30.6.09

La montagna ridotta a spettacolo di massa

Anche se, prevedibilmente, si assiste ora alla consueta quanto desueta gara dei meriti, l'imprimatur Unesco alle Dolomiti riveste una valenza «universale», che non può - nel suo spirito - appartenere ad alcuno, prescindendo dagli attori che se ne sono fatti sostenitori. Può confortare chi voglia - nonostante tutto - continuare a credere nel primato e nella forza dell'intelligenza umana l'oggettiva eventualità che quest'occasione di prim'ordine abbia a stimolare e provocare un trasversale «nuovo ragionamento». Degnamente rispondente all'essenza del riconoscimento stesso, coerente ed all'altezza del valore stesso delle nostre Dolomiti. E da questo assunto sgorgano gli interrogativi: che si moltiplicano vertiginosamente, a cascata, valutando esperienze maturate, le prese di posizione che sorgono a più voci in questi giorni, le promesse e le enunciazioni della politica dell'oggi che appare pericolosamente ringalluzzita da questo oggettivo ed ulteriore accredito di immagine. L'amico Giorgio Daidola è stato «tranchant» nel suo giudizio (è una buffonata con finalità turistiche), sollevando manco a dirlo irritate prese di posizione. Ma sono sostanzialmente concorde con la sua rude e tuttavia efficace analisi, semplicemente per aver vissuto nel mio percorso professionale pluridecennale una nutrita e serie di enunciazioni programmatiche tutte ugualmente e mirabilmente dirette al «governo» del turismo in chiave moderna e sostenibile, rispettoso della natura, un turismo veicolo di trasmissione di valori di identità dei luoghi, della storia locale, delle persone. Grossomodo, sappiamo tutti cosa e come fare, quali percorsi di dovrebbero scegliere, conosciamo quelli scelti a mezzo dell'esercizio del compromesso, essenza della politica e strumento irrinunciabile del governare. Introduco a questo punto, sommessamente, un ricordo carico di nostalgia e del tutto personale, ma credo attualissimo: fine Anni Ottanta del secolo scorso, ebbi il privilegio di discutere con l'allora assessore provinciale all'ambiente Walter Micheli un pomeriggio intero su un «progetto turistico per il Trentino». Che mutuando e declinando le positive esperienze messe a segno nella gestione dei parchi e del territorio, avesse come obiettivo finale la rivoluzionaria (per allora, ma non meno per oggi) idea di trasformazione (complessa, senza dubbio) delle nostre vallate in un grande e diffuso «parco turistico del Trentino», nel quale l'oggetto/soggetto tutelato fosse l'ospite turista. Un traguardo ambizioso e difficile, per molti verso scomodo e sicuramente poco visibile perché avrebbe inciso profondamente nella carne della sostanza e non sulla facciata del nostro sistema d'ospitalità. Ma sappiamo tutti quant'acqua è passata sotto i ponti da allora, quanti accadimenti si sono succeduti. Vista la realtà dell'oggi, pensando a quali oneri (al di là degli onori già ampiamente incassati) possa comportare la gestione di una realtà siffatta, non possono che crescere un'esistente preoccupazione e allarme dettati da uscite del genere «andremo a creare la cabina di regia delle Dolomiti» oppure «non daremo luogo ad altri carrozzoni (testuali parole del governatore Dellai)». Enunciazioni foriere di apprensione visti i precedenti specifici in fatto di cabine di regia: mentre ad otto anni dall'entrata in vigore d'una riforma del turismo che non ha funzionato - e che la politica non ha saputo né voluto correggere, ma che dovrà gioco forza rimediare - sentiamo ancora periodicamente lamentare l'assenza proprio di cabine di regia (locali) nel settore che con la «nuova dimensione» delle Dolomiti avrà maggiormente a interagire. In un contesto di non assimilazione e coscienza, si suppone, dal punto di vita di programmazione (esiste un Progetto Dolomiti? Un sito web ed enunciazioni programmatiche interregionali certo non bastano!). Ritorniamo a Giorgio Daidola: forse, non è che abbia - pur non lesinando energie nei toni - voluto sottolineare proprio questo aspetto con il suo provocatorio allarme-denuncia? Questa nostra politica e amministrazione tesissime sugli aspetti dell'immagine e dell'apparire, saranno davvero in grado di sfoderare inedite arti di composizione delle pretese e delle diatribe (interregionali) esprimendo finalità ed operatività rispondenti alle esigenze di difesa delle Dolomiti? Anche se sarebbe disonesto negare l'esistenza istituzionale trentina, peraltro derivata da solidi precedenti, d'una attenzione e tensione alla cultura dell'ambiente e della natura (non esente da scivoloni e contraddizioni), non può non preoccupare alla luce delle ricadute turistiche innescate dall'imprimatur Unesco la sostanziale mancanza d'un «progetto turistico montagna» del quale le Dolomiti costituirebbero la punta di diamante. Della montagna, la nostra organizzazione turistica trentina (Trentino Spa ed Apt locali) sfrutta esclusivamente gli effetti spettacolari e teatrali, ben guardandosi secondo una gestione ampiamente autoreferenziale dell'offerta, dal trasmettere reali contenuti e valori sottesi alla frequentazione della stessa montagna. E ben guardandosi dall'incidere, ottemperando ad una funzione di «destination management» peraltro ascrivibile a chi governa il turismo, attraverso formazione e programmazione sul tessuto connettivo dell'ospitalità (i soggetti classificati come «privati»), costituito da quanti in montagna operano e lavorano. Ammassare migliaia di persone sulle Dolomiti di Fassa o nella conca di Fuchiade (tempio dei grandi spazi e silenzi, a mio avviso letteralmente violentato) per esibizioni musicali-happening perfino amplificate è mera e totale contraddizione: peggio ancora quando ciò accade addirittura all'interno di parchi naturali oppure nelle verdi oasi delle malghe ridotte a set per cori e cantanti con gli inevitabili stress ambientali connessi a carichi antropici devastanti nell'arco di poche ore. Cercando di scordare, con buona pace generale, gli abissi di buon gusto rappresentati dai trascorsi circensi concertini sulle seggiovie in movimento. Così come i Suoni delle Dolomiti, indubbia operazione d'immagine che nella loro quindicinale riproposizione hanno ormai perso il loro valore e carica originari a beneficio d'una scelta sempre più giocata alla ricerca dei numeri e della visibilità, altre proposte consumistiche inquinano fattori oggettivamente eccelsi come il sorgere di un'alba col richiamo dell'avventura facile «mordi e fuggi» da ricercare (in modo non banale) salendo di notte sentieri, bivaccando magari in tenda a duemila metri anche se non si è abituati a farlo, magari trascinando morose ed amici per una sorta di festa in allegria come si fosse sul prato dietro casa. In montagna esiste una soglia di rispetto delle cose, dei limiti, dei luoghi, delle situazioni della quale pare si sia persa cognizione spacciando - in una perdurante ubriacatura da marketing turistico - per intimistiche e profonde esperienze in realtà propinate null'altro che in termini di effetto, attrattiva, appariscenza. Spettacolo ed effetti speciali ad uso corrente in luogo e presunta sostituzione dei valori particolari della montagna e delle esperienze che essa regala. Avvilente. Ecco, è tutto questo che a mio avviso offre adito a preoccupazioni guardando al nostro Trentino ma anche alle zone limitrofe «dolomiticamente sorelle». «Lentius, profundius, savius» (più lento, più profondo, più saggio) invocava l'indimenticato Alexander Langer disquisendo nei suoi scritti sugli stili di vita che fu sua verde utopia anche nella dimensione Dolomiti. Guardando alla nostra realtà politico amministrativa sempre amando i Monti Pallidi ora proclamati patrimonio dell'umanità, mi permetterei di integrare la profondità del motto di Langer con altri superlativi: «peritius, humilius, honestius» (più pratico, più semplice, più decoroso). Con ben poche speranze. Ma tanta gioia nel cuore, perché - nonostante tutto - tanti altri avranno modo di conoscere quest'incredibile dono della natura.

Carlo Guardini - L'Adige, 30 giugno 2009

Dolomiti riconosciute patrimonio Unesco

Daidola: «Buffonata fatta per motivi turistici»

Le Dolomiti sono entrate a fare parte del patrimonio dell'umanità: un riconoscimento che non per tutti sarà sinonimo di sviluppo sostenibile e tutela dell'ambiente. Anzi. Questo passaggio - mette in guardia una voce fuori dal coro - diventerà facile «alibi» per giustificare altre «marachelle». La voce è quella di Giorgio Daidola, docente di scienze economiche e statistiche all'Università di Trento, alpinista esperto ed appassionato di montagna, che guarda con sospetto alla decisione dell'Unesco di accogliere la candidatura presentata dalle cinque province. «Io credo - disse un paio di mesi fa - che per fare delle Dolomiti un'area di turismo sostenibile, quindi non legato alla tecnologia, allo sci di massa - che in parte ha ucciso il fascino di quelle montagne - sia necessario investire sulla sostenibilità. Altrimenti diventa semplicemente una trovata commerciale per attrarre più turisti».

Professor Daidola, le Dolomiti sono state riconosciute all'unanimità dai ventuno membri della commissione Unesco patrimonio del mondo. Già nei mesi scorsi lei aveva messo in luce il rischio che si trattasse solo di un marchio economico. «Ah, è stata accolta. Rimango della medesima opinione, comunque mi sembra che tutto proceda su due piani in Trentino. Si dicono delle cose e poi se ne fanno altre. Come è ammissibile una cosa del genere, quando si è dato il via a fare un collegamento come quello di San Martino, che attraversa un parco naturale. Se non è una contraddizione questa. Mi pare proprio che questa sia una buffonata».

Non crede, dunque, che potranno esserci ricadute positive in termini di sviluppo sostenibile. «Tutto questo è stato fatto solo per motivi turistici e commerciali e lascia stupiti che una organizzazione come l'Unesco conceda questo riconoscimento senza porre paletti precisi. Non mi pare certo un marchio che sia garanzia di comportamenti sostenibili. Posso capire che si parli di patrimonio dell'umanità perché le montagne, per fortuna, sono bellissime, sono uniche e sono di tutti. Ma il modo in cui è gestito l'ambiente non è certo quello che si dovrebbe adottare».

Lei dice che ci saranno ricadute solo sul piano economico: chi ci guadagna, dunque? «Ci guadagna l'establishment, questo sistema economico drogato che si nutre di queste cose. E poi diranno anche che sono molto bravi, perché sono sensibili ai problemi ecologici, ma quando è il momento di adottare le decisioni fanno il contrario. Anzi, questo riconoscimento servirà loro per giustificare ancora di più le "marachelle"».

Si sarebbero creati un alibi?
«Sì, esattamente. Questo mi pare alquanto possibile».

Furono gli ambientalisti, però, i primi a proporre questa candidatura: non ritiene che possa portare ad un turismo sostenibile?
«Tutto dipende dal controllo che saprà fare l'Unesco: se pone dei limiti a questo sfruttamento della montagna, soprattutto di quella invernale. Certamente questo riconoscimento avrà dei riflessi positivi in termini di immagine, sarà un argomento in più dal punto di vista pubblicitario e promozionale. Ma il fatto che l'Unesco abbia concesso questo riconoscimento senza porre vincoli precisi mi pare indice di poca serietà».

Associazioni ambientaliste: «Non sia solo un marchio di mercato»

Le associazioni ambientaliste Mountain Wilderness, Legambiente e Cipra Italia si sono incontrate ieri a Pieve di Cadore: al centro il riconoscimento delle Dolomiti patrimonio naturale dell'Unesco. Occasione per fare festa. Ma non solo. «Ci sono anche delle preoccupazioni. Non si vorrebbe che le Dolomiti tutelate dall'Unesco - spiega Luigi Casanova a nome delle associazioni - venissero ridotte ad un semplicistico marchio turistico, di mercato. Le Dolomiti dovranno divenire un laboratorio sociale di eccellenza. È anche evidente - precisa - che l'Unesco non porta alcun vincolo su questi territori. Abbiamo saputo oggi che ci sono ben 228 normative diverse che interessano la gestione dei territori». Da qui l'invito a «superare una simile frammentazione per costruire anche in questo caso un disegno unitario che porti nelle cinque realtà norme comuni, condivise, efficaci nella tutela del territorio e nel rafforzamento dei valori». Dalle associazioni ambientaliste anche la richiesta di un maggiore coinvolgimento: «La candidatura fu lanciata il 1° novembre 1987 a Biella, all'assemblea costituente di Mountain Wilderness - ricorda Casanova - Noi delle popolazioni dolomitiche ora siamo anzitutto consapevoli di essere patrimonio dell'umanità, quindi su di noi ricade una responsabilità importante. Questo passaggio di responsabilità è un dato culturale che avrà ripercussioni importanti sia nell'immediato che nel futuro. Certo - sottolinea - c'è la consapevolezza dei limiti di questo percorso, non ci ha soddisfatto il discorso sul piano partecipativo. L'associazionismo ambientalista e i comitati che lavorano sul territorio delle cinque province - afferma -chiedono con forza alle istituzioni provinciali di essere coinvolti come protagonisti nella futura pianificazione della gestione di questo patrimonio collettivo. Cosa che finora non c'è stata. Il secondo passaggio riguarda la coerenza: se siamo patrimonio dell'umanità lo dobbiamo dimostrare con i fatti. Le associazioni - ricorda - si sono poi incontrate per definire i prossimi passi, le tappe di questo lungo ed entusiasmante viaggio istituzionale e culturale. Assieme ai sindaci del Cadore e delle Dolomiti intere dimostreranno che la sostenibilità dello sviluppo non è uno slogan, ma si articola in processi che porteranno nelle vallate qualità del vivere, del lavoro e dell'ambiente naturale».

L'Adige, 28 giugno 2009

Collegamento San Martino-Rolle, stop forzato

PRIMIERO - Senza i 5 milioni necessari, si faranno solo la ricapitalizzazione e la fusione

Progetto accantonato, non rinnegato. Ma almeno per ora, e certamente fino al 2010, non saranno intaccati i fianchi della Cavallazza, né sorvolata la cima del Colbricon per portare gli sciatori da S. Martino di Castrozza e Passo Rolle e viceversa. Dopo mesi di tira e molla, dopo aver giocato tutte le carte possibili per tentare di raggranellare i 5 milioni privati necessari ad attuare il protocollo d'intesa, il Cda di Nuova Rosalpina spa, gli impiantisti, gli investitori privati e la parte pubblica hanno finalmente preso atto che, per ora, il collegamento non si fa. Una vittoria almeno temporanea per gli ambientalisti e quegli imprenditori che non hanno condiviso fin dal principio il progetto, così come proposto. La svolta è di questi giorni: tra la Provincia e i protagonisti locali dell'operazione si sono tenuti molti incontri per verificare come uscire da una situazione difficile, salvando la Nuova Rosalpina e arrivando a fonderla con la Siati, senza stracciare il protocollo d'intesa. Alla fine, da parte della Provincia è arrivata la conferma che possono restare accantonati i dieci milioni di partecipazione pubblica previsti per la realizzazione del S. Martino-Rolle, mentre in valle Comuni e privati si danno da fare per ricapitalizzare Siati (operazione già a buon punto) e Nuova Rosalpina. In particolare, per quest'ultima, resta confermato quanto già stabilito nel protocollo: servono due milioni di euro d'immediata ricapitalizzazione, per evitare che i libri siano portati in tribunale. E questi soldi devono arrivare dagli imprenditori soci della spa. A questo proposito, il Cda ha scritto a tutti coloro che avevano firmato il modulo di preadesione alla ricapitalizzazione da 5 milioni, chiedendo di versare in tutto o in parte la cifra per cui si erano già impegnati. Ma aderiranno, i sostenitori del collegamento, ad una ricapitalizzazione che può sembrare la copia di quella già avvenuta cinque anni fa? Secondo il presidente della Comunità di Primiero, Cristiano Trotter , la situazione è diversa da allora, perché il protocollo resta confermato in tutte le sue parti. «Non è un salvataggio fine a se stesso - spiega Trotter -, ma mirato alla fusione delle società entro l'anno. Il progetto di fusione è pronto, la volontà di fare questo passo già manifestata dalle rispettive assemblee. La differenza rispetto a cinque anni fa è proprio questa: allora il progetto di fusione era campato in aria, oggi è concreto e preliminare ad un progetto di sviluppo». La ricapitalizzazione di Nuova Rosalpina spa è sempre più urgente. All'interno della società, in questi giorni, qualcuno ha iniziato a spingere per portare i libri in tribunale: l'ipotesi è quella di un fallimento pilotato per poi far rilevare la società da un pool di imprenditori motivati a rilanciarla. «Probabilmente, dal punto di vista meramente privatistico e industriale - commenta Trotter -, questa potrebbe essere una soluzione valida. Ma dobbiamo pensare che le società impiantistiche gestiscono buona fetta dell'economia della valle. E quindi non possiamo fare salti nel buio». Passeranno comunque molti mesi prima che si riparli di collegamento impiantistico in termini pratici. E il progetto, nel frattempo, potrebbe essere accantonato o modificato.

Mozione in aula il 14 luglio
Oltre al fallimento della raccolta di 5 milioni di capitale privato, sul progetto di collegamento impiantistico pesano decisioni politiche. Bisogna infatti vedere cosa accadrà in consiglio provinciale quando, il 14 luglio, sarà discussa la mozione presentata dal verde Roberto Bombarda, che mira a sospendere il progetto e ad aprire una fase di confronto per individuare soluzioni diverse, ambientalmente compatibili e sostenibili dal punto di vista economico. E chissà che anche il riconoscimento delle Dolomiti Patrimonio dell’Umanità, avvenuto ieri a Siviglia, non giochi una parte in tutto questo. In fondo, le Pale di San Martino, da ieri bene universale, sono così vicine...

L'Adige, 27 giugno 2009