaso alpino di 42 mila metri quadrati che conterrà ben centomila metri cubi d'acqua; sarà in parte autoalimentato ed in parte riempito con l'acqua pompata da altre zone. Il bacino, che assumerà la forma e l'utilizzo di un vero laghetto di montagna, servirà in inverno come serbatoio idrico per i sistemi d'innevamento artificiale dei nuovi impianti che quassù sorgeranno. Il Centro Fondo verrà riqualificato grazie anche all'arrivo dei contributi per l'organizzazione nell'inverno 2010 dei campionati mondiali studenteschi. A tale proposito per quel periodo dovrebbe trovare completamento anche la nuova pista agonistica per lo sci alpino denominata «Martinella Nord 2», che sarà con ogni probabilità dotata di un sistema di illuminazione notturna. Nella stagione 2009/2010 partiranno poi i lavori per una nuova quadriposto ad agganciamento automatico che da Fondo Piccolo salirà fino a cima Plaut, per poi collegarsi con il sistema impianti e piste. Spesa prevista 7 milioni di euro. Pioveranno milioni di euro per collegare con una cabinovia Folgaria (dalla zona Palasport) a Francolini (circa 25/30 milioni di euro) e da cui salire fino al forte Sommo Alto. Un impianto che costringerà a spostare l'attuale strada provinciale. Infine, l'altra parte dell'altopiano - l'Oltresommo - sembra non esistere: qui i progetti non passano e se passano nessuno li vede perchè invisibili.

L'Adige, 23.10.2008

"Fermiamo il bando di gara della base militare di Mattarello!"

Di seguito il testo letto durante la serata organizzata, martedì sera, dal Comitato di Mattarello durante la quale sono state presentate le posizioni dei vari candidati alle elezioni provinciali sulla questione della base militare.

"Parlo a nome di chi ha creduto, crede e crederà sempre che per fermare la base militare di Mattarello sia necessaria una presa di coscienza collettiva, che per opporsi a questa decisione sia importante l’impegno e la partecipazione di tutti, con pratiche e percorsi diversi, ma con un unico obiettivo.
Questa sera il Comitato di Mattarello ha reso pubbliche le posizioni dei candidati alle prossime elezioni provinciali rispetto alla costruzione della base di Mattarello. Ma non possiamo però accettare il comportamento di chi ha organizzato questa serata che decide di mettere nelle mani dei candidati le sorti di una lotta importante come quella dell’opposizione a quest’opera devastante.
Questo percorso, quello della delega ai partiti e della ipocrisia elettorale, tralascia per l’ennesima volta la possibilità di costruire dal basso un’opposizione reale, consegnando nelle mani del candidato di turno il futuro del nostro territorio.
Se ci sono qui consiglieri comunali o circoscrizionali, chiedete cosa hanno detto in questi anni, quali iniziative, quale intervento hanno mai fatto contro la costruzione di una base militare in città. Se qui ci sono consiglieri provinciali, dicano quante parole hanno speso in consiglio provinciale per opporsi a quest’opera.
A tutti i candidati - pacifisti e nonviolenti, ambientalisti e sedicenti no-global – chiedete che garanzie offrono, a parte il tragicomico tentativo di conquistare gli ultimi pacchetti di voti. Voti a perdere, senza che siano sottoposti un giorno a verifica del loro operato.
Non possiamo accettare un percorso ricco di ambiguità, incoerenza e ipocrisia.
Abbiamo letto di candidati che rispondono alla richiesta del comitato dicendo di essere nonviolenti, ma senza dire chiaramente se Sì o se No.
Ricordiamo che la nonviolenza è una nobile pratica, non un bla bla bla. La nonviolenza è uno strumento, che mette in gioco il proprio corpo: se si crede che una cosa sia sbagliata, il nonviolento arriva a fare sciopero della fame, non si limita a spazzolare consensi.
Se un candidato sbandiera la sua qualifica di obiettore di coscienza, sia capace di trovare nuove forme per rinnovarla, non basta ad apparire candido, riesce solo ad umiliarsi come candidato semplice.
Ognuno faccia la sua parte, al servizio di un solo obiettivo: impedire la costruzione di una base militare che significa finanziamenti alla guerra, cultura militarista e distruzione di territorio. Ma nessuno usi strumentalmente questo argomento per propri interessi personali o di bottega (quando le botteghe sono diventate partito o lista o corrente interna al PD). E nessuno usi la questione di Mattarello per dare la possibilità ai sepolcri imbiancati della politica trentina di mettersi in mostra, chi lo fa è semplicemente meschino.
Da parte nostra, continueremo ad offrire il nostro contributo, con chiarezza e senza ipocrisia, per permettere che un sogno si realizzi: non vedere nelle campagne di Trento un mostro di 30 ettari di cemento che contiene armi e addestra i militari alla guerra.
Lo faremo, entro novembre – data in cui sarà ufficializzato il bando di appalto – con una iniziativa partecipata e comunicativa, radicale e nonviolenta, dentro gli uffici che decideranno su questi appalti.
Lo faremo per fermare la base e per imporre alla politica di rimettere in discussione il progetto.
Lo faremo con chiarezza, la chiarezza che qui non c’è.
Questa sera di politici in realtà se ne sono visti pochi, ma in un luogo senza chiarezza, soffocato dall’ipocrisia, che si affida alla grancassa del "Votantonio", noi non ci stiamo, non è posto per noi."

20.10.08

Tremalzo (Val di Ledro), tutti contro "l'operazione Leali"

"Bisogna fermare quell'ecomostro"

L' "ecomostro" non s'ha da fare. Questo è emerso l'altra sera durante l'incontro presso la sala del teatro di Locca di Concei organizzato dal comitato «Sos Tremalzo», dove si è dibattuto riguardo gli scenari futuri dell'area, da tempo bersaglio di proposte in chiave di rilancio turistico. L'ultima di queste, che ha visto l'entrata in scena dell'imprenditore bresciano Alcide Leali, ex patron di Air Dolomiti, non è andata giù a larga parte della cittadinanza e al comitato, che hanno fatto quadrato attorno alla zona per evitarne l'invasione. Questi i fatti: in prima battuta Leali prevede la creazione di un «Family and Wellness Hotel», struttura alberghiera e residenziale di livello medio-alto comprensiva di centro benessere, piscina, idromassaggio e quant'altro, per oltre 65 mila metri cubi di nuove infrastrutture. Oltre al corpo principale, infatti, vanno aggiunti residence, negozi, una serie di villette, una chiesetta e una piazzola volte a creare un villaggio fittizio in quota con tanto di parcheggi e vasche per l'innevamento artificiale interrati. Per completare l'opera e renderla autosufficiente ovviamente vanno costruiti acquedotto con pompaggio d'acqua dal fondovalle (la conca di Tremalzo ne è priva), elettrodotto, teleriscaldamento e una nuova strada d'accesso. Praticamente il settimo comune della val di Ledro. Opera impattante certo, ma al di là delle opinabili considerazioni di carattere ecologista, soggette spesso a controproducenti cadute nel fanatismo, a tenere banco sono soprattutto le ombre in ambito amministrativo e legislativo della questione. L'area comprendente Tremalzo è un sito di importanza comunitaria (Sic) ed è ovviamente gravato da uso civico. Ciò significa che il terreno è sì di grande pregio naturalistico e ambientale, ma molto più concretamente dovrebbe avere anche una più che discreta valutazione economica. Eccoci al dunque: quanto vale Tremalzo? Poco, pochissimo. Nell'agosto 2005 il comune di Tiarno di Sopra, (s)vende per 138.900 euro 41mila metri quadri di terreno a Leali. Il conto è presto fatto: meno di 3 euro e 40 centesimi al metro quadrato. Viene spontaneo chiedersi come ciò sia possibile. Semplicemente viene richiesto lo sgravio dell'uso civico spostandolo nel bosco in località Taialonga. Il comune parla di «gravi ed eccezionali circostanze» per giustificare l'operazione, ma secondo gran parte della popolazione ledrense la motivazione non regge. La manovra suscita immediate proteste e per Leali arriva una prima sconfitta. La giunta provinciale, che aveva inizialmente erogato contributi per il ripristino degli impianti sciistici, blocca nel 2006 la vendita dei terreni. La faccenda però è ben lungi dall'esser chiusa. Nel 2008 viene approvata una seconda variante in giunta provinciale, che ridimensiona il progetto: via la nuova strada, via chiesetta e piazza. L'albergo perde 58 posti letto (ora sono 390) e qualche metro d'altezza. Scompaiono garnì e residence mentre il villaggio passa da 16000 a 3000 metri cubi. Secondo gli esperti intervenuti ieri sera non basta: il relatore Giovanni Beretta ha parlato di «atteggiamenti mafiosi» nei rapporti fra le amministrazioni comunali e Alcide Leali. Ezio D'Andrea, di Coldiretti, ha sostenuto la necessità di stimolare la consapevolezza del ruolo delle comunità: «Gli abitanti di queste località meravigliose devono essere i primi difensori del paesaggio alpino - ha spiegato - e unirsi in una sorta di autogoverno che vigili su questo genere di operazioni». In seguito a prendere la parola è stata Annamaria Santolini, esperta di sviluppo sostenibile, che ha bocciato in toto il genere di turismo proposto dalla variante: «Bisogna essere profondamente innamorati della propria terra per essere convincenti con gli ospiti - ha detto - e se lo si è non si è disposti a vendere il nostro patrimonio in questa maniera». Santolini ha poi proseguito evidenziando come l'intera manovra non abbia in realtà ricadute positive sui cittadini: «Non offrirà posti di lavoro ai locali ma produrrà soltanto costi per chi si ritroverà a dover gestire un disastro ambientale». In chiusura sono intervenuti anche i consiglieri provinciali Roberto Bombarda e Giorgio Viganò, Secondo Bombarda l'area non può sostenere economie in stile "Madonna di Campiglio" e ha profetizzato per la struttura un fallimento certo: «Il progetto non starà mai in piedi e si trasformerà rapidamente in un ammasso di miniappartamenti in quanto non è possibile che a Tremalzo arrivino tutti i turisti necessari per mantenere in attivo il bilancio di un hotel così grande. L'unica proposta sensata per questa località è il parco naturalistico». Dello stesso avviso Viganò che vede nella crisi economica un ulteriore ostacolo: «Ciò che Leali vuol fare è anacronistico - ha dichiarato - il futuro del turismo non va certo nella direzione dei grandi hotel di lusso».

L'Adige, 19/09/2008