22.1.10

L’acciaieria tossica che nessuno ha fermato


il manifesto - Paola Bonatelli, 22 gennaio 2010

Che l’impianto industriale di Borgo in provincia di Trento, producesse “strani fumi” lo sapevano da trent’anni. Ma c’è voluta la determinazione delle associazioni per far aprire un’inchiesta. Domani, una manifestazione in valle.

Borgo Valsugana (Trento) - In questi giorni il procuratore della Repubblica di Trento Stefano Dragone, e il governatore del Trentino, Lorenzo Dellai, detto “il principe” dai suoi concittadini/sudditi, sono volati a Roma, convocati per un’audizione dalla commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti, sollecitata da due parlamentari trentini della Lega Nord, Maurizio Fugatti e Sergio Divina, che l’ha anche promossa, insieme al senatore Giacomo Santini (Pdl), autore di un’istanza sugli stessi fatti alla Corte di Strasburgo.
Nel mirino due vicende che travolgono imprenditori, politici, enti locali, macchiando l’immagine del Trentino insula felix: la situazione dell’Acciaieria di Borgo Valsugana, attualmente sotto sequestro e controllata da un custode giudiziario, e la discarica di Monte Zaccon, pure sequestrata su ordine della magistratura, in località Marter di Roncegno, paese turistico-termale dall’architettura liberty, in cui si trova il prestigioso Palace Hotel, che fu meta di tutta l’alta aristocrazia europea.
La commissione bicamerale non s’è evidentemente ritenuta soddisfatta di ciò che ha ascoltato, visto che il presidente Gaetano Pecorella ha annunciato una sua visita in Trentino verso marzo-aprile, per verificare sia la situazione ambientale che le eventuali “disattenzioni locali”. Mentre il procuratore Dragone si è limitato alla narrazione dei fatti – tra cui uno particolarmente significativo, l’affidamento delle indagini per la discarica e per l’acciaieria non all’Appa (l’azienda locale di protezione ambientale), ma ad un ente fuori provincia, il Corpo forestale dello Stato di Enego, cui si erano rivolti gli stessi cittadini, delusi dagli enti locali – il “principe” Dellai e il suo vice, l’ex sindaco di Trento e attuale assessore all’Ambiente Alberto Pacher, hanno sostenuto (e sostengono) che è tutto sotto controllo.
In Valsugana la presenza di diossina risulterebbe sotto i limiti di legge, il latte non è inquinato e neppure la lettura del registro tumori induce a pensare che in Valsugana ci siano più casi di malattia che altrove.
Due affermazioni, queste ultime, smentite dai medici valsuganotti (vedi box).
Se la “scoperta” della discarica di Monte Zaccon è relativamente recente – l’indagine portò all’arresto di otto persone il 10 dicembre del 2008 - la situazione a forte rischio ambientale, provocata dai fumi emessi dall’acciaieria di Borgo, preoccupa da trent’anni sia le istituzioni civili, in primo luogo i Comuni, che quelle sanitarie, gli ambientalisti, i cittadini.
Domani tutti i comitati della Valsugana, che nei mesi scorsi sono saliti alla ribalta della cronaca per le loro iniziative dirompenti, si sono dati appuntamento a Borgo – alle 15 in piazza Degasperi - per una manifestazione che vuole essere “un contributo alla ricerca della verità”
.
In prima fila ci sarà il sindaco del paese Fabio Dalledonne, in carica da appena dieci mesi, che, con la sua coalizione di liste civiche di “orientamento moderato di centro”, si trova una pesantissima eredità da gestire. Tuttavia, nella tragedia ambientale della valle, ferita a morte non solo per aver realizzato di aver respirato per anni e anni, con ogni probabilità, aria contaminata, mangiato cibo e bevuto acqua e latte inquinati da diossina e metalli pesanti, ma anche per aver capito che i controlli e le rassicurazioni degli enti preposti - in primo luogo Provincia e Appa, inquisiti insieme ai dirigenti dell’acciaieria - erano fumo negli occhi, qualcosa di positivo c’è.
Il risveglio degli accomodanti (finora) abitanti, i valsuganotti, che, dopo le battaglie condotte negli anni ’80 e ’90 dal Wwf trentino, sembravano dormienti. Lei, l’acciaieria, compare immediatamente a destra della strada che immette a Borgo Valsugana, stagliata da una parte contro le pareti calcaree del monte Lefre e dall’altra sui verdi pendii che salgono verso l’altopiano del Tesino, ai piedi del Lagorai. Un enorme complesso dall’aria decadente e rugginosa, un’immagine più da vecchia ferriera che da moderno stabilimento, costruito lungo un fosso putrido e luccicante in modo sospetto (si dice che l’acqua ogni tanto si colorava di rosso e che ci furono varie proteste dell’Associazione Pescatori a riguardo).
Di là dalla strada, il fiume Brenta con la sua famosa pista ciclabile, e poi campi di mais autoctono – una delle varietà originali – di foraggio, di fagioli (al cadmio, si dice ancora), e le stalle degli allevamenti zootecnici (produzione di latte e formaggi).
Se questa epopea dovesse avere una data di inizio, sarebbe il 19 marzo del 1979. In quel giorno, a Borgo - paese noto, negli ultimi anni, anche per i frequenti “sforamenti” dei livelli di Pm10 (polveri sottili), addebitati di solito alla famigerata statale 47 su cui transitano circa 44.000 veicoli al giorno - tra boschi e pascoli che si inerpicano da una parte verso i monti fatati del Lagorai, e dall’altra verso l’Ortigara e l’altopiano dei Sette Comuni – tutte zone ad altissimo valore aggiunto, dalle zone termali di Roncegno, Levico e Vetriolo alla Val di Sella, con le manifestazioni artistiche internazionali di ArteSella – si diede l’avvio alle lavorazioni dell’acciaieria.
La fabbrica apparteneva allora a tal Oscar Comini di Brescia, inquisito all’epoca, dalle sue parti, come inquinatore. Del resto il processo di insediamento dell’acciaieria non era stato indolore, anzi. I dubbi e le contestazioni sull’opportunità di realizzare una simile industria nella valle - interessata, come tutte le vallate alpine, dal fenomeno dell’inversione termica, cioè la formazione, per una questione di correnti, di uno strato di aria stagnante in cui ogni emissione si concentra – erano sorti immediatamente. La vicenda era rimbalzata dalla Valsugana a Trento e poi a Roma, con la presentazione di varie interrogazioni e interpellanze, tanto che a metà settembre del 1973 (dal quotidiano Alto Adige, 18 settembre 1973), l’allora assessore provinciale all’Industria Enrico Pancheri aveva ritenuto opportuno incontrare a Borgo i notabili della Democrazia cristiana locale “per calmare le acque e ridimensionare la questione”.
Nessun problema di inquinamento, assicurò allora l’assessore, perché “il Comini si è assunto degli impegni precisi in merito all’installazione dei più moderni ed efficienti sistemi di depurazione”. In realtà il Comini vendette la fabbrica prima che iniziasse la produzione al gruppo Leali, con sede a Odolo (Brescia), azienda che affonda le radici nelle tradizioni dei “maestri di ruota” della Val Sabbia. Furono i due figli dell’artigiano Luigi Leali, Nicola e Dario, attuale presidente della società, a trasformare nel dopoguerra l’azienda artigiana in attività industriale nel settore dell’acciaio per cemento armato. L’Acciaieria Valsugana, uno dei quattro stabilimenti del gruppo, produce tutte le principali tipologie di acciai al carbonio e legato mediante un forno elettrico fusorio ad arco voltaico, giudicato da più parti assolutamente “obsoleto”. Anche perché nei forni ci finiscono i rifiuti ferrosi, rottami che contengono ogni sorta di contaminante, ad esempio vernici e plastica, fusi senza pre-trattamento, in barba ai richiami della Comunità Europea, che ha più volte bacchettato l’Italia perché li considera “materia prima”, quindi soggetta a minori controlli.
I problemi cominciarono subito. Già nel gennaio 1981 il Wwf denuncia il grave pericolo di inquinamento derivante dalle emissioni dell’acciaieria, non ancora dotata di un impianto di captazione dei fumi. Per non parlare delle scorie, fanghi e polveri derivati dai fumi abbattuti, che, secondo gli ambientalisti, l’acciaieria scaricherebbe un po’ dappertutto, anche nei greti dei torrenti. I risultati delle ricerche del Wwf, che trova quattro discariche abusive sul territorio e un’alta percentuale di piombo nei residui dei fumi abbattuti, vengono segnalati in un esposto al pretore di Borgo alla fine di gennaio dello stesso anno. Qualcosa si muove, ci sono promesse riguardo all’installazione di depuratori e alla localizzazione di discariche appropriate, ma le analisi chieste dal Wwf vengono effettuate per conto dell’acciaieria e su campioni forniti dalla stessa.
Nel 1983 il Wwf torna all’attacco, accusando Provincia e Comune di gravi inadempienze e false promesse, mentre su Borgo staziona in permanenza una nube rossastra dal pessimo odore. L’acciaieria ha installato un impianto di filtraggio, ma probabilmente è sottodimensionato. Nel gennaio 1989 il Wwf denuncia nuovamente la situazione. Questa volta il pretore di Trento Fabio Biasi dispone la chiusura della fabbrica perché le emissioni non rientrano nella norma. Il sequestro dura dal dicembre 1989 al febbraio 1990, anno in cui viene realizzato il primo sistema di abbattimento dei fumi.
Passano nove anni, l’acciaieria continua la sua attività, anche grazie ai sussidi della Provincia, che sborsa, tra il 1984 e il 1992, 16 miliardi di lire a fondo perduto per l’erogazione dell’energia elettrica, oltre a vari altri contributi. Tra il 1999 e il 2000 l’azienda dichiara lo stato di crisi e mette gli operai in cassa integrazione, mentre il Wwf e gli abitanti di Roncegno organizzano la prima raccolta di firme per la chiusura dell’acciaieria. Ma la produzione riprende con settanta operai (i “più tranquilli”) e una nuova denominazione dell’azienda che diventa “Siderurgica Trentina”, affittata ad un altro imprenditore.
Tra i circa cento licenziati c’è Saverio, che denuncia il comportamento dell’azienda: ”Ho vinto la causa di reintegro – racconta l’ex dipendente di Leali – ma il giorno stesso mi sono licenziato, rifiutando i soldi che l’azienda mi offriva”.
Non solo, da quel momento diventa un ambientalista convinto e sarà lui a denunciare la collusione tra l’acciaieria e l’APPA, che non effettuava i controlli a sorpresa ma avvisava prima delle visite (particolare recentemente confermato dal contenuto delle intercettazioni disposte dalla magistratura).
Nel 2005 entra in vigore il decreto n. 59, che prevede la concessione dell’AIA (autorizzazione integrata ambientale). Nell’ottobre 2007 viene rilasciata la prima autorizzazione, rinnovata nell’agosto 2009: “Una grossa anomalia – denuncia Rosa Finotto dei “Barbieri Sleali” – soprattutto perché l’APPA, per fare un piacere a Leali, ha alzato di mille volte i limiti imposti dall’Europa per le emissioni di diossina. L’azienda, dal canto suo, truccava le analisi, con la complicità di un laboratorio (della società Ramet, di cui uno degli azionisti è proprio Dario Leali, ndr), oppure, in vista dei prelievi, fondeva materiale “nobile”. E non è finita. L’indagine odierna ha aperto anche un fronte sul destino delle scorie dell’acciaieria, per scoprire che, oltre ad essere sparpagliate in giro, venivano mescolate con inerti per produrre materiale per l’edilizia, il che ha prodotto altri quattro indagati”.
Il 4 dicembre 2009 il pm Alessandra Liverani chiede il sequestro totale della fabbrica. Il gip Marco La Ganga però preferisce il sequestro cautelativo, affidando l’azienda a un custode giudiziario, misura riconfermata pochi giorni fa.
In questo “pasticciaccio alla trentina”, i cittadini sabato torneranno a chiedere non solo la chiusura dell’acciaieria e la sua riconversione ma anche l’avvio di uno studio sugli effetti dell’esposizione ai fumi, la bonifica dei terreni, campagne di screening gratuite, nuovi investimenti non inquinanti e infine il coinvolgimento dei cittadini in qualsiasi iniziativa che riguardi la valle.

Lo studio: Secondo i medici la diossina nel latte c’è.
Sono stati i cittadini a segnalare il viavai di camion alla discarica di Monte Zaccon, e sempre loro si sono rivolti ad enti extraterritoriali per far luce sui fatti e avere giustizia. Sono loro infine, insieme ad alcuni professionisti della salute, i veri artefici del “risveglio” della Valsugana. Ma anche della Val di Non, dove lottano contro l’inquinamento da pesticidi.
Dietro il nome che uno dei gruppi si è scelto, i “Barbieri Sleali della Valsugana”, ci sono due storie, una antica e una attuale, e qualche sfumatura. I barbieri della valle erano i preferiti dell’imperatore Francesco Giuseppe, che li riteneva affidabilissimi per la reale rasatura, compiuta con affilatissimi rasoi. Leali alla corona, dunque, ma Leali è anche il cognome del proprietario dell’acciaieria di Borgo.
Sabato i “Barbieri” saranno in piazza con gli “antipuzza di Campiello”, che hanno recentemente vinto la loro battaglia contro un impianto di compostaggio, Valsugana pulita, Parco Piazza di Novaledo, Osservatorio Valsugana, Osservatorio Grigno Tezze, Antidiscarica di Carzano, il CeDIP di Borgo Valsugana, il Wwf di Trento e l’associazione Medici per l’Ambiente, che sta per pubblicare uno studio sui rischi potenziali dovuti all’inquinamento industriale nella valle, esaminando il ruolo dell’acciaieria. Il documento, firmato da una cinquantina di professionisti, è di per sé un segnale d’allarme.
La percezione della comunità medico-scientifica è che ci sia un’incidenza importante di patologie correlate all’inquinamento, da verificare con indagini mirate anche sulla ricaduta dei fumi. I dati disponibili, vecchi di otto anni, non permettono di capire la situazione complessiva. Una cosa però è sicura: dai primi rilievi a campionamento, affidati a laboratori universitari extranazionali (per cui si stanno raccogliendo fondi), risulta che nel latte prodotto in valle la diossina è presente, con composizione identica in tutti i campioni esaminati e con vari cogeneri, di cui uno, l’ectafurano, è un derivato specifico delle emissioni industriali.
(pa. bo.)

Sui pesticidi Mellarini non mi tranquillizza

Dovrei accogliere con gioia le rassicurazioni che Mellarini (assessore all'agricoltura della provincia) ha dato mercoledì attraverso il suo scritto sull'Adige circa la pericolosità dei pesticidi utilizzati in agricoltura. Purtroppo però non riesco a non preoccuparmi. Qui in valle è forte il discredito che le istituzioni provinciali si sono guadagnate.
È vero che la comunità europea ha messo al bando molte molecole utilizzate un tempo in agricoltura. Nell'articolo di Mellarini si parla di 1.180 molecole utilizzate nel ‘91 contro le 300 utilizzabili oggi. Che cosa è stato fatto dal ‘91 a oggi per tutelare la popolazione dai rischi di quelle 800 pericolose molecole che oggi sono bandite?
Oggi quei prodotti non sono utilizzabili ma fino all'altro giorno li abbiamo respirati. Li hanno respirati, oltre che gli operatori, anche gli sfortunati che vivevano vicino ai frutteti, i bambini che passavano in bicicletta sulle piste ciclabili, le donne in gravidanza che si facevano una passeggiata in campagna in un bel giorno di sole, i turisti che sapientemente abbiamo attirato da noi vendendo una certa immagine del nostro territorio. E chi potrebbe garantire l'innocuità delle molecole rimanenti e tutt'oggi utilizzate?
Sfogliando la «guida alla preparazione dell'esame di idoneità all'uso dei prodotti fitosanitari» redatto dalla Provincia e stampata nel 2003 non c'è da stare allegri. Raccomandando agli operatori di indossare sempre indumenti di protezione specifici, il testo spiega che anche prodotti di bassa tossicità acuta, se assorbiti in esposizioni prolungate, possono provocare effetti nocivi di tipo cronico. Gli effetti possono essere mutageni (alterazioni del patrimonio genetico e possono dar luogo a malattie genetiche ereditarie o a tumori), tetratogeni (comparsa di malformazioni nel feto), cancerogeni (comparsa di tumori nell'uomo).
Viene descritto l'effetto deriva, cioè l'allontanamento delle goccioline erogate dall'atomizzatore che oltre a colpire le piante vengono disperse in ambiente. Viene descritto accuratamente il principio del tempo di rientro, inteso come l'intervallo di persistenza di pericolo per chi entra nell'appezzamento trattato con i prodotti fitosanitari. Si suggerisce un tempo minimo indicato (il concetto è scritto in rosso) in 48 ore a meno che sia diversamente indicato in etichetta. Alcuni prodotti, come riportato nel medesimo testo hanno tempi di carenza e quindi di rientro nel campo anche di 21 giorni.
La nostra regione è ricca di percorsi ciclabili che attraversano frutteti. Quali sono le precauzioni per le persone che vi transitano dato che il regolamento provinciale impone fasce di rispetto dove non sia possibile trattare di appena cinque metri? Quali sono le precauzioni per le persone che vivono attaccate ai frutteti? Dove sono le siepi che dovrebbero bloccare quel pericoloso principio attivo di cui non conosco nulla, che viene usato non so che giorno e non so a che ora, e che se non incontra barriere finisce nel mio prato, sulla mia insalata, nella stanza dove i miei figli dormono?
I dati che dovrebbero rassicurarmi parlano di 1.700 aziende controllate su 9.900 con un risultato del 99,9 per cento di mele che presentano residui di fitofarmaci inferiori del 30 per cento rispetto ai limiti di legge. Ma i fitofarmaci vanno cercati solo sul frutto? Sul sito dell'Appa è pubblicato uno studio Di Betta e Lorenzin che analizza il fenomeno deriva e ci dice che residui di fitofarmaci consistenti vengono trovati addirittura a cento metri dalla zona d'effettuazione del trattamento.
L'articolo di Mellarini ci informa che nei vigneti e nei frutteti sono ricomparsi codirosso, merlo, cesena, tordo, e una miriade di altri uccelli, frutto evidente di un miglioramento degli standard ambientali. Forse anche il tordo, se potesse scegliere, preferirebbe non farsi avvelenare.
Magari anche il merlo prenderà coscienza del problema.

Alex Faggioni è stato tra i promotori dell'iniziativa di Calceranica al Lago "Per un'agricoltura sostenibile che rispetti il territorio e la salute"

Passato al biologico, adesso sono contento

Lettera pubblica su l'Adige del 22 gennaio inerente al dibattito sull'uso di pesticidi in agricoltura. Il giorno prima era intervenuto, minimizzando il problema, anche l'assessore alla agricoltura Mellarini [ leggi la lettera ]

Egregio Direttore, sono un agricoltore che, assieme alla mia famiglia, gestisce un'azienda agricola di circa 12 ettari coltivata a mele, olivi e vite in Valle dei Laghi. Da qualche tempo l'Adige tratta, con una certa frequenza, il problema dell' inquinamento provocato dai pesticidi usati in agricoltura. Come è logico che sia, su questo problema (che è veramente un problema) Si sono creati due fronti, dove da una parte c'è chi giustamente è intimorito della pericolosità di queste sostanze, dall'altra gli agricoltori che, in virtù di dover far bilancio (tanto legittimo quanto necessario), devono per forza farsi assistere dall'industria farmaceutica. A questo punto inviterei il mondo contadino a una riflessione che io feci qualche anno fa partendo da due semplici interrogativi:
1) ma se questi comitati per la tutela della salute rompono le scatole perché preoccupati della pericolosità di queste sostanze, io, agricoltore che opera sul campo, non è che sia più a rischio dal momento che le stesse sostanze le conservo, le maneggio e le distribuisco nell'ambiente che per lavoro frequento tutti i giorni?
2) Ma è proprio vero che senza pesticidi non si coltiva più a ottimi livelli? Sono gli interrogativi che già molti agricoltori (purtroppo in percentuale ancora pochi) si sono fatti in passato e una volta trovata la risposta hanno avuto il coraggio di staccare la flebo dell'industria farmaceutica, scoprendo un modo veramente bello e motivante di coltivare la terra, dove predominano strumenti di vita e non di morte. Ci terrei che una riflessione si facesse anche nel mondo istituzionale per esempio in assessorato all'Agricoltura, o nei vari patronati che operano sul campo, per capire veramente come il mondo agricolo deve evolvere. E una profonda riflessione pretenderei fosse fatta dall'Istituto Agrario di S.Michele (oggi Fondazione Mach), che con orgoglio pure io ho frequentato.
Tanta responsabilità questa struttura possiede, dal momento che fino adesso ha sfornato tecnici formidabili (lo dice il mondo agricolo europeo) e ha assistito con i propri tecnici l'agricoltura della nostra provincia con un metodo a suo tempo progettato dai club 3P (provare, produrre, progredire) e poi sviluppato con Esat. Deve impegnarsi di più nel creare un nuovo modello di formazione ecocompatibile, ad aiutare e assistere quelle aziende che hanno fatto delle scelte alternative alla chimica e di incentivare quelle che ancora sono indecise a fare questa scelta per paura di rimanere sole.
Di certo non mi sento autorizzato a dispensar prediche o a convincere alcuno a seguire strade alternative, visto che nel mondo del biologico sono uno fra gli ultimi arrivati, però lasciatemi concludere con una frase di Nicolas Joly viticoltore biodinamico francese produttore di vini incredibili: «Bisogna metter fine alla condotta menzognera che ha sottomesso il mondo contadino e una parte della viticoltura all'industria fitosanitaria e ai doni forzati dei contribuenti diretti o indiretti».

Stefano Pisoni
Azienda Agricola Fratelli Pisoni
Pergolese di Lasino

Stefano Pisoni ha partecipato all'edizione del 2009 del Critical Book & Wine al Cs Bruno